Col Libano nel cuore

Un’adozione a distanza ha condotto Valentina a sentirsi lei stessa “figlia adottiva” di una famiglia locale.
Valentina e Victor

Valentina lo ammette, il Libano l’ha affascinata al punto da sognare ritorni ravvicinati. Dopo l’ultimo viaggio nel Paese dei cedri, il direttore della sede bancaria in cui lavora, vedendola raggiante e nostalgica, le ha chiesto se per caso si fosse innamorata. Valentina aveva dovuto ammettere che sì, si era innamorata, ma di un’esperienza di straordinaria reciprocità.

Valentina Cappozzo me la racconta con foto, filmati, che inondano gli occhi e l’animo di tutto quel sole, ma anche di quella sofferenza che porta il nome di guerra, passata sì, ma che lascia cicatrici profonde.

 

Tutto era iniziato nel 1990. Si erano incontrati il desiderio di donare di Valentina e il sogno di molti bambini di fare una vita normale, di studiare e crescere nella fiducia. Attraverso Famiglie Nuove, un’espressione del Movimento dei focolari (www.famiglienuove.org), aveva iniziato un’adozione a distanza in Libano, per un bambino,Victor, la cui famiglia era stata colpita dalla guerra.

 

Chi era questo bambino? Dove viveva e quali erano le sorti della sua famiglia? In particolare, quali erano le sue necessità? E quale sarebbe stata la storia di Victor, con quell’aiuto da lontano, che avvicinava idealmente i genitori Rymonda e Ghazi a Valentina? Le notizie dal Libano trafiggevano i cuori e le menti di quel periodo, forse perché quel verde Paese baciato dal Mediterraneo, dalla storia gloriosa e così aperta al mondo e al traffico di uomini e idee, faceva da ponte ideale fra culture e religioni.

 

Victor intanto era fuggito con i genitori e il fratello da Mazmoura, sulle montagne, a Beirut. Un lavoro provvisorio del padre aveva permesso dopo alcuni anni il rientro al paese, per iniziare la ricostruzione.

Poi alcuni anni di lettere spedite e ricevute. Scriveva Victor, un bellissimo bambino bruno con due occhi vivaci e dolci, del cammino scolastico, con qualche pagella decisamente degna di attenzione e soddisfazione, dei cambiamenti e dei progressi in famiglia. Victor si faceva sempre presente inviando a Valentina disegni di auguri per le ricorrenze, che assumevano sempre più i contorni sfumati e seri dell’adolescente, aggiornando, lungo lo scorrere degli anni, quest’amica lontana sulle scelte di vita del giovane.

 

Già nel 2004 Valentina coglie l’occasione di un viaggio turistico religioso della diocesi di Vicenza per conoscere il Paese e soprattutto l’équipe che cura i sostegni a distanza. È ospite per qualche ora della realtà che collabora nella coordinazione delle adozioni, l’Irap (Institut dé rééducation audio-phonétique), presso la loro sede ad Ain Aar, ed è una folgorazione: conosce Janine e Souad, laiche consacrate, fondatrici dell’istituto. Le loro scelte, l’armonia di quell’esperienza, ormai cinquantennale, l’appassionano.

 

Nel 1960, infatti, Janine e Souad, cattoliche maronite, avevano fondato una comunità di accoglienza per malati. A Lourdes entrambe avevano consacrato la vita a Maria, per l’umanità sofferente. Si aggiungeranno in seguito a loro Thérèse e Nicole, formando il primo nucleo della realtà. Ma in particolare arrivavano da loro persone sorde. La considerazione di trovarsi davanti ad un disturbo sensoriale ad alta frequenza, da conoscere e su cui sapere lavorare, le aveva indotte a frequentare corsi specialistici in Francia, dove erano diventate ortofoniste.

 

L’acquisita abilità aveva permesso a entrambe di occuparsi dei bambini sordi, per avviarli alla frequenza della scuola regolare e all’avviamento professionale. Nel 1963 il ministero degli Affari sociali aveva concluso un accordo con l’Irap per una collaborazione tecnica e sociale, anche in considerazione delle iniziative intraprese dall’istituto, di formazione su apparecchi elettronici moderni di avanguardia per l’epoca. Dal 1963 al 1968 adulti e bambini sordi erano aumentati considerevolmente nell’istituto, che aveva dovuto ampliarsi e fornire servizi più completi per l’accoglienza degli ospiti. La guerra poi aveva dato modo di esercitare la solidarietà con modalità sempre più specifiche, anche in collaborazione con il ministero degli Affari sociali. Era nato anche in pieno conflitto, ad Ain Aar-Metn, intorno all’Irap, il gruppo “Scintille di pace”, che si era dato come obiettivo il coordinamento degli aiuti per le famiglie colpite da quella follia umana.

 

Nell’ottobre del 1985 l’équipe aveva incontrato il Movimento Umanità Nuova: di qui una condivisione con un sostegno a distanza che andava oltre le differenze e le lontananze. Già nel 1969 erano nati i contatti con il “focolare” (sede dei consacrati laici del movimento) libanese e Valentina nel suo viaggio ha potuto conoscere il luogo, i documenti e la storia.

Un esempio poi della presenza del movimento fondato da Chiara Lubich era stata la partecipazione straordinaria di alcuni libanesi al congresso “Verso una Nuova Umanità” a Roma nel marzo 1983, nonostante i pericoli di una guerra che durava da oltre otto anni. Sul palco si erano avvicendati Arlette, Janine, Antoun e Charles. Aveva raccontato Arlette: «Ogni volta che una regione o un quartiere veniva attaccato, la maggior parte dei membri dei Focolari si rifugiava in un villaggio di montagna dove c’è l’Istituto per bambini sordi diretto da Janine». Si erano attivati per essere di aiuto concreto, senza discriminazioni di razza o di religione. Le loro esperienze in quel congresso portarono una certezza: lavorare insieme per la pace dà senso all’esistenza. L’Irap è stato anche questo.

 

Oggi la struttura ha ancora gli stessi obiettivi di fondo ed esercita il suo ruolo a fianco dei ragazzi sordi con finalità aggiornate e d’avanguardia, accudendo, formando e accompagnando anche i familiari nel percorso di cura, rieducazione, valorizzazione e inclusione nella realtà sociale e scolastica regolare. Non solo: laboratori di articoli sanitari, cucina e pasticceria introducono i giovani nel mondo del lavoro.

 

Victor, dopo un periodo trascorso in Italia per la frequenza universitaria, all’Aquila, decide di impegnarsi nel suo Paese per creare una realtà solida e coerente con i valori acquisiti in famiglia della laboriosità e della progettualità aperta. Ora Victor lavora e nel frattempo studia, per giungere alla laurea all’università di Beirut.

 

E l’amicizia nata con la famiglia avrebbe trovato il suo coronamento nell’ottobre del 2009 a Mazmoura, quando Valentina è stata festeggiata dalle famiglie del villaggio ricostruito, che per tradizione sono solidali e unite.

Dopo questo suo ultimo viaggio, Victor le scrive: «Tutti qui ti salutano e chiedono sempre di te… Avresti dovuto rimanere qui». Risponde Valentina: «Anche voi mi mancate tantissimo… Mi avete amato e mi sono sentita una regina accanto a voi».

 

E ancora «Non so quando tornerò; temevo di venire in Libano, perché il mio cuore era consapevole che me ne sarei perdutamente innamorata, un timore divenuto realtà. Avete tutti un’anima grande e abitate in un bellissimo Paese che avrà un futuro bello, perché ricco di giovani pieni di speranza e di vita. Da “un’adozione a distanza” in Libano, io sono diventata una figlia adottiva di una famiglia del Libano».

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