Il Bangladesh festeggia 50 anni di indipendenza

Con l'indipendenza del Bangadlesh finiva una della assurdità più incredibili lasciata dal colonialismo in genere e da quello britannico in particolare. Si trattava della divisione del sub continente indiano
Bangladesh AP Photo/Mahmud Hossain Opu

Il Bangladesh ha festeggiato mezzo secolo di indipendenza. A fine marzo 1971, infatti, iniziò la fase finale della rivolta bengalese contro il governo del Pakistan che avrebbe condotto alla guerra civile conclusasi il 16 dicembre dello stesso anno con la proclamazione dell’indipendenza dellla nazione.

Finiva così una della assurdità più incredibili lasciata dal colonialismo in genere, e da quello britannico in particolare. Si tratta della divisione – o come si dice da quelle parti della partizione – del sub continente indiano. Il Bangladesh nasce, infatti, da quello che era stato fino a marzo 1971 il Pakistan Orientale: metà di una nazione – il Pakistan appunto – diviso in due, quello Occidentale e quello Orientale, a due mila chilometri di distanza l’uno dall’altro, con in mezzo il cuneo dell’India che, a sua volta, si trovava così circondata da un Paese nato e rimasto nemico, per volere britannico. La divisione era avvenuta su base religiosa.

Le due sacche con il maggior numero di musulmani, il Punjab nella parte occidentale ed il Bengala, nella parte orientale, erano diventate nel 1947 il Pakistan. Il resto era rimasto India, un Paese immenso che tuttavia continuava ad avere al suo interno tanti musulmani quanti se ne trovavano nel Pakistan. Una nazione, il Pakistan, voluta da Jinnah, leader politico musulmano che sarebbe morto sei mesi più tardi a causa di una forma di tubercolosi.

Nei mesi della partizione fra India e Pakistan, sia nel Punjab che nel Bengala, avvennero esodi incredibili verso i rispettivi confini, con stragi reciproche fra indù e musulmani. Difficile calcolare il numero delle vittime: decine di migliaia? Forse anche vicine al milione!

Risultato di questa divisione assurda, unica nella storia recente, la situazione che si venne a creare nel sub-continente portò ad una costante instabilità nell’area con diversi attacchi reciproci fra India e Pakistan. Negli anni Cinquanta e Sessanta l’India non si è mai sentita sicura, stretta come era fra le due parti di un Paese nemico per antonomasia. E il Pakistan si sentiva ancor meno sicuro con il gigante vicino di casa che si incuneava fra le due parti che lo costituivano come nazione. D’altro canto, per il governo di Islamabad fu sempre difficile assicurare l’unità di un Paese con due entità a migliaia di chilometri di distanza l’una dall’altra e con gruppi etnici e socio-culturali diversissimi e accomunati solo dall’islam come religione comune.

Nella seconda metà del 1971 scoppiò la guerra civile fra la parte Occidentale e quella Orientale. Il conflitto durò nove mesi e provocò la morte di un numero imprecisato di persone: fra 300 mila e due milioni, difficile stabilire il numero esatto. Migliaia di donne vennero violentate e milioni di persone sfollarono verso l’India, invadendo Calcutta (oggi Kolkata) e la parte occidentale dello stato del Bengala indiano. Ad inasprire i rapporti tra le due parti dell’allora Pakistan ci fu il rifiuto dei pakistani occidentali di accettare il bengalese tra le lingue nazionali, la disparità economica tra le due parti, l’egemonia dell’élite dominante occidentale sull’intero Paese, le leggi marziali e un atteggiamento umiliante nei confronti della cultura e della popolazione bengalese.

La lotta per l’indipendenza del Bangladesh fu guidata dalla personalità carismatica dello sheik Mujibur Rahman, uomo di grande coraggio che ha sempre difeso l’uguaglianza, la dignità e la giustizia. Chiamato familiarmente Bangabandhu (amico del Bengala), la sua visione ideale è sempre stata quella di trasformare la terra del Bengala orientale in un Sonar Bangla, un Bengala dorato, dove ogni cittadino avrebbe condotto la vita con dignità, rispetto e realizzazione di se stesso. Rahman, tra i fondatori della Bangladesh Awami League, aveva accarezzato il sogno di in Paese dove le persone di tutte le religioni potessero avere lo stesso status, godendo di uguali diritti. La sua influenza è stata decisiva per l’indipendenza del Bangladesh, che ha poi guidato fino alla morte nel 1975, quando fu ucciso, insieme a parte della famiglia, durante un colpo di stato. Fra i sopravvissuti, perché a quel tempo si trovava in Germania, la figlia Hasina, che dagli anni Ottanta si è poi impegnata in politica seguendo le orme paterne, ed oggi guida il Paese.

Negli ultimi anni, il Bangladesh ha vissuto un cammino faticoso verso un tenore di vita migliore rispetto alla situazione disperata in cui si trovava fino agli anni Novanta. Purtroppo, nonostante il carattere bengalese notoriamente pacifico e conciliante, si sono sviluppate frange estremiste all’interno dell’islam e alcune minoranze etniche e religiose vivono in un clima di discriminazione. Il governo è impegnato a controllare il radicalismo, ma sono avvenuti attentati anche gravi come la strage di alcuni anni fa nel periodo natalizio nella quale morirono anche alcuni italiani.

Negli ultimi giorni i movimenti radicali sono tornati allo scoperto con manifestazioni di protesta contro la visita del premier indiano Narendra Modi. L’India ha da sempre appoggiato il movimento indipendentista bengalese, ma l’attuale governo è noto per la sua politica anti-islamica. La permanenza di Modi a Dhaka è stata contestata duramente e ci sono state alcune vittime. I dimostranti hanno accusato il premier indiano di perseguitare i musulmani in India e le proteste contrarie alla sua presenza in Bangladesh, partite dalle moschee , si sono riversate nelle strade.

 

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