Bielorussia, allarme campi militari per bambini

Un rapporto del movimento Our House, diffuso in Italia dal Movimento Nonviolento, evidenzia come nel 2022 ben 18mila minori sarebbero stati addestrati alla guerra in 480 campi gestiti dal governo.
Il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko ad una parata militare. (Nikolai Petrov/Pool Photo via AP, File)

Diciottomila minori, sin dall’età di sette anni, avrebbero partecipato nel 2022 a 480 campi di addestramento militare in Bielorussia, in spregio a qualsiasi principio sui diritti umani che vorrebbe i bambini lontani da simili contesti: è quanto denuncia l’organizzazione pacifista bielorussa per i diritti civili Our House, in un rapporto diffuso in Italia dal Movimento Nonviolento. Il monitoraggio, che l’organizzazione precisa essere stato effettuato basandosi unicamente su fonti pubbliche – ossia da quanto si evince dagli atti dallo Stato bielorusso stesso, che organizza questi campi, e dalle dichiarazioni dei funzionari – evidenzia non solo come la cosa sia stata avviata già da qualche anno, ma come abbia preso una piega decisamente diversa con l’inizio della guerra in Ucraina, prospettando la possibilità di un ampio numero di giovanissimi “riservisti” addestrati e indottrinati da utilizzare nei prossimi anni in questo o in altri conflitti. In particolare, si legge nel rapporto, “sono coinvolti bambini provenienti da famiglie marginali e di degrado sociale, o bambini orfani o in precarie situazioni psicofisiche, poiché sono questi i bambini che non hanno una supervisione adeguata da parte delle loro famiglie e i cui parenti non si opporranno al coinvolgimento di tali bambini in azioni militari”.

Sempre secondo quanto denunciato da Our House, il programma di addestramento – in quelli che vengono presentati come “campi vacanza”, “di ricreazione sanitaria”, “sportivi”, “di miglioramento della salute”, ma anche apertamente come “campi patriottici militari” dallo stesso ministero dell’Interno – comprende “l’uso di armi da fuoco. A questi addestramenti partecipano istruttori ceceni provenienti dalla Federazione Russa. Tutti i campi patriottici militari sono sotto il controllo delle agenzie militari della Bielorussia, in primo luogo del Ministero della Difesa. È in corso un’intensa attività di propaganda e lavaggio del cervello dei bambini”. Il tutto, si precisa, sul modello di quelli che erano i campi patriottici militari sovietici; con tanto di decreto del Consiglio dei ministri bielorusso che stabilisce di dare la priorità per la partecipazione a questi campi ai bambini nelle condizioni di disagio sociale citate prima. Di qui l’appello di Our House “all’Unione europea e alle organizzazioni internazionali per i diritti umani affinché avviino immediatamente una seria campagna contro la militarizzazione dei bambini”.

Ma che cosa possono effettivamente fare l’Unione europea e la società civile? «Due cose essenzialmente – spiega Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento, che ha appena accompagnato la fondatrice di Our House Olga Karach in un tour italiano insieme ad un’altra attivista russa e una ucraina a sostegno della causa della nonviolenza –. La prima già la stiamo facendo, ossia accendere i riflettori sulla Bielorussia: un vero e proprio buco nero, forse il peggiore dei regimi satellite di Mosca. Basti dire che il 20 febbraio il presidente Lukashenko ha presentato una proposta, convertita in legge dal Parlamento appena due giorni dopo, per punire con la pena di morte l’obiezione di coscienza, la diserzione e la renitenza alla leva: una notizia gravissima, che però non è emersa sui nostri media. La seconda azione è strettamente correlata: prevedere, a livello di Unione europea, dei corridoi umanitari specifici per obiettori e disertori, garantendo loro lo status di rifugiati politici. Ad oggi chi riesce a scappare si trova spesso senza documenti, e questo status non viene loro riconosciuto: di solito si spostano nelle repubbliche baltiche, ma con permessi umanitari magari di pochi mesi, che non danno loro possibilità di lavorare. Certo una richiesta analoga sarebbe valida anche per gli obiettori e i disertori russi e ucraini, puniti con il carcere: ma è chiaramente più pressante nel caso dei bielorussi, perché lì si parla di vera e propria pena di morte. Se l’Europa si dice fondata sui diritti umani, tra cui quello all’obiezione di coscienza, e rifiuta la pena di morte, non può stare a guardare».

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