Chiamarli per nome

NON M’IMPORTA SE NON MI RICONOSCERANNO Emilia ama le rose ed ogni tanto vorrebbe far colazione anche lei con il cornetto ed il cappuccino, come fanno quelli vestiti bene che si fermano al bar di fronte a dove sta lei. Mi ero dimenticata di dire che è una donna dall’età indefinita, grassa e con gli occhi azzurri. Dorme alla stazione e mangia alla mensa. Di giorno, invece, sta a piazza Navona. Saluta tutti e dice: Ciao, ‘ni!. Mi prende la mano e la tiene tra le sue. Non la lascia e mi strappa un sorriso. Di fronte a lei c’è Aziz, tunisino. Nella bocca parole straniere e vino scadente. Sul volto, i segni dei pugni presi; sulle mani, i segni di quelli dati. Di sera viene qui, mangia in fretta e poi va subito via, perché lui ha da fare. Chissà di giorno dove va e chissà dove dorme la notte. Olga ha ottant’anni e copre la pasta con un fazzoletto: che nessuno gliela porti via! Biascica parole senza senso, ma improvvisamente si zittisce e apre la sua bocca senza labbra in un sorriso nero, sdentato, che ti fa pensare che il cielo sarà per quelli come lei. Il cielo sarà per questi uomini senza nome e senza passaporto, con la provenienza che gli colora la pelle. Gonfi e confusi stanno qui, e non ti importa più sapere chi sono tra loro i buoni e chi i cattivi. Qui gli uomini e le donne sono, come te, persone. Qui, più che altrove, è chiaro e visibile il segno del divino che abita in loro. Mohammed è africano: gli occhi di calce mobilissimi si fermano su di me quando chiedo se ha bisogno di qualcosa. Due sillabe: Acqua, mi dice, e poi niente più. Mario è diverso: un sortilegio gli ha portato via il sonno. Tanto vale allora bere tutti i caffè che vuole! Lui è romano de Roma. Nato a Prati, vive al quartiere Africano: la casa è sua e quella non gliela possono portare via. Mi raccomanda di tornare, di stare attenta e di trovare un bravo ragazzo che mi sposi. Vorrei chiedergli come è finito lì. Ma mi accorgo che, in fondo, non ha importanza ciò che vorrei sapere io, ma solo ciò che a lui interessa dire. Caterina è lombarda, ma non si ricorda più di quale città. L’aiuto a conservare mezzo limone che a lei serve per passarlo sulla pelle. Qualcuno ai giardini le ha detto che fa bene. Lei ha studiato, ma tanto tempo fa. Ha cercato di correggere il suo accento, senza perderlo però. In fondo, non ci tiene a sembrare romana! È quasi cieca, ma riesce ancora a truccarsi. Da 20 anni, Maria Grazia crede di essere seguita da un uomo che vuole ucciderla. Sente scricchiolii e voci strane, e ride dicendomi che nella vita ha fatto tante cavolate, alcune molto gravi davvero. E intanto ride. Anche lei mi chiede se tornerò, perché qui ci stanno solo matti e nun se po’ parlà co’ nessuno. Poi cambia il turno. Vado ad asciugare i vassoi. Ecco: questo è per Emilia, questo per Aziz, questo per Olga. torno, per imparare a non considerare più nessuno tangente alla mia vita. Voglio tornarci, perché mi aspettano, e non mi importa se non mi riconosceranno. Anna M. – Roma QUALCOSA NON ANDAVA Lavoro da una quindicina d’anni presso un istituto per anziani del vicentino. Vi ero entrata con grande entusiasmo, subito però ridimensionato. Mi sono resa conto della sofferenza dell’anziano in istituto, che vive dapprima la perdita del proprio lavoro, del proprio ruolo nella società, quindi delle persone care, degli affetti, e infine viene sradicato dalla sua casa. Ho capito che non bastava quindi rispondere ai loro bisogni primari, ma dovevo puntare al rapporto personale con ciascuna delle ospiti, mettendomi nella posizione di servizio e di ascolto. Pian piano ho conosciuto la loro storia, un passato ricco di gioie, di difficoltà, e il loro sentirsi ora sole ed inutili. Rosina, ad esempio, è tanto depressa da desiderare di morire. Cerco di starle vicina per quanto mi è possibile. In questa tensione, ogni gesto della vita quotidiana diventa importante: una tazza di tè, il saluto personale, sistemare lo scialle, allacciare una scarpa… Sono piccole attenzioni fatte con amore che mi danno occasione di entrare in rapporto con ciascuna. Ciò mi dà modo di cogliere lo stato d’animo, avviare un discorso, o semplicemente rasserenare. Certo non è sempre facile calarsi nel mondo dell’anziano, dove tutto va a rilento. Con Antonia, ad esempio, se la si accompagna a fare una passeggiata, bisogna rallentare il passo. Carolina, invece, chiama ogni volta che mi vede, perché ha bisogno di attenzioni, di essere guardata; e ciò, in verità, mi mette a dura prova. È faticoso infatti lasciare un lavoro iniziato per fermarmi da lei, mi devo fare violenza. Ma sento che al primo posto devo mettere la persona, e poi il lavoro programmato. Agire in questo modo mi ha fatto maturare anche professionalmente, rendendomi più attenta nel cogliere un malessere, uno stato febbrile, un eccessivo nervosismo, l’insorgere di qualche gonfiore… Una mattina, fermandomi a salutare le mie signore, avevo notato che c’era qualcosa di strano nella signora Erminia, la vedevo diversa dal solito. Le ho chiesto come stava, se c’era qualcosa che non andava, e lei mi ha rassicurata che andava tutto bene Momentaneamente tranquillizzata, ho deciso di farla vedere ugualmente dall’infermiera, pur non avendo dati obiettivi che mi facessero pensare altrimenti. L’infermiera in effetti ha costatato un possibile inizio di emiparesi. Dopo qualche ora mi ha chiamata sottolineandomi che proprio per quel qualcosa che non andava che avevo notato era stato possibile praticare per la signora Erminia una terapia d’urgenza evitando il peggio.

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