Come una tassa sull’aria

Investire sul lavoro, non sui sussidi
Lavori

Il primo articolo della Costituzione recita che «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro»: i padri costituenti, nella fase di elaborazione del testo, avrebbero potuto fondarla sulla solidarietà, fraternità, libertà o uguaglianza, ma evidentemente le loro culture trovarono un significativo momento unificante che rimane una preziosa eredità, pensando a quanti avevano dato la vita per quel risultato, nel valore del “lavoro”.

<Non voglio sussidi, voglio lavoro>: parole che sentiamo sulla bocca di padri di famiglia, giovani diplomati e laureati, lavoratori autonomi ed imprenditori. Prima dell’introito economico è una esigenza fondamentale della natura umana essere in grado di provvedere a sé stessi e ad altri con un lavoro.

 

Nel presente, pur nel quadro di una grave crisi occupazionale, poco si fa perché tutti siano in grado di far fiorire la loro umanità tramite un lavoro: un esempio è l’Irap, imposta varata nel primo governo Prodi al posto di una decina di altre, tutt’oggi invariata, che non si calcola sull’utile aziendale, ma su varie voci, comprese le spese per il lavoro: più persone fai lavorare, più paghi imposte, e sei spinto ad andare a produrre all’estero: è come mettere una tassa sull’aria che si respira.

Oggi non si possono ridurre le imposte, le entrate fiscali sono già ridotte dalla crisi: si dimentica però che uno dei primi strumenti della politica è controllarne l’adeguatezza, valutando se un’imposta, come quella sul lavoro, va ridotta, aumentandone qualche altra per pareggiare i conti. 

 

Decisioni di questo genere le prendono solo gli statisti, coloro che hanno il coraggio di perdere il consenso di chi sarebbe penalizzato, senza guadagnare quello di chi ne avrebbe vantaggi, considerati come dovuti.

Non si può però dimenticare, in questo periodo di migliaia di nuovi disoccupati (alcuni dei quali ormai in condizioni davvero drammatiche), che chi investe sul lavoro in Italia oggi vede giungere al lavoratore solo la metà di quanto spende, ed è per giunta tassato su questo investimento, mentre chi investe nella finanza è tassato solo sul 12,5 per cento dei relativi profitti.

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