Caro Ippocrate..

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Se Ippocrate avesse potuto ascoltare, ne siamo certi, si sarebbe sentito risarcito di tante delusioni e tradimenti procuratigli da quei medici che all’inizio della professione hanno giurato in suo nome. Perché colui che è considerato il padre della medicina, che fondò una vera e propria scuola medica e regolò in maniera precisa le norme di comportamento del medico, raccolte nel suo famoso giuramento, ne ha viste proprio tante. Ma è anche probabile che il medico greco morto nel 377 a. C. non avesse immaginato che il suo metodo avrebbe fatto scuola fino ad oggi, resistendo all’usura dei secoli e dei millenni. E già questo fa pensare che deve esserci qualcosa di eccezionale nel suo pensiero, in un mondo come il nostro che cambia rapidamente. Ma di cosa si sarebbe dovuto rallegrare Ippocrate? Beh, intanto di vedere riuniti a Roma circa 650 tra medici e operatori sanitari provenienti da 35 nazioni. Di vedere collegati via satellite 54 Paesi dal Giappone agli Stati Uniti, dalla Siberia alla Tanzania. Di sapere che a riflettere sulle sfide della prassi medica si erano ritrovati professionisti affermati, medici in formazione, studenti alle prime armi, con la partecipazione, tra gli altri, delle massime autorità dell’Università cattolica e del Policlinico Gemelli. Comunicazione e relazionalità in medicina. Nuove prospettive per l’agire medico era l’argomento del confronto fatto di riflessioni, testimonianze, presentazione di progetti a livello internazionale, di modelli applicativi. Nell’Auditorium dell’Università cattolica si erano alternati 46 relatori di 17 Paesi, con varie competenze, iter formativi e background culturali, impegnati nei diversi campi della medicina. Non a caso a questo convegno erano stati attribuiti ben nove crediti formativi europei (educazione continua in medicina U.e.m.s.). Questo il quadro di riferimento. Ma, in effetti, cosa è successo nei due giorni del convegno? Capita in tutte le professioni che si parta con certe idealità e che cammin facendo ci si scontri con le difficoltà ri- manendone a volte schiacciati. Quale insegnante, quale giornalista, quale funzionario… non ha mai provato questo sentimento? Figurarsi il medico, che per professione ha scelto di trovarsi quotidianamente a contatto col dolore, la malattia, la morte anche. Abbiamo già visto (cfr. Città nuova 3/2007) quanto sia importante partire dalla interrelazione nella prassi medica, al punto quasi da considerarla un elemento fondamentale di una terapia efficace. Ma certo da un convegno di questo livello ci si aspetta anche degli sviluppi, delle proposte operative, degli obiettivi. Che infatti non sono mancati. Si va da un gruppo di studio internazionale per l’elaborazione di linee culturali sulle tematiche emerse dal congresso, a seminari di approfondimento e confronto della prassi medica nelle specifiche discipline; da corsi di formazione, all’elaborazione di proposte per introdurre nei curricula universitari moduli formativi sulla comunicazione e relazionalità. E per passare dalla formazione alla concretizzazione si intende sviluppare dei modelli applicativi, come ad esempio progetti basati sull’interdipendenza (tra servizi, enti, istituzioni, sistemi sanitari); protocolli di ricerca che riconoscano l’efficacia di una metodologia basata sulla reciprocità; sviluppo di sinergie tra associazioni, privati, enti che promuovono servizi per la valorizzazione della relazione in medicina Tra i progetti, il primo che sarà realizzato nell’anno in corso è l’edizione di una raccolta di elaborati scritti da professori di varie discipline mediche, che hanno voluto offrire quasi un distillato della loro esperienza professionale alla luce della relazionalità. Da questi testi traspare quella che si potrebbe definire l’essenza dell’arte medica. Per dare rilievo adeguato a questo progetto, si è pensato ad una presentazione ufficiale del volume che raccoglierà questi contributi. Ippocrate, dicevamo. Sarebbe stato contento ad esempio di sentire il prof. Catananti, direttore del Policlinico Gemelli parlare della necessità di ripensare l’idea di progresso medico a partire dalla considerazione che la medicina non è una scienza ma una pratica umana basata sui valori e che si supereranno tante difficoltà del sistema sanitario se prevarranno le ragioni del cuore. In qualsiasi casa andrò io vi entrerò per il sollievo dei malati, ricordava il senatore Ignazio Marino, presidente della Commissione sanità e igiene del Senato della Repubblica, riferendosi ad un passaggio del giuramento di Ippocrate.Un incontro, quello tra medico e malato, che avviene non per produrre una fattura, né per raggiungere l’eccellenza clinica, come succede in tanti casi, ma per curare e sanare, tornando a dare valenza umana alla professione medica. E se a dirlo era un luminare dei trapianti… Auguro a ciascuno dei presenti di essere uomini e donne capaci di far nascere e crescere una medicina secondo il cuore di Dio, sosteneva nel suo messaggio la fondatrice dei Focolari, Chiara Lubich. Sarebbe il massimo. MESSAGGI Il papa non ha mancato di far pervenire, attraverso il segretario di stato card. Bertone, un suo messaggio nel quale, tra l’altro, ricordava come l’importanza della dimensione relazionale nell’attività medica sia data dalla centralità che essa occupa nella professione medica stessa. E sottolineava poi che sarebbe tuttavia un errore identificare nella capacità relazionale e comunicativa il tutto della persona umana negando, a chi questa capacità non ha, il valore intrinseco e oggettivo che appartiene alla persona umana come tale (…). Le nuove prospettive a cui si riferisce il titolo del Congresso sono dunque da leggere nell’ottica di una capacità comunicativa che ponga l’essere uomo al di sopra di quei valori fittizi che vengono sempre più imposti dalla società moderna: l’efficienza, la produttività, l’autonomia. E il ministro della salute Livia Turco, esprimendo profondo interesse per i temi affrontati aggiungeva: Ogni energia spesa per cercare di intervenire nel complesso mondo della sanità, deve essere orientata affinché ogni donna, ogni anziano, ogni giovane, ogni bambino veda tutelato il diritto al godimento di un livello di salute fisica e mentale il più alto possibile, senza distinzione di razza, credo politico, condizioni economiche e sociali, in qualsiasi momento della propria esistenza. Toccante un altro passaggio dell’ampio messaggio: La iperspecializzazione della medicina porta a risultati importanti, ma ciò richiede collaborazione interdisciplinare, condivisione, diffusione del sapere scientifico, umanizzazione, sia per quanto riguarda il paziente, sia per quanto riguarda la figura dei medici. Dobbiamo migliorare l’assistenza e, quindi, l’attenzione al paziente, che non è mai un numero, ma un essere umano che chiede empatia, soprattutto quando si trova ad affrontare i disagi più gravi.

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