C’è bisogno di dialogo

L’annuncio che Benedetto XVI partecipasse di persona alla celebrazione per i venticinque anni della Giornata mondiale di preghiera per la pace lo si attendeva da tempo.
Assisi

L’annuncio che Benedetto XVI partecipasse di persona alla celebrazione per i venticinque anni della Giornata mondiale di preghiera per la pace che Giovanni Paolo II convocò ad Assisi nel 1986 lo si attendeva da tempo. Con Assisi 1986, ripreso nel 2002, in un mondo ferito dall’attacco alle Torri Gemelle, Giovanni Paolo II aveva lanciato un nuovo paradigma di rapporto fra le religioni. Ormai da tempo la Chiesa cattolica parlava di dialogo, il mondo stava sempre più diventando globale ed erano già partiti i processi migratori che avrebbero ridisegnato la mappa mondiale delle religioni. Tuttavia, il gesto di Giovanni Paolo II aveva avuto il coraggio dei profeti.

 

Come tutti gli atti dei profeti è stato osannato, ma anche criticato. E anche all’interno della Chiesa non erano pochi quelli che avvertivano e hanno continuato a paventare, per anni, l’ombra minacciosa del relativismo. Il quarto di secolo che abbiamo visto scorrerci davanti agli occhi ha dato ragione al papa polacco, che sapeva come il collante fra i seguaci delle diverse tradizioni non sarebbe stato tanto il discutere teologico, ma la vita e il lavorare insieme per la pace.

 

Il mondo è cambiato in questi venticinque anni. Il ruolo di Benedetto XVI nella Chiesa e sulla scena internazionale, come ha dimostrato in questi sei anni non facili, sta sempre più venendo in evidenza come quello di sapere leggere la realtà mondiale, a livello culturale e religioso, difendendo i diritti inalienabili dell’uomo, soprattutto il diritto alla libertà religiosa, come garanzia di pace. Che «le grandi religioni possano costituire un importante fattore di unità e di pace per la famiglia umana» significa offrire una chiave di lettura alternativa a quello scontro di civiltà che per molti rappresenta il fondo della strada che il mondo sta percorrendo. Benedetto XVI con la sua decisione di recarsi «pellegrino nella città di san Francesco» si pone sulla scia delle scelte profetiche di Giovanni Paolo II e di Paolo VI. E lo fa, mettendo l’accento sull’«impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace».

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Mediterraneo di fraternità

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons