Aspettando il Natale nel carcere Ucciardone

Durante l’evento de “La via dei tesori” è stata organizzata un’inconsueta visita nella parte storica del carcere palerimitano. Frà Carmelo Tonino Saia, cappellano dell’Ucciardone, si è offerto di spiegarci cosa ha significato tale evento per i suoi “fratelli detenuti”
Di gnuckx - Palermo-Sicilia-Italy - Creative Commons

È finita i primi di novembre la XXII edizione de “La via dei tesori”. Un appuntamento che, quest’anno, si è allargato a 10 città della Sicilia e a 4 oltre lo Stretto, ma che a Palermo – Capitale della Cultura 2018 – ha le sue radici e la sua casa. I palermitani per 5 fine settimana sono diventati turisti della propria terra, scoprendo – quasi fossero degli adolescenti dinanzi al primo amore – la meraviglia del loro patrimonio monumentale, culturale e ambientale. Tutto o quasi è stato aperto: ville, giardini, musei, archivi, chiese, oratori, teatri, i qanat sotterranei… Tanti i luoghi che sono divenuti accessibili, illustrati da guide in grado d’affascinare e incuriosire non poco gli avventori. Financo i bambini sono rimasti rapiti dai segreti dell’Isola e dagli svariati laboratori preparati per loro. In questo mondo cittadino tutto d’ammirare, eccezionalmente, è rientrato anche il carcere Ucciardone di Palermo.

Non tutti però, per motivi di sicurezza e mancata prenotazione, hanno avuto modo di varcare le mura del carcere ottocentesco, meglio noto come il carcere dei boss, il “Grand Hotel Ucciardone”, dove – nell’immaginario collettivo – i padrini in vestaglia di seta venivano serviti e riveriti. A causa di ciò, abbiamo voluto approfondire il tour svoltosi all’interno del penitenziario palermitano, che oggi brulica di attività imprenditoriali, artistiche e sociali.

Per l’evento de “La via dei tesori” è stato, giusto appunto, organizzata un’inconsueta visita della durata di circa un’ora e mezza, attraverso le vecchie celle, i cortili, gli orti.  A fare da “Cicerone” è stato l’artista Lollo Franco insieme alla sua compagnia formata da 25 detenuti. A loro è stato affidato il compito di ripercorrere l’evoluzione di questa fortezza costruita dai Borbone, raccontare il trasferimento dei detenuti dalla Vicaria fino agli anni dell’assassino di Gaspare Pisciotta avvelenato da un caffè. “Abbiamo trovato dei verbali dell’epoca – ha detto Franco – che, stranamente, sono in bella scrittura: significa che non vennero redatti dai carcerieri analfabeti di allora!”. I verbali, come le vecchie uniformi delle guardie o le classiche divise a righe dei detenuti, poi abolite con la riforma penitenziaria del 1975, sono alcuni dei “tesori” ritrovati e scoperti per caso nei magazzini dalla direttrice, Rita Barbera. Tesori che sono stati svelati insieme a varie storie date in esclusiva a chi ha avuto accesso al turno di visite.

Veniamo alla parte che più ci interessa. Frà Carmelo Tonino Saia, il cappellano dell’Ucciardone, si è offerto di spiegarci cosa ha significato tale evento per i suoi “fratelli carcerati”. «Credo che qualsiasi iniziativa nei confronti di questo luogo – ci ha detto, a cuore aperto – non possa che portare dei lati positivi. Vedere tanta gente che, spinta anche solo dalla curiosità, si reca in questo posto per vedere e capire qual è la realtà che si cela dietro queste mura, suscita sempre stupore nei detenuti in quanto si sentono pensati, considerati, forse ancora dei cittadini di questa società. “Se tante persone sono curiose di conoscere questo mondo” pensano “allora non ci hanno dimenticato, sanno che esistiamo, comprendono che dietro queste mura c’è una “vita” che vale la pena ancora di conoscere”».

«Varcare i cancelli del carcere Ucciardone, sono certo – precisa – che abbia fatto ancor più bene alla collettività, giacché in molti hanno potuto comprendere com’è fatto un carcere italiano oggi, percepire la realtà che si vive all’interno e le iniziative che si cercano di conseguire. Oltrepassare le mura, significa rendersi anche conto del fatto che vi sono fratelli che hanno bisogno di preghiera e di sostegno, per fare un sincero discernimento ed essere aiutati ad arrivare alla fine della pena con la speranza di potersi riscattare dei crimini commessi e di riuscire, altresì, a intraprendere una nuova vita, un reinserimento nella società».

Il Natale è alle porte. Come lo vivono i carcerati? «Il Natale per loro è un periodo ricco di emozioni contrastanti. E’ uno dei periodi – ci ha confidato frà Carmelo – in cui sentono maggiormente il peso della detenzione che li porta a stare, in un luogo di sofferenza, lontani dai preparativi per la festa, dalla ricerca del regalo migliore per il proprio figlio, dal pranzo con i genitori… Lontani da tutto ciò che noi ci apprestiamo a vivere in questo periodo».

«Come ci si può immaginare, per alcuni – continua il cappellano – arriva la gioia di ottenere il permesso di poter andare a casa per vivere questo giorno di festa in famiglia, per altri è un giorno un po’ più pesante degli altri in quanto, essendo costretti a stare chiusi lì dentro si lasciano prendere dalla malinconia. Da parte nostra stiamo cercando, comunque, di organizzare dei momenti di raccoglimento e convivialità, affinché possano pian piano respirare, anche solo per pochi attimi, l’atmosfera del Natale. Bisogna tener sempre presente che Cristo nasce anche per loro. Vi posso, quindi, anticipare che sicuramente grazie alla Direttrice non mancherà la celebrazione eucaristica la mattina del 25 Dicembre che vivremo tutti insieme, personale e detenuti, per rendere lode a Dio che, ancora una volta, ha deciso di nascere, facendosi uomo, per continuare a salvarci spinto da un amore immenso, incomprensibile a noi».

 

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