Charlie Hebdo violenza e libertà

L’attentato alla redazione del settimanale satirico parigino ripropone la questione della guerra santa lanciata da tanti musulmani contro l’Occidente: ma bisogna capirne i motivi profondi
Charlie Hebdo

La guerra santa, il tanto famoso jihad – in realtà si tratta del “piccolo” jihad rivolto contro gli infedeli, mentre il “grande” jihad è al contrario rivolto contro le pulsioni personali – ha colpito nel cuore della capitale parigina, simbolo di tutto ciò che certi musulmani radicali e fanatici non accettano, in particolare la dissacrazione della religione e la corrispondente sacralizzazione della libertà e della libertà di peccare contro Dio e contro gli uomini. Sostanzialmente il mondo musulmano non accetta che Dio sia stato bandito dalle società: alcune frange estremiste imbracciano le armi per combattere questa tendenza.

L’interpretazione fatta del Corano in senso jihadista dai leader di questi gruppi fanatici, Bin Laden e al-Baghdadi in testa – libro considerato d’ispirazione divina fin nei minimi dettagli – in realtà è una delle tante interpretazioni che ne possono essere fatte, certamente non la sola. L’assenza di istituzioni universalmente accettate nel mondo islamico per l’interpretazione del Corano – l’università al Azhar non ha più l’autorevolezza universale che negli anni Ottanta e Novanta le veniva riconosciuta – non può che favorire l’insorgenza di gruppi incontrollabili che spargono sangue, violenza e totale disprezzo per i diritti umani nel cuore della globalizzazione, dei cui strumenti si servono a piene mani (vedi i tanti network televisivi).

La condanna di tali efferatezze non può che essere totale e definitiva. Ma il problema, enorme problema, è che ormai questi gruppuscoli sono un popolo transfrontaliero che si esprime su Facebook, su Instagram e Twitter. Senza pudore. Se le condanne all’attentato di Parigi sono state unanimi nel mondo Occidentale e, va detto, anche tra le “autorità” musulmane, tra il miliardo e mezzo, o quasi, di musulmani, quanti sono coloro che hanno applaudito esplicitamente o in cuor loro all’attentato contro i blasfemi di Charlie Hebdo?

Ed è qui il problema, enorme problema. Come siamo arrivati fin qui? La guerra d’Algeria (non a caso due degli attentatori vengono da lì); mezzo secolo di irrisolti conflitti tra israeliani e palestinesi; lo sfruttamento del petrolio dei Paesi mediorientali da parte delle Sette sorelle (oggi sono di più); la crescita di regimi come quelli del Golfo Persico che predicano bene e razzolano male, finanziando contemporaneamente la Formula Uno e il fondamentalismo islamico; le due campagne d’Iraq dei Bush, padre e figlio; la guerra d’Afghanistan; le due guerre di Gaza; l’isolamento decretato contro l’Iran da trent’anni; le campagne russe in Cecenia, Cabardino-Balcaria, Ossezia del Nord, Inguscezia e Daghestan contro gli irredentisti caucasici di fede musulmana; le Rivoluzioni arabe finite male; il disprezzo di tanti occidentali per tutto ciò che sa di Islam e l’altrettanto forte disprezzo di tanti musulmani per tutto ciò che sa di Cristianesimo; la mancata vigilanza da parte dei governanti dei Paesi musulmani verso coloro che predicano morte e violenze contro gli infedeli… Stiamo quasi riuscendo a rendere reale quella che era forse solo una teoria, sullo scontro tra civiltà! Ci siamo in qualche modo creato un nemico, dopo il crollo del socialismo reale, ed ora questo nemico è giunto nel cuore delle nostre metropoli.

Vogliamo guardare lucidamente e non emotivamente a questo mezzo secolo di vento seminato che raccoglie ora tempesta? E ci meravigliamo? Vogliamo capire che ci sono milioni di giovani, e meno giovani ormai, che non hanno conosciuto altro che la guerra in queste terre martoriate? Terre in cui il sistema scolastico è ridotto a poca cosa, in cui la disoccupazione è largamente oltre il 50 per cento, in cui solo chi grida più forte viene ascoltato, in cui il culto delle armi (vendute in massima parte dai commercianti europei e statunitensi) fiancheggia il culto fondamentalista.

Servirebbe una Conferenza di pace universale per cercare di rispondere concretamente alle sfide lanciate dal “piccolo” jihad ormai sminuzzato, parcellizzato, incontrollabile per le mille schegge impazzite che sono conficcate anche qui da noi. La preghiera promossa da papa Francesco con Peres e Abu Mazen nei giardini vaticani ne è il primo e profetico esempio.

Ora è certamente giunto il tempo della difesa, del lavoro di smantellamento delle reti radicali e fanatiche jihadiste, in particolare in Europa. È pure il tempo di difendere le preziose gemme della libertà, della difesa dei diritti dell’uomo e anche della vera democrazia conquistate dall’Europa e dalle sue culture dopo le catastrofi immani delle guerre mondiali. Ma ciò non basta, non può bastare e non basterà: bisogna avviare uno, cento, mille cammini di riconciliazione e perdono, di accettazione delle diversità e di ricerca della giustizia. Ce ne sono già tanti di questi cammini, tra i cristiani, tra i musulmani, tra gli uomini e le donne di buona volontà: basterebbe percorrerli e magari appoggiarli finanziariamente, invece di foraggiare le guerre e il commercio d’armi. Serve un sussulto d’intelligenza e di cuore per uscire dal vicolo cieco nel quale ci siamo ficcati.

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