Capolavori letterari (seconda puntata)

Cercando la verità. Venti autori (da Pasternak a beckett, a Testori) per capire il Novecento.
Le Duo Opera di Giorgio De Chirico.

Prosegue dal numero precedente l’elenco di autori e opere del secolo scorso che hanno spiritualmente e culturalmente contribuito alla ricerca della verità.

 

11) A. de Saint-Exupéry, Il piccolo principe (1943). L’autore, che si sentiva un cristiano abbandonato dalla grazia, ma pregava, e che aveva perduto la propria infanzia ma continuava a ispirarvisi, ha creato un personaggio stellare-infantile che rispecchia e rigetta il non-essere dell’uomo moderno schiavo dell’intelligenza calcolatrice, mentre è e resta vero il contrario, che «non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi».

 

12) M. Horkheimer – T. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo (1947). Il non cristiano Horkheimer e il non credente Adorno spiegano, in un libro magistrale e impareggiabile, che «l’Illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l’obbiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata splende all’insegna di trionfale sventura». Chi ha il coraggio di leggere può capire molto dell’oggi.

 

13) B. Pasternak, Poesie. Non c’è un poeta, come Pasternak, tanto infrangibile dalla storia (russa), e che storia: rivoluzioni, dittatura, poi per lui Nobel e abbandono finale a Dio; e tanto unito alla natura da una vera, cosmica e religiosa, identificazione con essa. Marina Cvetaeva, grande poetessa sua amica, ha scritto con felice visione che prima di lui «la natura veniva data attraverso l’uomo. In Pasternak è una natura senza uomo, l’uomo è presente in lei solo nella misura in cui la natura si esprime con le parole dell’uomo. (…) Pasternak va letto in un bosco, da soli, senza preoccuparsi se è un bosco di foglie o un Pasternak di fogli».

 

14) E. Ionesco, La cantatrice calva (1950). Meraviglioso apocalittico terremoto del linguaggio (cioè dell’uso della lingua) che rivela e mette allo scoperto tutto il nonsenso non-comunicativo dell’Europa "progredita". «E la cantatrice calva? – Si pettina sempre allo stesso modo».

 

15) S. Beckett, Aspettando Godot (1952). Si aspetta drammaticamente, grottescamente, infinitamente ciò o chi, appunto perché lo si aspetta lì fermi (vedi S. Weil), non può mai venire. Anche se si tratta del Dio nascosto e ridotto a un ninnolo, a una mascotte (God più il vezzeggiativo –ot).

 

16) C. Milosz, Poesie. La mente prigioniera. La mia Europa. Il grande polacco-lituano costretto ad attraversare ogni confine e a percorrere ogni lontananza, politica e culturale-letteraria, è guidato solo dall’attenzione alla vita e dalla responsabilità spirituale, nel rispetto di ogni uomo e di ogni diversità. Come pochissimi fa capire il Novecento.

 

17) P. O’Connor, tutta la (breve) opera narrativa. Questa grande scrittrice cattolica mostra e dimostra, con le sue storie di diseredati o smarriti che inutilmente cercano di liberarsi di Dio, che la narrativa con la sua «arte incarnatoria" indaga sull’azione della grazia in un territorio tenuto in gran parte dal diavolo». Questo lavoro fa parte dell’essere Chiesa, cioè dell’unica realtà «che renderà sopportabile il mondo terribile verso il quale ci stiamo avviando».

 

18) J. Guimarães Rosa, Grande Sertão (1956). È il massimo capolavoro della letteratura latino-americana del Novecento. Il lungo, confessionale monologo-racconto rivolto a un imprecisato "Vossignoria" da parte di un poco raccomandabile ma molto umano protagonista, affresca un deserto (sertão) brasiliano che diventa simbolo e paradigma della perenne lotta tra il bene e il male.

 

19) I. Silone, L’avventura di un povero cristiano (1968). Mirabile umile rivendicazione del cristianesimo evangelico irriducibile a quello teocratico (Celestino V e non Bonifacio VIII); metaforicamente, della lotta, in noi e fuori di noi, tra autenticità e falsificazione spirituale.

 

20) G. Testori, In exitu (1988). Altro scrittore volutamente dimenticato, Giovanni Testori, non sempre grande ma veramente grande quando lo è, ha scritto il capolavoro poetico-narrativo, in chiave drammaturgica, dell’età della droga: un ragazzo prostituto, che sta morendo di overdose in un bagno pubblico, ripercorre rapsodicamente e per lampi, quasi a strappi, la sua esperienza di sfruttato-emarginato (anche da sé stesso), fino alla solitudine ormai assoluta il cui interlocutore può essere solo, ed è, fatto simile a lui, il Cristo.

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