Aforismi bergogliani

In una densissima visita a Milano, il papa ha tra l’altro incontrato sacerdoti e religiosi. Ne abbiamo estratto una serie di pensieri folgoranti. Su processi da avviare, rassegnazione da evitare “Gesù in mezzo” da cercare

In 12 ore il papa è riuscito a sconvolgere una città come Milano. Con i suoi gesti e con le sue parole. Ne parla in modo eccellente Elena Granata nel suo articolo pubblicato qui a fianco. Tra i suoi discorsi, ne abbiamo preso uno, quello pronunciato in un Duomo gremito di sacerdoti, religiosi e religiose, alle 10 di mattina. Ne abbiamo estratto alcuni aforismi che vi proponiamo. Invitando i lettori a estrarre dal testo completo (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2017/3/25/milano-sacerdoti.html) il loro bouquet di citazioni. Parole che parlano ad ogni uomo e a ogni donna che s’interessa del Vangelo.

 

Ad un prete che ricordava le sfide della secolarizzazione e l’irrilevanza della fede in una società multietnica, multireligiosa e multiculturale ha detto:.

«L’evangelizzazione non sempre è sinonimo di “prendere i pesci”»;

«Un evangelizzatore triste è uno che non è convinto che Gesù è gioia»;

«Non dobbiamo temere le sfide. Quante volte si sentono delle lamentele: “Ah, quest’epoca, ci sono tante sfide, e siamo tristi…”. No. Non avere timore. Le sfide si devono prendere come il bue, per le corna»;

«Le sfide (…) ci fanno crescere. Sono segno di una fede viva, di una comunità viva che cerca il suo Signore e tiene gli occhi e il cuore aperti. Dobbiamo piuttosto temere una fede senza sfide, una fede che si ritiene completa, tutta completa: non ho bisogno di altre cose, tutto fatto. Questa fede è tanto annacquata che non serve»;

«Le ideologie crescono, germogliano e crescono quando uno crede di avere la fede completa, e diventa ideologia»;

«Lo Spirito Santo è il Maestro della diversità. Guardiamo le nostre diocesi, i nostri presbiteri, le nostre comunità (…). Tanti carismi, tanti modi di realizzare l’esperienza credente. La Chiesa è Una in un’esperienza multiforme. (…) La Chiesa è Una nelle differenze (…). Ma chi fa le differenze? Lo Spirito Santo: è il Maestro delle differenze! E chi fa l’unità? Lo Spirito Santo: Lui è anche il Maestro dell’unità»;

«Quante volte abbiamo confuso unità con uniformità? E non è lo stesso. O quante volte abbiamo confuso pluralità con pluralismo? E non è lo stesso. L’uniformità e il pluralismo non sono dello spirito buono: non vengono dallo Spirito Santo. La pluralità e l’unità invece vengono dallo Spirito Santo»;

«Si cerca di (…) ridurre la tensione e cancellare il conflitto o l’ambivalenza a cui siamo sottoposti in quanto esseri umani. Cercare di eliminare uno dei poli della tensione è eliminare il modo in cui Dio ha voluto rivelarsi nell’umanità del suo Figlio. Tutto ciò che non assume il dramma umano può essere una teoria molto chiara e distinta ma non coerente con la Rivelazione e perciò ideologica. La fede per essere cristiana e non illusoria deve configurarsi all’interno dei processi: dei processi umani senza ridursi ad essi. Anche questa è una bella tensione»;

 

Ad un diacono permanente:

«Qual è il carisma più importante di un vescovo: pregare. Secondo compito: annunciare la Parola. Ma si vede bene la differenza»;

«In ciò consiste il valore dei carismi nella Chiesa, che sono una ricordo e un dono per aiutare tutto il popolo di Dio a non perdere la prospettiva e le ricchezze dell’agire di Dio»;

«Non c’è vocazione ecclesiale che non sia familiare»;

 

A una suora orsolina che costata le poche forze della sua congregazione di fronte alle sfide delle periferie esistenziali:

«Minorità, minoranza. Normalmente (…) è una parola che si accompagna a un sentimento: “Sembriamo tanti, ma tante sono anziane, siamo poche…”. E il sentimento che è sotto qual è? La rassegnazione. Cattivo sentimento (…). E la rassegnazione conduce poi all’accidia»;

«Incominciano a essere pesanti le strutture, vuote, non sappiamo come fare e pensiamo di vendere le strutture per avere i soldi, i soldi per la vecchiaia… (…). E la povertà, dove va? Ma il Signore è buono, e quando una congregazione religiosa non va per la strada del voto di povertà, di solito le manda un economo o un’economa cattiva che fa crollare tutto! E questo è una grazia!»;

«Fa bene a tutti noi rivisitare le origini, fare un pellegrinaggio alle origini, una memoria che ci salva da qualunque immaginazione gloriosa ma irreale del passato».

«I nostri padri e madri fondatori non pensarono mai ad essere una moltitudine, o una gran maggioranza»;

«Le nostre congregazioni non sono nate per essere la massa, ma un po’ di sale e un po’ di lievito (…). Per molti anni abbiamo avuto la tentazione di credere, e in tanti siamo cresciuti con l’idea che le famiglie religiose dovessero occupare spazi più che avviare processi, e questa è una tentazione»;

«Io ho paura delle statistiche, perché ci ingannano, tante volte (…). Occupare spazi più che avviare processi: eravamo tentati da questo perché pensavamo che siccome eravamo molti, il conflitto potesse prevalere sull’unità; che le idee (…) fossero più importanti della realtà; o che la parte (…) fosse superiore al tutto ecclesiale. È una tentazione. Ma io non ho mai visto un pizzaiolo che per fare la pizza prenda mezzo chilo di lievito e 100 grammi di farina, no. È al contrario. Il lievito, poco, per far crescere la farina»;

«Le strade del Signore sono come Lui vuole che siano. Ma ci farà bene fare un atto di fiducia: è Lui che conduce la storia»;

«Oggi la realtà ci (…) invita ad essere nuovamente un po’ di lievito, un po’ di sale. Potete pensare un pasto con molto sale? Nessuno lo mangerebbe»;

«Aprirci al tutto ecclesiale»;

«Non credo che il Papa possa dirvi: occupatevi di questa o di quella periferia. Ciò che il Papa può dirvi è questo: siete poche, siete pochi, siete quelli che siete, andate nelle periferie, andate ai confini a incontrarvi col Signore, a rinnovare la missione delle origini (…)! E questo farà bene a tutti noi, ci farà crescere, ci farà moltitudine»;

«Nella nostra fragilità come congregazioni possiamo farci più attenti a tante fragilità che ci circondano e trasformarle in spazio di benedizione»;

«Non dimentichiamo che quando si mette Gesù in mezzo al suo popolo, il popolo trova gioia. Sì, solo questo potrà restituirci la gioia e la speranza, solo questo ci salverà dal vivere in un atteggiamento di sopravvivenza. Per favore no, questa è rassegnazione. Non sopravvivere, vivere! Solo questo renderà feconda la nostra vita e manterrà vivo il nostro cuore. Mettere Gesù là dove deve stare: in mezzo al suo popolo».

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