Ciampi uomo e politico

Articolo

Giornalista e scrittore oltre che economista, autore delle biografie di Guido Carli e di Franco Modigliani, Paolo Peluffo ha lavorato accanto a Ciampi come collaboratore e portavoce per oltre quindici anni. Attualmente è consigliere della Corte dei Conti e responsabile del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della presidenza del Consiglio dei ministri. Il suo Carlo Azeglio Ciampi. L’uomo e il presidente (Rizzoli), da poco in libreria, ci è apparso subito un libro fondamentale per capire gli ultimi vent’anni della nostra vita repubblicana. Ciampi è stato dal ’93 presiden- te del Consiglio, dal ’96 al ’99 ministro del Tesoro e poi presidente della Repubblica. Quale l’obiettivo primario che intendeva perseguire nei suoi ruoli istituzionali? Per Ciampi l’obiettivo finale primario di un’istituzione dev’essere sempre quello di generare la fiducia tra le persone, tra i cittadini e i politici, e la fiducia come bene pubblico la si conquista se agli annunci si fanno corrispondere azioni coerenti. Le sembra che questo, in quegli anni, sia avvenuto? Molte volte. Per esempio, dal ’96 al ’98, partendo da un clima ostile all’ingresso dell’Italia nell’euro, totalmente lontani in termini di risultati, siamo riusciti a farcela. Dichiarare esplicitamente gli obiettivi e a fare azioni coerenti: questo l’elemento fondamentale che ha permesso a Ciampi di acquistare fiducia nell’opinione pubblica. Quando la prima idea di scrivere su di lui? Inizialmente il libro dovevamo scriverlo a quattro mani, io e il presidente. Esattamente dopo l’alluvione di Sarno, in quanto quel disastro venne vissuto in una maniera leggermente ipocrita dalla classe politica: si affermò infatti che la causa era stata la mancanza degli interventi previsti, per colpa dei sacrifici che l’Italia aveva dovuto affrontare per l’euro. Ciampi soffrì molto perché veniva additato come colui che aveva imposto tali sacrifici. Volle capire dove erano finiti quei progetti non finan- ziati a causa dei quali era avvenuto il disastro. Si cercò dappertutto, ma quei progetti non c’erano. Disse allora: dobbiamo formare una banca di progetti per il Mezzogiorno d’Italia con lo stesso impegno profuso per l’euro. Poi informare direttamente il popolo italiano, comunicando il lavoro che si stava facendo per salvare l’economia della nazione. Cominciò così, da ministro del Tesoro, questo viaggio nel Sud, che sarebbe poi divenuto progetto viaggio in Italia del presidente della Repubblica. Non faceva che ripetermi: dobbiamo spiegare bene l’importanza di portare l’Italia nell’euro; il popolo deve capire che occorre dare stabilità monetaria alla nazione, garantire i patrimoni, garantire alle imprese un abbassamento dei tassi di interesse… E cominciammo a scrivere il libro che doveva chiamarsi Un paese serio, nel senso di un Paese che di fronte ad un obiettivo serio si stringe intorno ad esso e lo raggiunge. Ma, in quel frangente, Ciampi fu chiamato alla presidenza della Repubblica, e il libro non poté più uscire. Ripresi anni dopo quel libro e lo riscrissi totalmente. Cosa ha prodotto questo contatto diretto col popolo italiano? Dopo i viaggi straordinari in Italia da presidente nacque in Ciampi un’idea forte. Egli si rese conto di un diffuso e cupo pessimismo, una sorta di nichilismo che sembrava attraversare la cultura dell’élite italiana, nichilismo che era poi all’origine di una modalità di applicazione negativa del federalismo. Il federalismo non è necessariamente negativo, può essere una possibilità forte per un Paese. E invece in Italia veniva pensato e vissuto come la creazione di nuove oligarchie locali, tanto che ogni tanto, scherzando, Ciampi diceva: questa è un’idea che non appartiene né alla destra né alla sinistra, è un discorso che tenta di creare le oligarchie dell’Italia preunitaria, è un processo a ritroso rispetto al Risorgimento. Ecco allora l’idea: recuperare quei processi unitari che avevano permesso di arrivare dal Risorgimento alla Repubblica. Far sentire al popolo italiano che dietro di noi c’erano state generazioni di italiani che avevano dato la vita per l’unità della patria. Di qui l’impegno per un rilancio del Risorgimento, per una lettura corretta dell’ultima guerra, della nascita della Repubblica e del valore di quei simboli che avevano accompagnato questo cammino, come il tricolore, l’inno di Mameli. Tutto questo per proiettare l’Italia verso un futuro meno rassegnato. E la reazione degli italiani a questo progetto? Molto positiva. Scoprivamo nel Paese una grande energia. Per la verità Ciampi non amava la parola Paese, perché la sentiva come una versione poco coraggiosa. La parola che lui amava era Comunità. Esiste la Comunità nazionale, diceva, che ha energie e chiede alle istituzioni impegno fattivo, che esprime dei bisogni che devono essere corrisposti. Se le istituzioni non rispondono si entra in uno stato di crisi, che viene erroneamente letto come crisi della nazione, ed è invece solo la delusione da parte di una Comunità nazionale che ha necessità di indirizzi, azioni coerenti e che è pronta a dare il proprio sostegno anche di fronte a scelte coraggiose. Lo abbiamo visto negli anni Ottanta nella lotta al terrorismo e negli anni Novanta in cui, in piena crisi economica, abbiamo affrontato i sacrifici della tassa per l’Europa. Perché la Comunità l’ha fatto? Perché l’obiettivo da raggiungere era chiaro ed era stato ben comunicato al popolo. Ci racconti come è nato questo suo rapporto con Ciampi… È un rapporto nato nell’88, quando il direttore del Messaggero, pochi giorni dopo avermi assunto come giornalista praticante, mi dice: devi occuparti di economia. Telefonò a Ciampi e mi mandò a studiare alla Banca d’Italia. Era la prima volta che lo incontravo e parlammo dieci minuti, non di più; lui subito dopo mi mandò al Servizio studi. Cominciò, da quel momento, un’avventura intellettuale che ha portato in me la passione per l’economia, intesa come una disciplina umanistica di conoscenza della storia. Cominciai a scrivere di economia e il governatore Ciampi si rese conto che io cercavo di spiegare il perché delle scelte della politica monetaria della Banca d’Italia, e questo gli piacque. Nacque così tra noi un dialogo molto profondo. Poi conobbi Guido Carli che mi chiese di scrivere le sue memorie e subito dopo, con mia sorpresa, Ciampi da presidente del Consiglio fece la pazzia di chiamare un giornalista di 29 anni, completamente fuori dal mondo politico romano, per il ruolo di responsabile dell’Ufficio stampa. Nel suo libro scrive che, nell’affrontare un problema, dava grande importanza allo studio, all’analisi prima di qualsiasi proposta risolutiva. Come tutte le persone intelligenti, Ciampi entrava nel profondo dei problemi, ne vedeva la complessità, le difficoltà risolutive e questo gli metteva anche una certa ansia. Ma subito dopo, di fronte ad una decisione condivisa da noi collaboratori, nata dallo studio serio e profondo del problema, quest’ansia spariva. Oltre a questa sua capacità di entrare con passione e con competenza in un problema, cos’altro le ha lasciato? L’onestà intellettuale e la tenuta di fronte alle responsabilità. Ciampi è un uomo di buon senso che ragiona in termini di famiglia, che trasferisce dalla famiglia all’istituzione il modo di pensare. Non è un filosofo, un intellettuale applicato alla politica, è un uomo pratico in cui l’analisi è fondamentale. E quando si convinceva che un provvedimento era giusto, lo perseguiva con una determinazione inflessibile. Anche nei momenti difficili, non si è mai fermato per motivi di opportunità. Diceva sempre: è mio dovere andare fino in fondo. C’era sempre nel suo impegno grande corrispondenza tra l’analisi, la comunicazione e l’azione oltre ad uno spirito di servizio che purtroppo è diventato un po’ raro. Lei mette in evidenza la dinamica interna del lavoro accanto al presidente, questo lavorare a squadra. Il voler lavorare sempre a squadra nasce in Ciampi dall’idea che la conoscenza e la decisione in certe scelte non possono che scaturire dal dialogo. Una persona geniale può anche azzeccare una scelta, ma sicuramente su sette scelte tre le sbaglia. Se invece si dialoga con il proprio gruppo di collaboratori – una squadra non enorme che egli non ha cambiato troppo frequentemente – la possibilità di sbagliare si riduce moltissimo. Il lavorare a squadra diventa poi importantissimo nelle analisi e nel cercare i possibili punti critici di una scelta. Ci chiedeva ogni volta: cosa ne pensate se dicessimo questo? E tirava fuori il suo foglietto dal portafoglio. Mai ha detto, tirando fuori i suoi appunti: facciamo questo comunicato. Anche se alla fine, la responsabilità della scelta era solo sua. Dopo un grande lavoro di squadra, lui ha sempre difeso la solitudine della scelta finale. Il dialogo con tutti: una caratteristica fondamentale della personalità di Ciampi. Con la diversità di idee ha avuto sempre un rapporto molto sereno. Per esempio in Italia, era amareggiato profondamente quando vedeva la maggioranza e l’opposizione scontrarsi pregiudizialmente. Lui è convinto che il bene della nazione si persegue attraverso il lavoro di tutti, ciascuno nel proprio ruolo istituzionale; la contrapposizione frontale tra maggioranza e opposizione è una deriva politica pericolosa e antistorica. Sappiamo che Ciampi ha difeso a spada tratta la sua vita privata, le sue convinzioni religiose dall’ingerenza della sua vita pubblica, tanto da ricevere per questo qualche critica. Ha avuto sempre una grande attenzione a tenere separata la sfera pubblica da quella privata. Lo stesso per la sfera religiosa: non voleva mai ostentarla in pubblico in manifestazioni ufficiali, ma la viveva in un ambito privato e familiare perché voleva tutelare la propria persona, la vita della propria famiglia e quella di noi collaboratori . Si avverte nel libro un senso profondo di gratitudine… Scrivendolo, mi sono reso conto che di molte sue azioni non siamo ancora in grado di dare un giudizio. La storia giudicherà se sono state sbagliate o parzialmente sbagliate; ma le motivazioni di certe scelte possono essere giudicate già oggi e quindi io le ho mostrate, spiegandole. La mia gratitudine è infinita perché nasce dalla consapevolezza di aver partecipato ad un’avventura straordinaria. A Ciampi non piaceva questo termine, ma io lo usavo in senso cinematografico: avventura in quanto c’è un obiettivo da raggiungere.

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