I bambini siriani morti in mare e l’agenda migrazioni

L’ultima tragedia avvenuta nel Mediterraneo, dove finora hanno perso la vita 1.200 migranti dall’inizio dell’anno, impone di affrontare un tema finora marginale nella campagna elettorale.  «Una democrazia – afferma il vescovo Giancarlo Perego della Fondazione Migrantes- non può accettare che diritti fondamentali, come il diritto d’asilo, siano calpestati e ignorati»
Rifugiati siriani Archivio LaPresse

Sei persone di nazionalità siriana, tra le quali due bambini di 1 e 2 anni e un dodicenne, sono morti di fame e di sete in mezzo al mare mentre cercavano di raggiungere l’Italia. La notizia si è diffusa da lunedì 12 settembre quando 26 superstiti di un’imbarcazione partita dalla Turchia sono giunti nel porto di Pozzallo. Come riporta l’agenzia Agi, il sindaco della località siciliana, Roberto Ammatuna, ha descritto le condizioni dei profughi parlando di un’immagine terribile «paragonabile a quella dei sopravvissuti nei lager nazisti».

La notizia ha bucato per qualche attimo l’attenzione generale dei media attratta da una campagna elettorale che, come ha detto D’Alimonte del centro studi elettorali della Luiss, non ha come elemento decisivo il dibattito sulla questione migrazioni come quella del 2018 anche se l’argomento ricompare con le ipotesi di blocco navale delle migrazioni e di costruzione di hotspot, cioè centri di identificazione e smistamento dei migranti nei Paesi del Mediterraneo.

La morte atroce delle persone in mare, sono 1.200 dall’inizio dell’anno nel Mediterraneo secondo fonti Onu, non è tuttavia una fatalità come denuncia Giancarlo Perego, vescovo di Ferrara e presidente della Fondazione Migrantes della Cei: «Il Mediterraneo torna ad essere una tomba, un cimitero, questa volta di due bambini in fuga annegati, insieme a un giovane e a due adulti. Erano siriani e nessuno può negare che avevano diritto alla protezione internazionale».

Chiara Cardoletti, rappresentante dell’UNHCR in Italia, parla di «un’inaccettabile perdita di vite umane» evidenziando il fatto «il gruppo ha trascorso diversi giorni alla deriva prima di essere soccorso» da una nave commerciale diretta a Malta.

Come riferisce l’Agi, «la barca avrebbe incrociato diversi natanti nella sua traversata e uno di questi avrebbe gettato in mare delle casse d’acqua che però i migranti non sono riusciti a prendere».

Il tragico  quadro descritto da questa vicenda mette in evidenza, come ribadisce la rappresentante dell’agenzia Onu per i rifugiati «l’urgente necessità di ripristinare un meccanismo di ricerca e soccorso tempestivo ed efficiente, guidato dagli stati nel Mediterraneo».

Secondo Oliviero Forti di Caritas Italiana non si può dite che manchi la consapevolezza dell’opinione pubblica ma una sorta di «assuefazione all’ineluttabile» di fronte alla mancanza di risposte verso una situazione che va avanti da decenni.

Per una spinta al cambiamento bisogna risalire alla strage dei migranti, 368 persone morte in mare, avvenuta a largo dell’isola di Lampedusa il 3 ottobre del 2013.

Secondo Forti non si può restare indifferenti e inerti perché esistono gli strumenti e le possibilità per evitare questi drammi. Il responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas italiana ritiene che, purtroppo, l’Unione Europea non ha un vero piano europeo per gli ingressi regolari, ma solo «l’impegno di continuare a finanziare altri Paesi per trattenere i profughi».

Una misura che, tra l’altro, non può fermare i flussi migratori perché «l’assenza di futuro e prospettive spinge le persone a tentare comunque il viaggio».  Come hanno fatto le persone arrivate a Pozzallo fuggite dalla Siria e trattenute nella Turchia di Erdogan alla quale è bene ricordare che l’UE ha versato finora una stima di 15 miliardi di euro a partire dal 2002 per bloccare i migranti che, quando riescono a fuggire via terra, vanno ad imbattere sul confine blindato dell’Europa collocato al termine della rotta balcanica.

Perego chiede di rispondere alla tragedia delle morti in mare non procedendo al blocco delle azioni di salvataggio in mare ma mettendo in campo ad «un’azione congiunta tra le navi di soccorso delle ONG e le navi e gli aerei militari dei Paesi europei». In particolare il presidente di Migrantes chiede agli stessi stati e in primis all’Italia di promuovere «un’azione europea in Libia per prevedere canali umanitari e legali per chi abbia diritto a una forma di protezione internazionale. Troppe parole si spendono mentre troppi morti si accumulano in fondo al mare».

Il portavoce di Unicef Italia, Andrea Iacomini chiede ai partiti di sospendere almeno per un giorno la loro agenda politica per cercare come agire assieme per evitare tragedie atroci come la morte per sete e fame di bambini in mare.  «Rafforzare il soccorso in mare – ribadisce Iacomini – è un modo fondamentale per evitare morti come queste».

Per un serio confronto possibile sul tema esiste la base di 10 punti elaborati dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione con l’indicazione di  «alcune sintetiche misure, concrete e non demagogiche, volte a promuovere adeguate politiche di integrazione sociale dei cittadini stranieri nel rispetto dei diritti fondamentali previsti dalle normative italiane, europee e internazionali».

Tra questi punti, ad esempio, la necessità di «consentire la presentazione della domanda di visto di ingresso per asilo, evitando così alle persone viaggi pericolosi e ingressi irregolari a rischio della vita, affidandosi ai trafficanti» con l’avvertenza di «ripensare l’ingiusto automatismo delle inammissibilità delle domande d’asilo a seconda del Paese di origine, tenuto conto degli sconvolgimenti che stanno attraversando il mondo intero per cui nessun Paese può essere considerato “sicuro” per legge».

Altro punto in evidenza l’impegno a «sostenere in sede europea la riforma del Regolamento Dublino 3 prevedendo l’introduzione di criteri vincolanti di redistribuzione tra gli Stati membri dell’UE»

Alla vigilia delle elezioni politiche del 2018 le maggiori associazioni cattoliche proposero un’agenda migrazioni fondata sull’invito di papa Francesco ad essere responsabili perché «abbiamo bisogno di fraternità, di costruire ponti in un mondo dove si alzano muri per paura degli altri». Una traccia più attuale che mai.

 

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