Alzheimer? Al lavoro!

Rivedo Carlo dopo molti anni; è accompagnato dalla moglie che non conoscevo e li ritrovo all’ingresso di un convegno sull’Alzheimer. Domando se sono lì per interesse professionale, dimenticando che il lavoro di Carlo è di tutt’altro genere. Mi dicono che Alfonso, il papà, simpaticissimo e vivacissimo, che conobbi nei miei anni adolescenziali, è affetto dalla malattia e volevano capirne di più. Certo anche Alfonso fa parte di un particolare esercito che arruola, loro malgrado, centinai di persone. La malattia di Alzheimer è la demenza più comune, costituendo circa il 60 per cento di tutte le forme di demenza; in Italia si stima che esistano 600 mila malati, ma quello che più è rilevante e che ci sono 80 mila nuovi casi l’anno e che le previsioni al 2020 parlano di 213 mila nuovi casi l’anno (fonte: Censis 2007). Se poi consideriamo che l’Italia è la nazione più vecchia del mondo le prospettive sono ancora più ampie… Lo scorso anno, durante il centenario dalla prima diagnosi di Alzheimer, gli studiosi della malattia hanno sottolineato che non c’è tempo da perdere, c’è un nuovo caso ogni sette secondi nel mondo . Una situazione così drammatica porta ad alcune considerazioni: ci troviamo di fronte a un serio problema, ma ci ricordiamo che al di là c’è sempre una persona? Inoltre chi è investito di responsabilità politiche e programmatorie in questo settore sociale e sanitario, può continuare a guardare ed aspettare che dal problema si passi all’emergenza? A questo proposito abbiamo chiesto il parere ad alcuni esperti tra cui la dott.ssa Flavia Caretta, docente di Geriatria presso il dipartimento di Scienze gerontolo- giche, geriatriche e fisiatriche dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Roma. Un elemento dirompente dell’Alzheimer è il fatto che essa può diventare una malattia della famiglia. Infatti laddove vi è una persona con tale patologia è tutta la famiglia ad essere colpita e quindi è il nucleo familiare che può a sua volta ammalarsi; si dice che per una famiglia con un componente in Alzheimer, il giorno è di 36 ore Chiediamo alla dott.ssa Caretta di sintetizzare gli aspetti salienti di questo carico assistenziale: I familiari hanno il peso di un impegno così gravoso anche psicologicamente, sono coinvolti in tutti gli aspetti di cura ed assistenza e non trovano il sostegno dei servizi, che troppo spesso è estremamente limitato ed inoltre i componenti si trovano presto con situazioni di impoverimento ed isolamento sociale. A questi aspetti socio-psicologici c’è da aggiungere un altro peso molto rilevante che è quello economico. Secondo dati Censis del 2006 si può parlare di 10.600 euro annui, rispetto ai 6.300 euro del 1999, ma c’è chi parla di somme ben più ingenti. Oltre ai costi diretti derivanti da spese monetizzabili sostenute per l’acquisto di beni e di servizi, vi sono i costi indiretti per la perdita di risorse per la collettività legata alla malattia, soprattutto in termini di tempo sottratto ad una attività produttiva che riguarda sia il malato che il caregiver (termine divenuto ormai comune per indicare colui che ha il maggior peso della cura) impegnato nell’assistenza e vi sono anche i costi intangibili come la sofferenza fisica e psicologica del paziente e dei suoi familiari, e la loro rilevanza sociale e umana è grande. Dicevamo della famiglia che si ammala e alla dott.ssa Caretta chiediamo qual è l’atteggiamento comune di chi vive questa situazione: Mi sono trovata spesso a sentire frasi di questo tipo: è come se stesse morendo poco per volta, giorno dopo giorno. Quando succede qualcosa di nuovo, penso che non posso più sopportarlo, poi riesco ad abituarmi, ma arriva qualcos’altro. Continuo a sperare in un nuovo medico, in una nuova medicina, magari in un miracolo.Mi sembra di essere in un vortice di emozioni che mi sta consumando lentamente. Sono realtà che sembrano dare sostanza ad una frase tratta dal Talmud: Noi non vediamo le cose come sono; noi vediamo le cose come siamo. Ma nonostante tutto, nella pratica assistenziale, si è riscontrato che la qualità del supporto alla famiglia è più importante della quantità dei servizi forniti, già a partire dalle informazioni del medico curante sul decorso della malattia. Il miglioramento dell’ambiente di vita, sebbene non incida probabilmente sulla durata biologica della malattia, certamente prolunga e migliora la qualità di vita dei pazienti e delle famiglie e rappresenta a tutt’oggi uno dei pochi risultati realmente terapeutici ottenibili nella cura della demenza. Rispetto al passato, nonostante sembri che il pessimismo sia lo sport nazionale degli operatori sociali, sono stati fatti dei passi in avanti. A questo proposito ci siamo rivolti ad un altro esperto della materia, il dott. Antonio Bavazzano, primario geriatra presso l’Asl 4 di Prato, in Toscana, a cui chiediamo come va la situazione assistenziale: Le cose appunto vanno meglio: il 24,9 per cento dei pazienti accedono ai servizi di sostegno pubblici come i centri diurni, il 18,5 per cento usufruiscono dell’assistenza domiciliare, il 40,9 per cento ricorrono alla badante e questo sta a significare che si ricorre meno all’istituzionalizzazione. Vi è un vasto consenso in letteratura sul fatto che le istituzioni tradizionali (case di riposo, Rsa, ecc.) non siano in grado di rispondere in modo adeguato ai bisogni delle persone con demenza grave. A parità di compromissione, la mortalità è del 6 per cento nei pazienti che rimangono al proprio domicilio, sale al 25 per cento negli istituzionalizzati Torna di prepotenza la centralità delle cure in famiglia, mentre all’orizzonte delle politiche sociali è sempre molto distante un serio e fattivo impegno di sostegno alla famiglia. Infatti la presa in carico dei servizi spetta quasi sempre all’individuo o agli individui, ma quasi mai viene focalizzata l’attenzione sulla famiglia nella sua generalità! E spesso la grave contraddizione in termini è rappresentata anche da fattori economici: infatti una persona istituzionalizzata od ospedalizzata costa almeno tre volte tanto di quanto costerebbe a casa, con supporti specifici e di sostegno personalizzati. Ci auguriamo che l’avvio concreto del Fondo nazionale per la non autosufficienza sia veramente alle porte e possa portare presto a questo cambio di passo dove la famiglia sia al centro delle politiche sociali. Ma tornando al mio amico Carlo e ai tanti familiari di persone con l’Alzheimer, se mi chiedessero: nella mia situazione cosa debbo fare, a chi mi debbo rivolgere, cosa risponderei? Innanzitutto mi viene in mente una frase di Martin Gray, ebreo deportato che disse: Ciò di cui l’uomo ha bisogno in certi momenti non è di un grido di dolore, ma di una voce più forte della sua che gli restituisca il coraggio. In questo senso la prima risposta è quella di non rimanere intrappolati nella propria situazione e cercare una relazione. In questo senso, e non solo nell’Alzheimer, un’opera meritoria è rappresentata dalle Associazioni familiari o di volontariato che, appunto, possono avere una voce, perché collettiva, forte e di coraggio. A margine forniamo alcuni indirizzi utili. Inoltre di fronte ai tanti dubbi e alle tante domande, da un indagine Censis risulta che il 78 per cento dei caregiver desidera informazioni serie e certe sulla malattia e le sue implicazioni. A questo proposito è bene sottolineare che è necessario rivolgersi a centri specialistici competenti perché di fronte all’Alzheimer, e a tutte le patologia complesse, occorrono informazioni certe. Pertanto è bene partire dalle Uva – Unità Valutative Alzheimer – delle proprie Aziende sanitarie che, oltre alla diagnosi posso fornire indicazioni specifiche. Ma è bene dire a Carlo e a tanti come lui che anche nell’Alzheimer, come nella vita, può esistere una regola d’oro. Ce la spiega la dott.ssa Caretta: Le modalità con le quali trattiamo le persone affette da demenza sono ovviamente determinate da come le consideriamo. La sfida per gli operatori è scoprire come raggiungere il suo mondo interiore. Un esperto di politiche per l’anziano, Gianfranco Nizzardo, mi diceva: Spesso di fronte a queste persone si sente dire: È malato di Alzheimer, non c’è più nulla da fare!. Al contrario, io dico: È malato di Alzheimer, quindi c’è moltissimo da fare. ASSOCIAZIONI PER LA CURA DELL’ALZHEIMER Aima – Associazione italiana malattie di Alzheimer – Ripa di Porta Ticinese 21 – 20143 Milano – tel. 02/89406254, tel. e fax. 02/89404192 – www.italz.it – email: aimanaz@tin.it – linea verde: 800-371332 Alzheimer Italia – Federazione delle Associazioni Alzheimer d’Italia – Via Marino 7 – 20121 Milano – tel. 02/809767, Fax 02/875781 – www.alzheimer.it – email: alzit@tin.it – linea di pronto ascolto: 02 809767. Alzheimer uniti Roma Onlus – via A. Poerio, 100 – 00152 Roma – tel. e fax 06/58899345 www.alzheimeruniti. it – email: info@alzheimeruniti. it – Numero verde 800.915.379

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