Camici per i medici, il presidente Fontana nella bufera

I camici che l'azienda Dama spa del cognato del presidente della Lombardia Fontana non aveva consegnato sono stati trovarti nell'azienda e posti sotto sequestro. Il governatore indagato per frode in pubbliche forniture. L'opposizione ne chiede le dimissioni.
Foto Claudio Furlan - LaPresse 29 Giugno 2020 Milano (Italia) News Conferenza stampa Attilio Fontana su insediamento comitato saggi per evoluzione sistema sanitario Photo Claudio Furlan - LaPresse 29 June 2020 Milano (Italy) Attilio Fontana press conference on setting up the wise committee for the evolution of the health system

Sembra arricchirsi ogni giorno di nuovi particolari la poco chiara vicenda della fornitura di camici ed altri presidi medici che coinvolge il presidente regionale della Lombardia, Attilio Fontana. Tutto è iniziato da un’inchiesta della trasmissione Report, girata a metà maggio e trasmessa l’8 giugno; in cui veniva messo in luce come, in piena emergenza Covid 19 ad aprile, Aria (la centrale acquisti della Regione) avesse commissionato a Dama Spa tramite aggiudicazione diretta (in virtù dello stato di emergenza per coronavirus, che consente di farlo per evitare le tempistiche più lunghe insite in una regolare gara d’appalto), una fornitura di 75 mila camici ed altre attrezzature mediche per una valore di 513 mila euro.

La società in questione è di proprietà di Andrea Dini, cognato di Fontana stesso; e anche la moglie del governatore, Roberta, ne è socia per il 10 per cento. Quando, tra il 10 e il 15 maggio, la notizia ha iniziato a circolare nei corridoi del Pirellone e i giornalisti di Report hanno cominciato ad occuparsene, Dama è, per così dire, corsa ai ripari rispetto al conflitto di interessi venutosi a creare in virtù della posizione ricoperta da Fontana: in data 20 maggio sono infatti state emesse le note di credito per le fatture già emesse (per quanto non ancora pagate) a fronte dell’avvenuta fornitura di una parte dell’ordine, da lì in poi definito come donazione.

E fin qui, la si potrebbe anche derubricare a figuraccia riparata; non fosse che il 19 maggio, e quindi il giorno precedente, Fontana ha ordinato ad una società fiduciaria che gestisce un suo conto in Svizzera – con oltre 5 milioni di euro provenienti dall’eredità della madre, e regolarmente scudati dopo essere stati fatti rientrare dalle Bahamas – di effettuare un bonifico di 250 mila euro a Dama; che è stato però bloccato e segnalato alle autorità competenti in base alla normativa antiriciclaggio, in quanto l’operazione presentava alcune anomalie.

Tentativo che Fontana ha motivato con la volontà di compartecipare all’atto di generosità del cognato, coprendo parte dei costi da lui sostenuti. Una versione però in contraddizione con il fatto che lui stesso (replicando a Report il 7 giugno) aveva sostenuto di non sapere nulla dell’intera vicenda, salvo cambiare versione in seguito: ritrattazione che ha fatto ritenere a molti che si trattasse piuttosto di un maldestro tentativo di “risarcire” il cognato per il mancato incasso.

Ad attirare l’attenzione degli investigatori, che hanno formulato l’accusa di frode in pubbliche forniture, sono stati però altri dettagli. Su tutti il fatto che, al momento dello storno delle fatture, non tutti i camici erano stati consegnati, né lo sono stati poi – Dama avrebbe cercato di rivenderli ad una Rsa di Varese a 9 euro l’uno, contro i 6 concordati con la Regione –; e inoltre, nei database di Aria mancavano alcuni documenti che avrebbero certificato tutti questi passaggi. Detta in soldoni: mancavano 25 mila camici che Dama era tenuta a fornire, nonché tutte le scartoffie che avrebbero dovuto mettere nero su bianco l’impegno dell’azienda a farlo gratuitamente. Non solo: gli inquirenti vogliono adesso vederci chiaro anche sul conto svizzero di Fontana e su diversi movimento poco chiari che vi sarebbero avvenuti negli ultimi anni, tanto che – al momento in cui scriviamo – stanno valutando l’ipotesi di far partire una rogatoria internazionale.

Una perquisizione della Guardia di Finanza alla Dama il 29 luglio ha alla fine evidenziato come vi fosse in azienda una partita non consegnata proprio di 25 mila camici, subito sequestrata: sempre al momento in cui scriviamo, sono in corso gli accertamenti per verificare che si tratti appunto del materiale destinato alla Regione, nel qual caso verrebbe dissequestrato e realmente donato.

Fontana, da parte sua, ha ribadito nel discorso tenuto al Consiglio regionale la buona fede sua e del cognato; nonché la legittima provenienza del denaro con cui avrebbe cercato di contribuire a questa donazione. Al di là degli aspetti giudiziari, che è ora compito della magistratura chiarire, la questione rimane però di notevole peso politico e molti esponenti dell’opposizione ne chiedono le dimissioni: il fatto che un presidente di Regione prima dia una versione dei fatti salvo poi ritrattare, che non abbia usato la dovuta trasparenza nel gestire questo appalto, e che disponga di ingenti capitali scudati sulla cui regolarità ci sono delle ombre, pone quantomeno delle pesanti questioni rispetto a quella “disciplina e onore” con cui, secondo l’articolo 54 della nostra Costituzione, i cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempiere ai propri compiti.

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