Colombia, storica vittoria del primo presidente di sinistra

Gustavo Petro si è imposto, seppure di stretta misura, al secondo turno. Dovrà fare i conti con nodi storici mai risolti. Primo fra tutti: pacificare il Paese
Colombia (AP Photo/Andres Quintero)

Quando Gustavo Petro era guerrigliero del gruppo M19, scelse come alias il nome Aureliano. Si ispirava alla figura del colonello Aureliano Buendía, personaggio chiave di “Cento anni di solitudine”, il romanzo di Gabriel García Márquez, che ha reso noto in tutto il mondo il “realismo magico”. Erano gli anni ‘70 ed in America Latina era ancora forte la convinzione che non era possibile mutare le profonde disuguaglianze, che in Colombia ancora raggiungono livelli altissimi, senza ricorrere alle armi. Nel 1970 Misael Patrana pervenne alla presidenza grazie a brogli che impedirono la vittoria di Gustavo Rojas Pinilla e questi fatti motivarono la nascita dell’M19. Petro ne fece parte tra il 1977 ed il 1987, anno in cui il gruppo iniziò un processo di pace.

Quando questa domenica i risultati del secondo turno hanno annunciato la vittoria della sua proposta elettorale, il neo presidente deve aver rimemorato quel passato. Per la prima volta nella storia del Paese un rappresentante della sinistra, per alcuni centrosinistra, arriva alla presidenza. E vi giunge accompagnato da una vice presidente afroamericana, Francia Márquez, ambientalista e femminista, rappresentante di quella parte di società che ben pochi avrebbero immaginato di vedere un giorno a Palazzo Nariño, la sede della presidenza.

Petro ha vinto di stretta misura, col 50,4% dei voti e con tre punti di differenza, su Rodolfo Hernández, un imprenditore edile approdato alla politica, ex sindaco di Bucaramanga. Al primo turno, Petro ha quasi raddoppiato i voti di Hernández, portando in parlamento 20 senatori (su 108) e 28 deputati (su 172). Pochi, senz’altro, cosa che renderà difficile ottenere i voti necessari in Parlamento. Ma i risultati di Hernández sono stati peggiori: nessun senatore e tre deputati.

La campagna elettorale è stata un vero e proprio scontro in un ambiente polarizzato, senza esclusione di colpi populisti ad effetto dalle due parti. Hernández ha centrato il suo discorso sulla lotta frontale alla corruzione, che considera il principale ostacolo allo sviluppo.

Un discorso lodevole, ma difficile da affrontare senza risolvere il nodo principale del Paese, tra i maggiori produttori di cocaina nel mondo, dove anche le guerriglie si sono trasformate in traffico di questo disgraziato prodotto, con intere zone del Paese ancora sotto il controllo dei cartelli della droga, di ex paramilitari ed ex guerriglieri divenuti criminali, oltre che da gruppi armati come l’Eln, tuttora restii ad approdare a un accordo di pace. Negli ultimi sei anni, sono più di 900 gli attivisti sociali assassinati, perché spesso sono scomodi testimoni di ciò che avviene in assenza dello Stato.

Petro, che è stato anche sindaco di Bogotà, non manca di spirito e di decisione per condurre le riforme sociali che ha promesso. Nel 2000, quando era deputato, la sua accusa contro i paramilitari di influenzare la Procura della repubblica gli valse una condanna a morte. Si incontrò con il temuto leader paramilitare Carlos Castaño, per convincerlo di non ucciderlo. Petro affrontò la discussione con tono energico e dopo pochi minuti Castaño balbettò e fece marcia indietro. L’episodio descrive la personalità di Petro.

Tenace e politicamente creativo, non è un carattere facile. Quando era sindaco di Bogotà litigò con istituzioni e settori che gli facevano opposizione. Si giunse persino alla destituzione – illegale –, quando cercò di trasformare in pubblico il servizio di raccolta della spazzatura, gestita senza controlli da privati. Dopo essere stato messo da parte come sindaco per 35 giorni, nei quali megafono in mano protestò contro tale abuso, venne reinsediato dalla Magistratura con tanto di scuse e risarcimenti per danni morali e materiali.

Il nuovo presidente sa bene che vincere le elezioni non è sufficiente. Una vittoria può diventare un boomerang se non si ottengono risultati, e quelli veri vanno ben oltre il ristretto orizzonte di un mandato di quattro anni.

Nessun programma di governo in Colombia può ignorare la complessità della situazione di un Paese ancora da pacificare. Firmare, poi, un accordo di pace senza il consenso generale delle forze politiche espone il processo al problema sorto durante l’attuale presidenza di Iván Duque, che ha picconato gli accordi di pace siglati dal suo predecessore, Juan Manuel Santos, nel mezzo di una feroce quanto sterile polemica: a destra si pretendeva di essere giudici inflessibili della guerriglia di sinistra, ma di chiudere un occhio e pure l’altro sui crimini commessi da militari e paramilitari. Si tratta forse della sfida principale da affrontare, pacificare anche gli animi contrapposti tra destra e sinistra convincendo l’uno della necessità dell’altro in un Paese diviso in due sostanziali metà. Nessuno potrà mai farcela da solo ad affrontare i nodi storici, mai venuti al pettine se non superficialmente.

Infatti, se da un lato l’economia colombiana ha grandi opportunità di sviluppo, dall’altro la distribuzione del reddito è tra le più disuguali dell’America Latina. Quando poi si affronta la disuguaglianza sul piano della proprietà terriera, la sproporzione è tale che un pugno di famiglie controlla l’81% della terra. Non va dimenticato che le varie guerriglie sono sorte negli anni 60 proprio a partire dalla concentrazione di proprietà delle terre, che arriva a livelli intollerabili.

Non saranno facili i prossimi quattro anni, con l’aggravante di una pandemia che ancora non è stata debellata ed una guerra in Europa i cui effetti si fanno sentire nel resto del mondo, anche nelle terre del “realismo magico” sudamericano. Petro avrà bisogno di molto realismo. In quanto alla magia, meglio lasciarla perdere.

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