Caso Diciotti e dignità umana

L’esempio della Cei ci dimostra la priorità che occorre dare all’accoglienza del povero e dello straniero. Ma non servono le polemiche davanti ad una questione complessa

Il Caso Diciotti scoppiato in questi giorni è l’ennesima riprova di come un clima infuocato, a livello politico e di opinione pubblica, insieme all’indifferenza verso una emergenza come quella migratoria, possano portare a crisi istituzionali, incapacità di ascolto reciproco, di dialogo e, quindi, di soluzioni feconde perché condivise. Responsabilità del governo, certo, ma anche di rapporti internazionali che non sono in grado di agire profeticamente su una questione complessa come quella attuale.

Come sottolineato dal vescovo di Agrigento, mons. Montenegro, questo ennesimo tragico fatto sulla pelle dei più poveri dimostra che l’Europa, di fatto, non c’è, perché la somma di tanti egoismi non fa comunità. E questa incapacità di fare comunità ha conseguenze inumane: ci troviamo a trattare persone come merci di contrattazione politica.

Attenzione, non possiamo sottovalutare il fatto riducendolo a un semplice errore del governo, né all’ennesima sparata del ministro degli Interni. La questione è molto più complessa e grave: merita più capacità di analisi, più attenzione, più amore da parte nostra.

Anche perché con l’annuncio dell’inchiesta per sequestro di persona, da parte dei pm di Agrigento, sul ministro Salvini, si delinea un nuovo scontro istituzionale, dopo quello di fine maggio con la formazione del nuovo governo, di cui non abbiamo proprio bisogno e che conferma il livello di scontro pubblico nel nostro Paese. Uno scontro che non fa che renderci sempre più polemici, incapaci di trovare soluzioni e avvantaggiare chi, scontrandosi, prende consensi illudendo se stesso e i propri elettori sulla pelle dei più deboli.

Quello che è accaduto con il caso Diciotti, non è una questione semplice. Non si tratta di un governo fascista e razzista che inspiegabilmente indigna l’Europa perché non vuole accogliere. Non si tratta di un gommone lasciato in mezzo al mare. Sarebbe comodo fosse così, ci darebbe più sicurezze, avremmo chiaro dove sta il bene e dove il male, cosa che nella realtà politica capita molto di rado. Si tratta di veri e propri ostaggi umani della politica internazionale, italiana compresa.

Va detto con chiarezza, ci sono principi non negoziabili: il povero e lo straniero vanno accolti. In questo senso, è stata profetica la disponibilità data dalla Cei ad accogliere 100 migranti che ha, di fatto, sbloccato lo stallo. Ma anche l’amore per il “Bene Comune” e, quindi, la rinuncia alla polemica spicciola sono valori altrettanto fondamentali, soprattutto in uno scenario così grave, incerto e complesso.

Il caso non riguarda solo il nostro governo; ha a che fare con una tratta di esseri umani che sfrutta la disperazione, che parte dal nord Africa e a cui non riusciamo a porre freno; riguarda una incomprensibile irresponsabilità europea nel lasciare l’Italia e i Paesi di frontiera da soli; riguarda l’eroismo straordinario, nella sua quotidianità, della nostra guardia costiera.

La tragicità dell’episodio a cui abbiamo assistito sta nel suo essere immagine delle contraddizioni della nostra società schiacciata tra sincere e nobili intenzioni e ignobile indifferenza e avarizia. Se le cose stanno così, non possiamo trasformare il caso Diciotti in una ennesima polemica tra partiti.

Ci troviamo schiacciato in faccia il frutto delle nostre contraddizioni e di quelle dell’Occidente, in cui ci commuoviamo con link via social e non muoviamo un dito per il povero sotto casa nostra. Solo la profezia, la capacità di vedere e fare il bene senza cedere nulla alla logica del capro espiatorio o del mostro in prima pagina, sarà capace di generare futuro nelle contraddizioni.

Non abbiamo bisogno di battaglie di civiltà, di richiami alle armi. Ma di solidarietà sincera e diffusa, non quella a buon mercato che luccica nelle vetrine social, di ascolto, di intelligenza che sa approfondire prima di sbandierare opinioni, di amore del Bene comune.

Occorre stare attenti a non cadere nell’indifferenza o nella difesa dell’indifendibile, a non mischiarci tra la folla di coloro che, ancora e dopo 2000 anni, urlano “crocifiggilo” come se la storia e la vita non ci insegnassero nulla. Ma attenzione: se furono i Romani a crocifiggere, probabilmente tra chi urlava loro di farlo c’erano i loro più fervidi nemici, gli zeloti.

Lo scontro tra fazioni ci porta a odiare la verità e amare la semplificazione, la rinuncia all’ascolto del diverso. È davvero impossibile una politica che sappia mettere insieme i valori non negoziabili del soccorso del più debole e della rinuncia alla polemica partitica?

 

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