Alessio e Simone. Una città in lutto, in cerca di riscatto

La morte, a Vittoria, dei due cuginetti straziati da un suv lanciato a folle velocità scuote un territorio dove convive la lotta alla mafia con la sua accettazione. Ma stavolta è stato superato ogni limite
Foto Francesca Cabibbo

Un suv sfreccia per le vie della città. A velocità incredibile. Effettua un sorpasso, poi un’improbabile manovra a “S”: l’autista perde il controllo dell’auto mentre imbocca una stradina stretta, infine piomba come un fulmine su un marciapiede.

Lo schianto contro la porta di un’abitazione: sullo scalino erano seduti due bambini, due cuginetti. Hanno compiuto 11 anni da un mese, hanno concluso la scuola primaria, ora si godono le vacanze estive, trascorrono i pomeriggi insieme, frequentano il Grest, le attività estive di gruppo per bambini della parrocchia.

Il suv dilania orrendamente i loro corpi. I due bambini erano seduti sullo scalino di una casa quando l’auto si avventa di loro. Le loro gambe sono atrocemente mutilate, tranciate dal cerchio della ruota dell’auto. Alessio è esanime a pochi metri di distanza, il corpo di Simone, invece, scardina la porta alle sue spalle e finisce all’interno.

Alessio muore dopo pochi minuti. L’autopsia rivela che non poteva essere salvato per “l’inarrestabile emorragia massiva dovuto al distacco violento di una gamba”. Simone sopravvive e chiede dell’acqua. Nella notte viene sottoposto ad intervento chirurgico dall’équipe di chirurgia vascolare, ortopedia e rianimazione dell’ospedale di Vittoria. Vengono amputate le gambe, già ridotte ad un moncherino. Cinque ore di intervento, poi il trasferimento in elicottero al Policlinico di Messina. Per tre giorni, lotta come un leone, ma le sue condizioni sono disperate. Si spegne tre giorni dopo, proprio mentre a Vittoria, nella basilica di San Giovanni battista, vengono celebrati i funerali di Alessio. La notizia si diffonde nella basilica, i volti tornano a bagnarsi, increduli, attoniti. Poco dopo, sul sagrato della chiesa, il vescovo, Carmelo Cuttitta, accanto alla bara di Alessio, comunica che anche Simone è volato in cielo.

Questa vicenda ha segnato la città. Che si è svegliata quasi attonita. Ha scoperto che su quell’auto ci sono quattro persone, tutti con precedenti penali. Al volante c’è Rosario Greco, figlio di Elio Greco, imprenditore del settore degli imballaggi, attualmente in carcere per tentato omicidio. Elio Greco è sotto processo nell’operazione “Ghost Trash”. Nel gennaio scorso, gli sono stati sequestrati beni per 35 milioni di euro. Rosario Greco ha un tasso alcolemico quattro volte superiore, ha anche fatto uso di cocaina. Un mix terribile.

Nell’auto assassina, ci sono altri tre pregiudicati, c’è anche Angelo Ventura, figlio del boss Giombattista Ventura, ritenuto dagli inquirenti il referente, insieme al fratello Filippo, del clan Dominante – Carbonaro. Nel settembre 2017 l’operazione “Survivors” ha portato in carcere numerosi esponenti del clan, compreso Angelo, poi scarcerato. Il processo con il rito abbreviato, a dicembre 2018, si è concluso con le condanne a 72 anni di carcere. Il processo con il rito ordinario, invece, è iniziato a novembre.

Tra gli arrestati – poi scarcerati e oggi sotto processo – c’è anche Angelo Maurizio Cutello. È titolare di un’agenzia funebre a Comiso. Incredibilmente, è lui ad incaricarsi del funerale di Alessio. Un ginepraio. La notizia viene risaputa. Il giornalista Paolo Borrometi la rilancia e lo stesso fanno altri organi di stampa. Un segno, anche questo. Vittoria è città controversa e difficile, le commistioni, o meglio, l’accettazione di alcuni “status quo” sono impenetrabili. E attraversano una società civile, una città, talvolta sopita, talaltra inconsapevole, che talvolta prova a rialzare la testa.

Vittoria ha vissuto tanti momenti difficili. Dagli anni delle stragi (i terribili anni ’90) a quella delle collaborazioni, delle manifestazioni antimafia, delle giornate della legalità nelle scuole. L’impegno antimafia è forte, vero, costante. Ma va di pari passo con una strana e supina accettazione di uno status quo, di strane colleganze.

Dopo la morte di Alessio e Simone, qualcosa sta cambiando nella città. Fortemente, forse ineluttabilmente. La reazione è forte, viscerale, dura. I social ne sono lo “specchio”. Si invocano pene esemplari, si chiede giustizia, si confessa lo sconforto. Perché Alessio e Simone sono figli di tutti. Ma c’è anche una presa di coscienza.

La malavita organizzata, tante volte è “tollerata” di malavoglia, quando si paga il pizzo o si assiste a incendi e intimidazioni. Stavolta, però, ha colpito i “nostri figli”. Due bambini innocenti seduti su uno scalino, in una calda serata di luglio. A giocare, a confabulare, a sognare, come tutti i bimbi della loro età. Questo è inaccettabile. E insieme alla ferma condanna, c’è anche una nuova consapevolezza. La mafia produce male, sempre! Perché porta con se una mentalità che non rispetta la vita. Che “dilania” la vita come ha dilaniato quei poveri corpi.

Dopo Simone e Alessio qualcosa può veramente cambiare. Il sangue di due bambini innocenti dona una nuova consapevolezza ad una città martoriata.

Simone e Alessio
Simone e Alessio

Cambia qualcosa anche a partire dalla scuola. Quella di Portella della Ginestra, che i due bambini frequentavano, intitolerà a loro il giardino della scuola, che spiega la preside, Daniela Mercante, «sarà ridecorato –– lo inaugureremo il 2 ottobre, giorno della festa dei nonni e degli Angeli Custodi – quegli Angeli Custodi che stanno accompagnando Alessio e Simone in Cielo. I genitori e le sorelle piantumeranno le prime piante. Quel giardino sarà il luogo del dialogo, della convivenza pacifica, del rispetto. Sono i valori che i nostri ragazzi conoscono e imparano a vivere. E noi ce ne prenderemo cura. Perché questi sono i valori della vita: prenderci cura degli altri, con amore, con rispetto. E Alessio e Simone saranno sempre con noi in quel giardino. E continueranno a sorridere».

Nel sentire della città spiccano le parole di Anastasia Licitra, giovane avvocato di Vittoria.

«Cara mamma. Caro papà. Cari i miei fratelli, le mie sorelle, i miei cugini, i miei zii. Cari tutti coloro che hanno un cuore, un’anima e una bella storia da raccontare. Mi trovavo seduto sotto casa. Comodamente seduto sull’uscio di casa, giocavo felice immerso nella mia più totale e completa ingenuità e tu, mamma meravigliosa, mi guardavi. Io, mamma ti sorridevo e ti guardavo. Mamma, non ho mai distolto lo sguardo da te, mai! Neppure per un istante. Che caldo, che afa mamma!!

“Mi siedo fuori e rimango a giocare”.

Non ho ben capito perché proprio io, perché quella sera e perché quella tragica fine.

Mamma ti giuro che non lo so!!

Io non ne sapevo nulla!!

Non sapevo si potesse morire due volte: strappandomi da te per sempre e strappando te da me, per sempre.

Mamma non ti affannare a ricomporre il mio umiliato e straziato corpo.

Non è colpa tua.

Non è colpa mia.

Non raccogliere i miei pezzi.

Salvati tu che puoi!!!

Mamma, non mi guardare.

Non piangere.

Ti prego continua a pensarmi con quel sorriso pieno di vita, come hai sempre fatto.

Mamma, la Legge è anche questa.

E, stavolta, è toccato a me.

Ti prometto una cosa però.

Non smetterò mai di giocare.

Ho solo cambiato Mondo.

L’amore è eterno perché l’amore è nell’anima e l’anima non muore mai, mia dolce infinita mamma».

 

 

I più letti della settimana

Nonni

Grazie, nonni!

Digiunare per la pace

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons