Chiara Lubich in compagnia di Paolo

Un viaggio spirituale sulle orme di Chiara Lubich e san Paolo. I punti-cardine della spiritualità dell'unità nella vita e nel pensiero della fondatrice del Movimento dei Focolari e dell'Apostolo delle genti.
San Pietro e San Paolo

Leggendo gli scritti di Chiara, possiamo dire che, sulla nuova via che Dio le ha fatto intraprendere, san Paolo è stato continuamente al suo fianco come un compagno fedele.

Chiara non ha mai scritto un trattato su di lui, né ha detto chi lui fosse per lei. Lo indica, però, come modello per la comunicazione, rispondendo ad una domanda sulla televisione: “… se san Paolo venisse oggi andrebbe alla televisione e annuncerebbe Cristo alla televisione. E lui, noi lo sappiamo, ha fatto una vita terribile, dei viaggi pericolosissimi, naufragi, ecc., tutto per comunicare. Ecco l’importante: essere un comunicatore. Ha comunicato la verità a singoli, a gruppi, ha costituito delle comunità, che poi erano le Chiese locali, e si manteneva in contatto con delle lettere famosissime, ispirate… San Paolo, essere come san Paolo, usare tutti i mezzi, tutti i mezzi: dall’internet…, tutti, tutti, tutti i mezzi, pur di trasmettere il nostro Ideale che poi è l’ideale cristiano, anche di tutti, adatto ai tempi perché siamo in tempi moderni e quindi con quest’unità che si allarga a 360°, portando questa fraternità”1. 

In tanti momenti Chiara ha trovato in san Paolo un sostegno e una conferma del suo carisma, scoprendo così una garanzia nella tradizione della Chiesa e potendo radicare profondamente nella Scrittura quanto lo Spirito Santo le suggeriva: Paolo sembrava l’incarnazione del suo Ideale.

Soprattutto Chiara sperimenta nelle lettere dell’Apostolo una grande consonanza con il suo Ideale: l’esperienza delle prime comunità cristiane le confermava la vita che si andava sviluppando nel Movimento dei Focolari. Chiara vede che in san Paolo si esprime già una spiritualità collettiva: “E tutto nei loro [san Giovanni e san Paolo] testi, nelle loro lettere, come quelle di san Paolo, tutto arrivava fino alla reciprocità, tutto arrivava fino all’unità. Anche tutte le virtù erano intese in funzione dell’unità, non erano intese in funzione di una santità personale, per esempio: l’umiltà, la pazienza, la perseveranza, la vigilanza; era tutto per arrivare all’unità”2. 

Questa sintonia potrebbe anche spiegare il fatto che Chiara all’inizio non sentiva di voler proporre qualcosa di nuovo, ma semplicemente una vita da veri cristiani.

Attraverso le citazioni che Chiara fa di san Paolo, si possono spiegare i punti della spiritualità dell’unità che convergono nei due cardini, Gesù abbandonato e l’unità. Qui vogliamo solo tracciare alcune linee, sapendo che ci sarebbero ancora molte altre cose da dire. 

Dio Amore 

Il primo punto della spiritualità dell’unità è Dio Amore. Credere nell’amore di Dio è stata la grande scoperta di Chiara che ha subito comunicato alle sue compagne. Ella trova in san Paolo una frase che le è particolarmente cara e che ripete spesso: “Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene per coloro che amano Dio” (Rm 8, 28). Chiara era convinta che ogni avvenimento nella vita dell’uomo era espressione dell’amore di Dio e ad esso era finalizzato. 

Amare 

Chiara ben presto capisce che all’amore di Dio si può rispondere solo con l’amore. In san Paolo trova le caratteristiche concrete di quest’amore che in tutta la sua vita Chiara ha cercato di mettere in pratica per arrivare all’unità: “La carità verso il prossimo, pur manifestandosi concretamente, non è se stessa, se non ha radice in un atteggiamento spirituale. Quando Paolo parla della carità, non dice che è dare il pane…, anzi chiama ‘cembalo sonante’ dar via tutto ai poveri, se non c’è un atteggiamento preciso. Afferma piuttosto che la carità è ‘longanime, è benigna, non ha invidia, non agisce invano, non si gonfia, non è ambiziosa, non è egoista, non s’irrita, non pensa il male, non si compiace dell’ingiustizia, ma gode della verità, soffre ogni cosa, ogni cosa crede, tutto spera, tutto sopporta… (1 Cor 13, 6-7)’”3. 

Amore reciproco 

Per arrivare all’unità occorre però un “di più” di amore, è necessaria la reciprocità dell’amore, un amore, come dice Chiara, “che va e che viene”. Anche qui san Paolo fa da sfondo con il suo insegnamento alle prime comunità, p.e., quando parla della sopportazione. Anche Chiara più volte spiega che sopportare l’altro non è debolezza, ma una caratteristica essenziale dell’amore: “Una delle qualità infatti dell’amore, che Paolo sottolineava per avere la carità reciproca, era la sopportazione. E questa non appariva mero atteggiamento supino… Scrive: ‘… con longaminità sopportatevi gli uni gli altri nell’amore…’ (cf. Ef 4, 2-3). Il sopportarsi è un amore che piega pur di non rompere”4. 

Parlando del comandamento di Gesù ai rappresentanti di vari Movimenti, dice: “Ora, una delle qualità… sottolineata da Paolo, per poter avere la carità reciproca, è la sopportazione… Sopportarsi è la prima espressione della carità, sopportare intanto, perché è molto meglio andare avanti uniti in un po’ di imperfezione piuttosto che disuniti con la perfezione”5. 

Farsi uno 

Per vivere l’amore cristiano, Chiara sottolinea un atteggiamento molto importante, che ritroviamo lungo gli anni in tanti scritti e che lei esprime in due parole ormai note a tanti: “farsi uno”. Anche qui san Paolo offre a Chiara un esempio di questo amore: “C’è poi un modo tipico – sempre comunque emerso dalla Scrittura – che il Movimento conosce per sapere amare: è il ‘farsi uno’ con ogni prossimo… Per amare cristianamente occorre ‘farsi uno’ con ogni fratello, come dice Paolo: ‘Farsi debole con i deboli… farsi tutto a tutti’ (cf. 1 Cor 9, 22); farsi uno: entrare il più profondamente possibile nell’animo dell’altro; capire veramente i suoi problemi, le sue esigenze; condividere le sue sofferenze, le sue gioie; chinarsi sul fratello; farsi in certo modo lui, farsi l’altro. Questo è il cristianesimo”6. 

Descrivendo l’amore al prossimo, un amore che deve essere rivolto a tutti, Chiara lo specifica così: “Farsi uno – si legge in uno scritto – con ogni persona che incontriamo: condividere i suoi sentimenti; portare i suoi pesi: sentire in noi i suoi problemi e risolverli come cosa nostra, fatta nostra dall’amore: Farsi uno con gli altri in tutto, fuorché nel peccato. È il ‘farsi tutto a tutti’ di san Paolo (cf. 1 Cor 9, 22). Questo ‘farsi uno’ esige la continua morte di noi stessi. Ma è proprio per questo che il prossimo, amato così, prima o poi, viene conquistato da Cristo che vive in noi sulla morte del nostro io.”7. 

La pratica del farsi uno porta alla reciprocità, all’unità: “… questo modo di amare, che è tipico del Movimento… ti porta…, ti fa come da piano inclinato perché anche l’altro cominci ad amare. Quindi è già un amore in funzione dell’unità”8. 

Per farsi uno, però, ci vuole un virtù, il servizio e l’umiltà, che appare già in uno dei primissimi scritti di Chiara sull’unità e che lei ritrova in san Paolo: “Più sotto è sottolineata una virtù della quale adesso si parla anche poco ed è invece essenziale all’unità con Dio e col prossimo; virtù che è indicata da san Paolo nelle sue lettere quando sprona i cristiani all’amore vicendevole per edificare l’unità. Allora qui si dice: ‘Ogni anima che vuole realizzare l’unità – che è poi il cristianesimo – deve aver un solo diritto: servire tutti perché in tutti serve Dio…’. Come san Paolo da libero farsi servo di tutti per guadagnare il maggior numero (cf. 1 Cor 19, 9)’”9. 

In san Paolo, Chiara trova un esempio concreto del farsi uno, quello che riguarda le carni sacrificate agli idoli (cf. 1 Cor 8, 1ss): “… piuttosto che turbare quelle coscienze che ancora non hanno questa conoscenza delle cose, Paolo dice: io mi faccio debole con il debole, non mangio le carni. E lui penetra in tutte le culture, si fa uno con gli altri: guardate, per esempio, il dio ignoto in Grecia; e lì si fa uno, con i giudei uno, con i romani uno, con i greci uno, si fa uno, uno con tutti. Questo perché? Perché il padrone è l’altro. E allora se è un giudeo bisogna servirlo da giudeo, e se è un greco bisogna servirlo da greco, lui si fa… ecco, e questo è il cristianesimo, questa è una cosa magnifica!”10. 

Unità di pensiero 

Per arrivare all’unità, un’altra realtà, molto cara a Chiara, è l’unità di pensiero. Ad un certo punto Chiara si è chiesta se fosse solo un suo desiderio, oppure se tale unità rappresentasse un qualcosa di essenziale: “Un aspetto dell’amore reciproco, che è venuto in maggior rilievo fin dai primi albori del nostro Movimento, ed era anch’esso una novità per i cristiani di allora, è stato il seguente: l’amore reciproco portava immediatamente tutte, e poi tutti, ad un solo pensiero; non solo quindi ad un sol cuore, ma ad un solo pensiero… Ebbene, è giusto questo? È cristianesimo? È doveroso per i cristiani?”11.

Nella prima lettera ai Corinti (1 Cor 1, 10), Chiara trova la risposta che l’unità di pensiero non è “solo un consiglio, ma una vera accorata richiesta… E notate, per san Paolo questa unità di pensiero non riguardava soltanto i punti dottrinali, ma tutta la vita nella sua pratica cristiana. Infatti quando egli parla ai Corinti sa bene che essi non erano divisi su punti dottrinali, eppure li supplica – proprio così – all’unità di pensiero su tutto”12. 

In un’altra occasione, Chiara si rende conto che non è così facile arrivare a questa unità. Però, dopo aver ripetuto il pensiero di san Paolo, si convince che è possibile e, senza equivoci, spiega bene come arrivarci: “Qui voi direte: ma è possibile! Posso essere libero di avere il mio pensiero…! Certo che sei libero di aver il tuo pensiero, ma mettilo in comunione; vedrai che vien fuori un pensiero unico. Tu pensa così, io penso così, ma se ci comunichiamo salta fuori quello che noi diciamo: il pensiero di Gesù fra noi e vien fuori. Così solo si raggiunge l’unità di pensiero”13. 

Don Pasquale Foresi, facendo riferimento alla frase di san Paolo “Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo” (1 Cor 2, 16), spiega come Chiara ha vissuto questa parola: “Chiara, fin dagli inizi del Movimento ha pensato che la vita di unità dovesse arrivare a far sì che ci sia un unico pensiero, che sarebbe poi una partecipazione al pensiero di Gesù. E ci diceva che quando conversiamo dobbiamo essere vuoti nella nostra mente per ascoltare e accogliere il pensiero dell’altro. Facendo così, la grazia dello Spirito Santo ci avrebbe suggerito la risposta. È allora infatti che possiamo comunicare all’altro col quale conversiamo il nostro pensiero, che è arricchito anche da quanto abbiamo ascoltato, e si arriva così al pensiero che crediamo sia quello di Gesù”14.

 In un altro momento Chiara dice esplicitamente che l’unità di pensiero è il pensiero di Gesù in mezzo a noi: “Paolo voleva che avessimo – noi cristiani – anche un solo pensiero, che è il pensiero di Cristo in mezzo a noi; magari non è né il mio né il tuo, ma è il suo”15. 

L’ora della verità 

Un altro mezzo per arrivare all’unità piena è l’ammonimento reciproco, o come lo chiama Chiara, “l’ora della verità”. In certi momenti forti, p.e. durante un ritiro, i membri di un gruppo del Movimento (focolare, nucleo, unità), si radunano e, messo a base l’amore reciproco, cioè l’esser pronti a dare la vita uno per l’altro, a turno ciascuno comunica al fratello o alla sorella un punto nel quale migliorarsi e un aspetto positivo.

Anche per questo strumento della spiritualità dell’unità, scaturito dalla vita del Vangelo, Chiara trova in san Paolo il fratello nella fede che la conferma (Col 3, 16; 2 Cor 13, 2; Eb 10, 24-25). Chiara dice espressamente che, agli inizi del Movimento, era proprio questa pratica a tener viva l’unità fra di loro16. 

Gesù abbandonato 

Per arrivare all’unità e per vivere tutti questi aspetti dell’amore reciproco, Chiara ha ben presto capito che c’è un modello: Gesù abbandonato17. Leggiamo soltanto alcuni brani, nei quali Chiara, parlando di questo punto cardine della spiritualità dell’unità, si riferisce esplicitamente a san Paolo.

Probabilmente Chiara sente più vicino l’Apostolo quando, leggendo 1 Cor 2, 2, scopre che “Gesù crocifisso” per san Paolo era l’ideale della sua vita: “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso”. Non si tratta di amare il dolore in sé, ma di amare Cristo che soffre in noi e negli altri e, amandolo, risorgere con Lui. Gesù crocifisso, infatti, non è mai fine a se stesso, ma è sempre la chiave per arrivare all’unità con Dio, la nostra meta.

Come per Chiara anche per san Paolo la croce non ha un valore per se stessa, ma in quanto è un passaggio che, dando senso al nostro dolore, ci porta ad essere una cosa sola con Gesù e a dare il nostro contributo per sanare il suo Corpo, la Chiesa: “Il dolore nei cristiani non è che una partecipazione ai dolori di Cristo: ‘Completo nella mia carne, quel che manca ai patimenti di Cristo a pro del suo Corpo, la Chiesa’ (Col 1, 24). Anzi è Cristo stesso che continua a vivere nei cristiani, a soffrire. Gesù a Paolo, sulla via di Damasco, ha detto: ‘Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?’ (At 9, 5). Quando il cristiano soffre è più giusto dire che è Cristo che soffre in lui; quando muore è Cristo che muore in lui. Per i cristiani, in certo modo, il dolore, la croce, la morte non esistono: esiste Cristo crocifisso che continua a soffrire e a morire per essi”18. 

Gesù, essendo uomo e Dio, non è solo modello nostro, ma è anche l’unica strada per arrivare al Padre: “Con essa anche il corpo ‘debole’ e suscettibile di dolore e di morte di Gesù è trasfigurato, glorificato (cf. 2 Cor 13, 4), atto a salire alla destra del Padre. Così l’Uomo-Dio risuscitato apre la porta della Trinità agli uomini redenti. E da quel fortunato tempo in cui Cristo visse, morì e risuscitò, Egli è divenuto la Via, il modello per ognuno di noi. Il cristiano, come Gesù, deve amare il Padre e perciò fare la sua volontà e sottomettersi a Lui. E la volontà di Dio sul cristiano è che arrivi egli pure alla gloria, alla felicità, per il cammino della croce, come Gesù”19. 

Gesù stesso, dice Chiara, ci insegna come seguirlo, quando dice: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). Anche in questo caso Paolo offre una conferma: “Seguire Gesù è anzitutto rinuncia. È il rinneghi se stesso, che nel mondo oggi non si vuole comprendere, nell’illusione di un cristianesimo senza difficoltà. Ma la dottrina di Gesù è chiara e forte: altro che assenza di freni morali! Dice Paolo: ‘Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazioni, impurità, passioni, desideri cattivi e quell’avarizia insaziabile che è idolatria’ (Col 3, 5), perché aspirare alle cose terrene è condursi ‘da nemici della croce di Cristo’ (Fil 3, 18)”20. 

Per Chiara Gesù crocifisso rivela ancora un’altra realtà. Lei vede in Gesù “il sacrificio”, colui che in sé, nel suo corpo, unisce le persone alla volontà di Dio: “‘Entrando nel mondo, Cristo dice: ‘Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà’ (Eb 10, 5-7). Il sacrificio di quel corpo, dell’Uomo-Dio, è fare la volontà di Dio”21. 

Chiara comprende che se facciamo come Gesù la volontà di Dio, anche noi possiamo diventare “sacrificio vivente” come dice san Paolo: “Inoltre, un corpo Dio l’ha dato anche a noi perché per mezzo di questo gli obbediamo. Un obbedire che significa adempiere – una volta santificati e fatti fratelli di Gesù – la sua volontà… Paolo si esprimeva così: ‘Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale’ (Rm 12, 1)”22. 

Penetrando il volto particolare con il quale le si è manifestato, Chiara capisce che Gesù abbandonato è maestro di unità. Noi, amando Lui crocifisso e abbandonato, possiamo in Lui risorgere ed essere artefici dell’unità soprannaturale. Riferendosi a san Paolo, Chiara fa vedere come, vivendo già in questa realtà, arriviamo veramente ad essere risorti: “Gesù è diventato ‘causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono’ (Eb 5, 9). Sì, perché la parte sua è fatta. Tutto il debito al Padre dell’umanità peccatrice è pagato”23. 

“Ma, per usufruire di tanta grazia, anche l’uomo deve fare una sua piccola parte. Innanzi tutto accettare nella fede questo dono di Dio, che gli viene trasmesso col battesimo. Con esso siamo morti e sepolti con Cristo. E per esso risorgeremo”24. 

Gesù, che si è fatto uomo, che ha riportato l’unità fra di noi, ci riporta al Padre come fratelli suoi proprio nel momento dell’abbandono: “Gesù nell’abbandono, ridottosi, per così dire, a semplice uomo, divenne nostro fratello; ma essendo Dio, ha elevato la nostra convivenza ad una fraternità soprannaturale: ci ha fatto uno con Lui… ‘Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da uno solo; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli’ (Eb 2, 11)”25. 

Espresso in un altro modo, Gesù abbandonato ci porta ad essere nuove creature: “Il Padre, vedendo Gesù obbediente fino al punto d’esser pronto a rigenerare i suoi figli, a donargli una ‘nuova creazione’ (2 Cor 5, 17), il Padre lo vide così simile a sé, quasi un altro Padre, da distinguerlo da sé"26. “Però il Padre risponde a quell’amore con la sua potenza e compie un atto, che mai aveva compiuto dopo la creazione, cioè la ‘nuova creazione’: la risurrezione”27. 

Seguire Gesù abbandonato ci porta singolarmente ad essere creature nuove, altri Gesù, ma anche perfetti nell’unità, come dice Chiara: “… se Gesù era in me, se Gesù era nell’altro, se Gesù era in tutti, saremmo stati, in quell’attimo, perfetti nell’unità. Ma – ripeto – perché Gesù fosse in noi dovevamo amare Gesù Abbandonato in tutti i dolori, vuoti, fallimenti e tristezze della vita. Se Gesù era in me e negli altri, incontrandoci, ci riconoscevamo l’uno nell’altro, perché era Dio in me e Dio nell’altro e Dio in tutti. E soltanto allora ci sentivamo fratelli. E la grazia ci spingeva a vivere questo ideale con decisione e perseveranza proprio perché la perfezione dell’unità non venisse mai meno”28. 

E vivendo Gesù abbandonato, non solo noi diventiamo nuove creature, ma portiamo altri a vivere con noi. e anche qui Chiara si ricorda san Paolo: “Inoltre, vivendo così, attorno a noi si moltiplicavano le conversioni. Era presente nella nostra anima la Parola: ‘Senza spargimento di sangue non c’è perdono’(Eb 9, 22). E anche senza spargimento di sangue non ci sono capovolgimenti di anime… Si sperimentava che, inchiodati in croce, si era madre e padre di anime”29. 

Concludendo possiamo dire che Paolo ci ha aiutato a capire più profondamente come questi due punti cardini della spiritualità di Chiara, l’unità e Gesù abbandonato, conducono alla realizzazione dell’ut omnes unum sint (Gv 17, 21). 

 

NOTE

1 C. Lubich, Risposte (Castel Gandolfo, 10.02.2002).

2 Id., Secondo tema sulla spiritualità collettiva, ai volontari/e (Rocca di Papa, 2.12.1995).

3 Id., La carità come ideale, Città Nuova, Roma 1971, p. 24.

4 Ibid., pp. 41-42.

5 Id., L’unità fra i Movimenti è possibile con l’attuazione fra noi del Comandamento nuovo di Gesù, dovere di tutti i cristiani, discorso al Convegno dei Movimenti (Speyer, 08.06.1999).

6 Id., “… l’avete fatto a me”, intervento al Congresso del Movimento dei religiosi (Castel Gandolfo, 30.03.1989).

7 Id., Una via nuova, cit., p. 38.

8 Id., Diario (Rocca di Papa, 5.11.95).

9 Id., L’unità e Gesù Abbandonato, cit., p. 30.

10 Id., L’unità, ai focolarini (Rocca di Papa, 5.10.81).

11 Id., La carità come ideale, cit., p. 34.

12 Ibid., pp. 34-36.

13 Id., L’unità fra i Movimenti…, cit.

14 P. Foresi, Risposte a domande (24.12.2000).

15 C. Lubich, Verso una spiritualità dell’unità, discorso all’Istituto Ecumenico di Bossey (26.10.2002).

16 Id., La carità come Ideale, cit., pp. 64-65.

17 Cf. id., Il grido, cit., p. 11.

18 Id., Il dolore e la morte, ai focolarini (Rocca di Papa, 5.12.1971).

19 Id., Il grido, cit., p. 14.

20 Ibid., p. 15.

21 Ibid., pp. 17-18.

22 Ibid., p. 26.

23 Id, Gesù crocifisso e abbandonato, ai focolarini, (Rocca di Papa, 6.12.1971).

24 Id., Il grido, cit., p. 26. Chiara cita in nota Rm 6, 3-4.

25 Ibid., p. 25.

26 Ibid., p. 20.

27 Ibid., p. 14.

28 Ibid., p. 50.

29 Ibid. 

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