Buona scuola di vero cuore!

Una lettera piena di affetto e riconoscimento per coloro che hanno scelto il difficile e affascinante mestiere di insegnante
giornalini per bambini
Foto Pixabay

Caro insegnante che tra poche ore riprenderai il tuo delicato lavoro di educatore. Scrivo a te poche righe per augurarti buon anno di vero cuore.

Hai scelto un mestiere veramente delicato e complesso: quello di avere a che fare con le vite in erba di bambini e ragazzi. Avresti potuto scegliere un lavoro d’ufficio alla scrivania, oppure un lavoro manuale in fabbrica o nei campi. Avresti potuto essere un avvocato, un ingegnere, un militare, un cuoco, un cameriere, un falegname, un parrucchiere…E invece no, hai voluto e deciso caparbiamente di fare l’educatore di anime e cervelli. Wow! Che coraggio…

E per fare questo hai speso anni di studio, affrontato decine di esami, specializzazioni e concorsi, hai atteso anni. Ed eccoti qua fresco di riposo estivo a rimetterti in macchina, parcheggiare nel cortile della scuola che frequenterai per dieci mesi, prendere la tua borsa e il tuo registro ed entrare in aula. Che emozione! Incontrerai gli sguardi spaesati e ansiosi di un bambino, di dieci e cento bambini, di ragazzi o adolescenti che dovunque vorrebbero stare tranne che lì, dopo tre mesi di riposo. Troverai davanti a te universi infiniti concentrati tutti dietro a banchi fin troppo piccoli per contenere tanta vita. Pasquale, Andrea, Marianna, Monica… e Mohamed, Chen, Kevin.

Incontrerai il mondo tutto in una volta. Ma ci pensi? E non ti manca il respiro? Non ti tremano le gambe? Tutti quei corpi, quei cuori, quelle menti…tutti lì per te. A te si affidano come un cucciolo fa con la propria madre. In te sperano di trovare il senso, come pianeti che guardano al sole. Tra di loro ci sarà chi ha trascorso una bella estate in famiglia, a giocare e a rincorrere onde e divertimento. Ci sarà chi è stato con mamma e papà, o solo con uno di loro (perché oggi è così che va la vita…), e qualcuno né con l’una né con l’altro, affidato alle cure amorevoli (si spera) di altri che come te hanno scelto di fare gli educatori. Ti aspetta un lavoro veramente difficile che a me pare immenso: tra una pagina di storia e un’equazione, avrai il compito impagabile di trasmettere vita, esempio.

Tu, caro insegnante, sarai per i prossimi dieci mesi il mentore, il maestro, la guida dei nostri ragazzi. In altre parole: sarai il custode dei nostri figli, del loro presente e del nostro futuro. Attento perciò, avrai a che fare con dei sentimenti (prima ancora che con dei cervelli), dovrai vedertela con dei pensieri (prima ancora che con dei ruoli), farai i conti con dei bisogni e con dei sogni (prima ancora che con delle scheda da compilare). Ma se questo è il carico, se dovrai contemporaneamente istruire ed educare, sei proprio certo di voler fare questo mestiere? Ah già, lo hai scelto, dicevamo.

Ti dico una cosa allora, una cosa che penso da ex alunno (fortunatamente felice) e da papà: smonta tutto ciò che hai imparato e mettilo da parte, esci dal ruolo in cui ti difendi (la formazione è spesso una relazione asimmetrica di potere, lo sai vero?); e soprattutto lascia a casa le tue insoddisfazioni.

Viviamo un’epoca complicata, siamo adulti in cerca di identità, ammettiamolo. E’ rischioso dunque entrare in classe (ma anche in fabbrica o in ufficio) senza aver prima pulito le scarpe sullo zerbino della consapevolezza: si rischia di fare danni. Si rischia di cercare il proprio riscatto personale, il riscatto ad una vita insoddisfatta tramite il gioco di potere con gli alunni (o, al contrario, abdicando alla funzione di guida, sotto la spinta di una ribellione esistenziale). Fai attenzione, entra in punta di piedi in aula: varcando quella porta ogni alunno ti scruterà e capirà subito se sei credibile e affidabile.

Adotta la logica dell’esploratore: dentro ogni corpicino che avrai di fronte c’è una storia, una persona in carne ed ossa, si cela una famiglia e delle generazioni, una storia, una cultura, si nascondono dolori e attese. Avrai il difficile compito di incontrarli uno ad uno i tuoi alunni, ogni mattina, per dieci mesi. Senza mai stancarti, vederli ogni giorno ed incontrarli come se fosse la prima volta. Non dare nulla per scontato, non mettere etichette.

I bambini e i ragazzi cambiano ogni giorno se costruiamo intorno a loro contesti nutritivi e credibili. Non fare il burocrate per favore; anche se abbiamo leggi e sistemi scolastici che ti indurrebbero ad esserlo. Tu sei un educatore! Lo hai scelto tu, mi dicevi, invece di scegliere un altro mestiere. Ed ora, da papà e da formatore, ma anche da cittadino e contribuente, mi aspetto il meglio da te.

Mi aspetto che i miei figli, ed i figli del mio vicino, tornino a casa ogni giorno arricchiti e sorridenti, e stanchissimi per aver lavorato sodo. Non mi aspetto un maestro perfetto e infallibile (anche io, da padre e da professionista, faccio tanti errori) ma un leader ovvero una guida, uno che sappia affascinare e trainare, uno che quando l’ora finisce lo vorresti ancora con te. Sarai amato e sarai odiato, ammirato e deriso. Per questo non trasalire né trascendere, resta nel tuo ruolo. I nostri figli hanno bisogno di adulti maturi, non di severi giudici o di compagni di gioco. Sono certo che se hai scelto consapevolmente questa professione sono cose che sai già a memoria.

Qualora non fosse così, se proprio non puoi cambiare lavoro, ti prego di fermarti un attimo per chiederti che cosa vai cercando ogni mattina da Martina, Antonio, Gabriele ovvero se una parte di te (fosse anche la più minuscola) vada cercando riconoscimento e conferma identitaria da quei piccoli esseri che hai di fronte. Se distinguerai che in te prevale il bisogno di essere rispettato (cosa ben diversa dal desiderio) e la spinta a dominare (cosa differente dal guidare) o viceversa quella di compiacere (che non ha nulla a che fare con l’amare) allora fermati: non abbiamo bisogno di te.

Ai nostri ragazzi, al nostro futuro, servono educatori responsabili (ovvero “capaci di dare risposte”), adulti autorevoli (ovvero “affascinanti e trainanti”), persone sapienti (ovvero “condite di sapere”, cosa ben diversa dalle nozioni).

Abbiamo bisogno di uomini e di donne capaci di incontrare cioè – citando il caro Eric Berne – di vedere l’altro (cosa c’è dietro la griglia con cui io vedo il mondo, la mia griglia fatta di difese e pregiudizi?), di esserne coscienti come fenomeno (ciò che accade nel qui-ed-ora tra te e lui non si ripeterà mai più, dunque richiede desiderio ed attenzione a starci pienamente), di esistere per lui ed essere pronti al suo esistere per noi (ogni rapporto autentico è uno scambio in cui ci si educa reciprocamente). Che ne dici? Bello vero?

Ti immagino a riflettere adesso, e a pensare che non puoi farcela da solo, e che se anche i genitori non fanno la stessa cosa sarà inutile. Verissimo! E allora, caro insegnante-educatore, cosa potrai inventarti quest’anno per stringere un’alleanza autentica con i genitori e motivarli ad essere soci in questa azienda comune che si chiama figlio? Pensaci, pensiamoci, ma non cadiamo nella retorica del “tutto va male, che posso farci io?”. Non te lo puoi permettere, uno perché questo lavoro lo hai voluto tu, due perché sei pagato per questo.

Se hai bisogno chiedi aiuto, se hai da protestare con i tuoi superiori fallo strategicamente; ma non arrenderti alla pochezza e alla routine. I nostri figli hanno bisogno di ali per volare. Te la senti? Buon anno allora, dal profondo del mio cuore!

 

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