Angelino, l’ottimismo del dialogo

È il filo unico che lega le vicende dell’esistenza di Angelino Rodante, il primo focolarino siciliano.
Angiolino ottimismo nel dialogo

Dal Brasile alle Filippine, dall’Australia alla Thailandia, alla Nuova Zelanda. Per non contare, in Italia, il Piemonte, il Lazio, la Sardegna, il Trentino e il Veneto. E, infine, ma non ultimo, il suo prezioso apporto al dialogo ecumenico del Movimento dei focolari, cui ha dedicato gli ultimi dieci anni della sua vita. Parlare di Angelino Rodante significa dire nel contempo la nascita e gli sviluppi dei Focolari in tante parti del mondo in cui egli è passato.    

 

Lo attestano i numerosi messaggi pervenuti nel maggio scorso alla notizia della sua morte. Alcuni ricordano la sua delicatezza d’animo, i suoi incoraggiamenti, la sua presenza umile e discreta. Altri rammentano «il suo amore che ci ha aiutati ad entrare sempre più nel dialogo ecumenico (e non solo)». Altri ancora sottolineano la sua umanità calda, sempre in ascolto dell’altro. «Impossibile – dice qualcuno – dimenticare la sua capacità di commuoversi, senza mai nascondere i suoi sentimenti». Altri ancora rammentano «il suo atteggiamento accogliente, che ha rappresentato l’ottimismo del dialogo ecumenico in cui credeva profondamente».

Anch’io ho avuto modo di conoscere Angelino – anzi il prof. Rodante – tanti anni fa a Sassari, la mia città. Era l’anno scolastico ’58-’59, e quel professore di filosofia dal portamento così distinto e dai tratti così cortesi  aveva colpito gli studenti della scuola che frequentavo. Io ne ero giustamente compiaciuta, ben sapendo – questo mi guardavo bene dal rivelarlo ai miei compagni – che era un focolarino. Troppo difficile da spiegare, allora, in tempi in cui un movimento cattolico così innovativo non era facilmente capito. 

L’ho incontrato nel marzo scorso – da allora non ci eravamo più rivisti – cambiato anche per la grave malattia che lo aveva colpito un anno fa. Solo gli occhi mi parlavano dell’Angelino che avevo conosciuto. Ci siamo salutati, augurandoci di rivederci presto. «Ho tante cose da raccontarti, avvenimenti utili per la conoscenza del movimento». A me, cronista di storie di vita, l’invito non poteva non interessare.

Poi, inaspettatamente, il 23 maggio, la notizia che uno scompenso cardiocircolatorio se l’era portato via. Qualche giorno prima mi era arrivata – come anticipo di un prossimo incontro con lui – una cartella di oltre cento pagine battute a macchina – quando ancora non esisteva il computer, né la fotocopiatrice – in sottilissima carta velina.

 

Immaginiamolo, dunque – sulla scorta di questi suoi scritti –, a Siracusa, dove è nato nel 1930. La sua è una famiglia modesta: il padre sta fuori casa buona parte dell’anno lavorando sui pescherecci, sua madre è figlia di pescatori. Immaginiamo un’infanzia e un’adolescenza serene, impegnate nello studio. Con grandi sacrifici, i suoi genitori hanno voluto che i loro sei figlioli andassero avanti negli studi.

Angelino sceglie filosofia, incoraggiato dal vescovo di Siracusa a cui ha chiesto consiglio. «Devi studiarla – gli conferma dopo averlo ascoltato attentamente –. Occorrono persone che approfondiscano i problemi filosofici alla luce della fede, e con ciò potrai fare un bene immenso alle future generazioni».

Già allora, infatti, si è fatto apprezzare tra i giovani “fucini” siracusani, gli universitari dell’Azione cattolica. 

Angelino ben presto ricopre incarichi a livello nazionale. Conosce Francesco Cossiga, Raniero La Valle e altri “intellettuali cattolici” che al momento opportuno avrebbero assunto nel Paese posizioni di rilievo.

Ed è durante una delle riunioni dei fucini che avviene l’incontro che cambierà la sua vita, e quella di tanti altri giovani siracusani, tra cui Giuseppe Maria Zanghì, come lui studente di filosofia. Si aggiungono ben presto Nuzzo Maria Grimaldi, Sergio Infantino, Salvino Aliquò e Stella Aliquò Manganellla… La lista sarebbe lunga. 

Angelino segna non solo la data, ma l’ora di quell’incontro: il tardo pomeriggio del 6 gennaio 1950.  L’incontro dei fucini subisce un fuori-programma che li sconcerta non poco: il sacerdote assistente introduce nella sala dove sono riuniti una giovane donna, press’a poco della loro età. È stata invitata a parlare a quegli universitari, che mostrano di saperla molto più lunga di lei. E poi… non sono abituati a sentir parlare di Vangelo da un laico, per di più donna.

Quella ragazza si chiama Graziella De Luca, tra le prime compagne di Chiara. Quella sera incomincia anche a Siracusa l’avventura dell’ideale dell’unità. Ed anche per Angelino la vita cambia rotta. Trova finalmente le risposte alla tante domande che si portava dentro: «La vita è un rischio, ma se la viviamo insieme a Dio, ogni circostanza trova la risposta del suo amore».

 Dirà lui stesso la scelta di Dio a 23 anni: «Qualche anno più tardi conclusi gli studi. Il giorno stesso della laurea scrissi a Chiara Lubich una lettera press’a poco così: “Oggi mi sono laureato ed ho preso la mia decisione: ti offro questo fiore mentre è ancora fresco e pieno di vita. Prima che appassisca…».

 

Nel ’53 “entra” in focolare. Quindi segue i primi passi del movimento in varie città: Torino, Ivrea, Sassari. Poi, dal ’63, in Brasile, per vent’anni a Recife. Gli anni trascorsi in una delle zone allora più povere del Sudamerica sono un tempo di grande solidarietà con quel popolo. «In questo contesto – nota Angelino nei suoi appunti – il movimento doveva inserirsi ed accettare la sfida. Noi eravamo ancora un piccolo gruppo e ci stavamo preparando per poterci adeguatamente confrontare con questa realtà».

Sono anni cruciali nel Paese: il golpe militare del marzo ’64, l’elezione a Recife del nuovo arcivescovo Helder Camara. Chiara Lubich si reca più volte in Brasile in quegli anni: c’è da incoraggiare e da consolidare un’opera agli inizi. Scrive Angelino: «Chiara, visitando i mocambos dell’“Isola dell’inferno” (detta così per il degrado che la contraddistingueva), ci fa vedere con i suoi occhi questa piaga e ci dice la maniera con cui il movimento dovrà agire in questo spacco, vivendo il Vangelo delle beatitudini».

Ora l’Isola dell’inferno è sparita dalle cartine topografiche della città di Recife. Si chiama isola Santa Teresina, e al posto dei mocambos, continuamente invasi da acque maleodoranti, ha casette modeste, ma decorose, strade bonificate e scuole dove i bambini crescono cittadini del mondo.

Angelino si dona per vent’anni senza risparmio, così da essere costretto ad alcuni mesi di riposo per recuperare le forze perdute. Torna in Italia e studia teologia. Ordinato sacerdote nel 1988, riparte per le Filippine e in seguito va in Australia, poi in Thailandia e Nuova Zelanda. Riesce anche a conseguire all’università del Laterano il dottorato in teologia con una tesi su Masao Abe, con un ardito quanto documentato parallelo tra il concetto di kenosi cristiana e di “vuoto” del pensatore giapponese.

 

Dalla fine del 1997 al 2008 Angelino viene chiamato alla responsabilità del Centro Uno, la segreteria del movimento per il dialogo ecumenico, assieme a Gabriella Fallacara. «In tutti questi anni – dice quest’ultima – egli ha vissuto per l’unità dei cristiani, entrando così in contatto con ortodossi, anglicani, evangelici, riformati, con persone di altre Chiese, dando tutto il suo contributo al “che tutti siano uno”».

Si susseguono viaggi in vari Paesi d’Europa e in Medio Oriente, scuole di ecumenismo per i membri del movimento. In occasione di una giornata di studio dedicata a Igino Giordani (per anni direttore del Centro Uno), così rispondeva a un giornalista che gli aveva chiesto quali fossero le sue motivazioni: «In questi anni di vita apprendo due cose fondamentali: la prima, l’ascolto profondo; la seconda, il servizio concreto verso i fratelli e le sorelle delle varie Chiese. È una realtà che cerco di vivere e di applicare nei miei contatti ecumenici, sempre sull’esempio e seguendo la spinta e i concreti indirizzi dati da Giordani. Questa realtà di comunione, con l’aiuto e la spinta enorme impressa da Chiara Lubich al movimento ecumenico, la si vede realizzata pian piano anche nei rapporti tra le varie Chiese».

Ad uno degli ultimi incontri ecumenici cui partecipò, lasciò una sorta di congedo: «Per venire qui ho indossato l’abito più bello: per far festa a Gesù abbandonato e… mostrarlo».

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