Clinton – Trump, due Americhe a confronto

Un dibattito al vetriolo quello tra i due candidati alle presidenziali. Non si risparmiano accuse e colpi bassi. Hillary  convince su economia, lavoro, alleanze internazionali, mentre il magnate del cemento arranca su politica estera e tasse. Hanno convinto i loro sostenitori ma non gli indecisi
Clinton

La stretta di mano ad apertura di dibattito su iniziativa di Hillary Clinton ha dato il via ad un vero e proprio match con Donald Trump: la prima volta faccia a faccia tra i due, la prima volta in un confronto pubblico serratissimo che ha messo a confronto due idee di Paese e di mondo.  L’aula magna della Hofsra University a Long Island in New York è stato il palcoscenico che lo ha ospitato.

Tasse ed economia, sicurezza interna ed esteri, futuro del Paese e questione razziale sono stati i temi più dibattuti della serata con attacchi personali e colpi bassi che hanno fatto sussultare il pubblico e provocato diversi applausi per smorzare la tensione.

La Clinton è apparsa subito padrona della situazione con un programma ben chiaro su come risollevare il Paese dalla stagnazione e rilanciare occupazione e investimenti con particolare attenzione alla classe media, la più colpita dalla crisi. Trump nomina costantemente Michigan, Ohio e Pennsilvania, quasi a voler personalizzare la sofferenza di questi stati, ma non va oltre. Ripete ad oltranza che le imprese non devono lasciare gli Usa, «ormai Paese del terzo mondo», cita la Cina e il suo potere commerciale, ma non ha una strategia chiara e quando il dibattito sulle tasse si fa stringente e Hillary denuncia la mancata pubblicazione dei redditi e l’elusione delle tasse federali, il Donald nazionale replica dicendo che lo farà quando lei pubblicherà le mail mandate dalla posta personale. Non contento dell’effetto sorpresa dichiara poi a proposito delle tasse federali eluse di «essere stato troppo intelligente, nel riuscire a non pagarle».

 

Il talk show entra nel vivo con la Clinton che esprime timori per quelle dita che digitano tweet bugiardi e che potrebbero con la stessa superficialità azionare le armi nucleari.   Trump dal canto suo torna sui suoi cavalli di battaglia: l’immigrazione irregolare in grado di detenere armi pericolose; la presenza di latinos e afroamericani che vivono nell’inferno e in mezzo alle sparatorie, mentre servirebbe riportare «Law and order» (legge e ordine); l’Isis creato dal vuoto di potere che Obama e la Clinton, segretario di Stato hanno generato con la ritirata dall’Iraq, e poi l’invenzione del cambiamento climatico quando «il vero problema è la Cina e la sua crescita».

Hillary non è da meno nel voler provare le responsabilità del candidato repubblicano ad esempio nella campagna diffamatoria di Obama, quando insistette per mesi sulla richiesta di un certificato di nascita che provasse la sua cittadinanza americana. Lo trafigge con eleganza e senza perdere il controllo quando gli ricorda che lui è stato tra i sostenitori del conflitto in Iraq e che non può fare il presidente una persona che invita Putin a violare i database di un Paese. Non gli risparmia l’ironia a proposito del piano segreto per sconfiggere l’Isis, «così segreto che nessuno l’ha visto» e a pochi minuti dalla chiusura affonda il colpo micidiale sulle donne, offese da Trump con epiteti ineleganti, pagate meno degli uomini. Lui afferma pubblicamente di trattenersi dal fare commenti rudi sulla famiglia Clinton e ribadisce più volte che Hillary «non ha la stoffa per fare il presidente». E lei ribatte che «ho viaggiato, stretto alleanze, incontrato capi di 131 paesi e non ho usato il mio tempo per la commedia. Sono preparata per essere il Presidente».

 

Sulla sicurezza interna e sulla necessità di aprire un piano di investimenti che incoraggi le aziende a restare nel Paese, Trump è risultato molto convincente anche per il linguaggio diretto privo di espressioni politicamente corrette, che è quello che piace ai suoi elettori, convinti che «l’America debba tornare grande» senza usare i suoi soldi a sostegno del Medio Oriente o di tutti quei Paesi che ne domandano la protezione. La Clinton pur riprendendo alcuni punti del programma di Berni Sanders ha faticato a trasmetterlo in maniera popolare. Il sipario sui due contendenti si chiude momentaneamente, mentre si apre quello degli analisti. La performance dei candidati ha convinto chi già li sosteneva, mentre resta il punto di domanda degli indecisi e dei non votanti, una delle preoccupazioni più grandi della Clinton che ha chiuso il suo discorso proprio chiedendo «di andare alle urne, non tanto per scegliere noi due, ma per scegliere il nostro futuro».

 

Il sondaggio dell’emittente Abc, pochi minuti dopo la fine assegna la vittoria ad Hillary con il 55% dei telespettatori dalla sua parte contro un magro 41% di Trump. Dietro questi numeri ci sono tante storie, ci sono gli americani che soffrono e quelli che temono per il futuro, i poveri e gli impoveriti, le donne e i giovani, i primi e gli ultimi arrivati, i bianchi e i neri, le lobby delle armi e quelle dell’alimentazione, le banche e la Borsa. Ci sono le due Americhe che il prossimo presidente dovrà riunire.

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