Chiude il Cara di Mineo

Il 2 luglio è stato l’ultimo giorno di attività. Gli ultimi 68 migranti hanno lasciato le abitazioni del Residence degli Aranci per raggiungere il Centro di accoglienza di Isola Capo Rizzuto, in Calabria. Nel centro di accoglienza lavoravano 400/450 persone: una tragedia sociale.

Un ministro leghista lo aveva aperto, sette anni fa; un ministro leghista lo richiude, con grande clamore.  Nel 2011, fu il ministro degli Interni, Roberto Maroni, con il governo guidato da Silvio Berlusconi, a scegliere il mega – villaggio dell’impresa Pizzarotti (che era stato realizzato come residenza dei militari statunitensi di stanza alla base Nato di Sigonella) per ospitare i tanti profughi che approdavano in Italia. Nel 2019, negli anni del governo gialloverde, un altro ministro leghista chiude il centro aperto proprio da un esponente del suo partito e ne fa uno dei cavalli di battaglia della sua battaglia contro i migranti.

Una battaglia che sta riscuotendo, sempre di più, i consensi del Paese, che sembra avallare il suo porsi perentoriamente contro ogni approdo di migranti in Italia. O meglio: contro ogni approdo che avvenga a bordo di navi delle ong.

Nella serata di ieri l’ultimo episodio.  La barca a vela Alex della ong Mediterranea Saving Humans è entrata in zona Sar libica ed ha soccorso  un’imbarcazione in difficoltà. Stavolta non si tratta di una nave, ma di una barca a vela che ha bisogno di trovare subito un approdo sicuro. Dall’imbarcazione è partito un appello e la richiesta di dirigersi verso Lampedusa, porto sicuro più vicino. La reazione di Salvini non si è fatta attendere: «Vadano in Tunisia» ha risposto, senza mezzi termini, il ministro Matteo Salvini. Anche stavolta si preannuncia una battaglia senza fine. E stavolta, a bordo, ci sono anche 11 donne (una è incinta) e 4 bambini. Nel frattempo, però, un’altra barca con 55 migranti è stata intercettata da una motovedetta della Guardia di Finanza e da una della Guardia Costiera, a due miglia a Sud di Lampedusa: per loro, con un’imbarcazione italiana, il porto è invece aperto. Chissà! L’imbarcazione delle Fiamme Gialle è la stessa che era stata coinvolta nell’incidente, per fortuna solo sfiorato, con la Sea Watch durante il difficile attracco nel porto di Lampedusa.

Ma torniamo al Cara di Mineo. Il 2 luglio è stato svuotato (rimangono poche persone che, per motivi diversi, avranno un’altra destinazione). Il 9 luglio, Salvini sarà a Mineo per “chiudere” ufficialmente il Cara. Entro la metà di luglio, come aveva promesso.

Ma quale impatto nel territorio? Dopo anni di proteste contro la presenza dei migranti, nelle cittadine di Mineo, Palagonia, Grammichele, c’è preoccupazione e angoscia per i posti di lavoro perduti. Nel centro di accoglienza lavoravano 400/450 persone. In un entroterra siciliano a prevalente economia agricola, che da tempo è in crisi e non produce reddito, una boccata d’ossigeno che aveva consentito di dare un salario a tante persone ed un reddito a molte famiglie. Ora, tutti costoro sono tornati sulla strada. Senza un lavoro. Una tragedia sociale. Più volte, si sono svolti dei tavoli di lavoro in Prefettura per porre il problema dei posti di lavoro perduti.

Ma in queste terre c’è anche chi, in passato, si lamentava a gran voce perché alcuni migranti provenienti dal Cara venivano assoldati (ovviamente in nero) per lavorare nei campi per pochi spiccioli. Un anno fa, ascoltai personalmente una giovane donna, non ancora trentenne. «Alcuni immigrati accettano di lavorare per dieci euro. Mio padre, invece, che prima aveva un lavoro in agricoltura, è disoccupato. Loro si accontentano di poco e ci “rubano” il lavoro». Visuali diverse, opinioni diverse, realtà diverse che coesistono e si incrociano. Ma, stranamente, la giovane donna individuava il «problema» nel «migrante che va a lavorare per pochi spiccioli» e non nel «datore di lavoro scorretto». Oggi nessuno più si lamenta della «concorrenza sleale» nei campi. Oggi si guarda ai posti di lavoro perduti all’interno del Cara.

Un territorio dove il tasso di disoccupazione è molto alto. Siamo nel “calatino” vasta piana a Sud di Catania, nell’entroterra siciliano. Un territorio dove l’agricoltura è in crisi ed i prezzi di vendita dei prodotti sono troppo bassi. «Al danno si aggiunge la beffa – esclama il sindaco di Grammichele, Giuseppe Maria Purpora – sette anni fa, le nostre città subirono una decisione presa altrove. Oggi, questa decisione comporta dei licenziamenti e una tragedia per tante famiglie». Alcuni lavoratori sono di Grammichele, ma la maggior parte provengono da Mineo e Palagonia.

Da queste parti, la Lega di Salvini aveva pochi consensi. Nelle ultime Europee, invece, ha superato il 22 per cento. Ma il tasso di assenteismo è stato alto: da queste parti si sono recati al voto appena il 30 per cento degli abitanti. Quando, alcuni anni fa, Salvini passò da Grammichele, durante uno dei suoi tour nell’isola, trovò poche persone ad accoglierlo, nonostante il grande spiegamento di forze dell’ordine. Oggi, i consensi sono cresciuti ed il 9 luglio troverà tante persone ad attenderlo.

Ma Grammichele è anche terra d’accoglienza. Gli atteggiamenti di intolleranza coesistono con le scelte coraggiose e antesignane. Un anno  e mezzo fa, il sindaco di Grammichele e la sua giunta assunsero un’iniziativa particolare. Che fece scalpore. «Nel dicembre 2017 – racconta Giuseppe Purpora – abbiamo deciso di dare la cittadinanza onoraria di Chiaramonte ai bambini, figli di migranti, che sono nati in Italia. Erano circa 40: li abbiamo accolti in municipio ed abbiamo consegnato loro la pergamena». Un gesto pubblico, quasi una sorta di «ius soli simbolico»: nessun risvolto pratico, ma certamente un gesto che lascia il segno. E che viaggia di pari passo con i fenomeni di intolleranza. «I miei concittadini hanno accolto con favore la cittadinanza onoraria – aggiunge il sindaco –. Furono intervistati anche dalle tv nazionali e i pareri erano positivi. Certo, oggi ci sono anche le preoccupazioni, legittime, di chi ha perso il lavoro. C’è la preoccupazione per la crisi del mondo agricolo, ma questa non dipende dai migranti. Il problema fondamentale è il modello di sviluppo del Sud. Tutte queste scelte vengono prese altrove. Noi le subiamo. Fu così sette anni fa, quando il Cara venne aperto, è così anche adesso. Il Cara chiude e torna ad essere “cattedrale nel deserto”».

 

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