Afghanistan , missione impossibile?

Due eventi hanno riportato l’Afghanistan al centro dell’attenzione politica. Il primo è la scivolata della maggioranza parlamentare sullo scoglio della politica estera ed in particolare sulla missione di mantenimento della pace proprio in Afghanistan. Il secondo, drammatico, è il sequestro dell’inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo nella zona di Kandahar. Due fatti che ci ricordano due difficili questioni, e cioè la legittimità dell’intervento della comunità internazionale in Afghanistan, da un lato, e la assai precaria situazione di sicurezza in quel Paese a ben sei anni dal primo intervento contro i talebani. Ora, i dati giuridici e formali ci dicono che la missione di stabilizzazione e di ricostruzione in Afghanistan si svolge sotto l’egida delle Nazioni Unite e che vi partecipa la più importante organizzazione della difesa dell’Occidente, la Nato. Ma questa sarebbe un’osservazione superficiale. In realtà anche tra i Paesi che partecipano alla missione le valutazioni divergono su come agire, specie nel campo della sicurezza. Gli Stati Uniti interpretano il mandato delle Nazioni Unite in modo muscolare e agiscono secondo logiche in gran parte militari. Altri Paesi, specie quelli europei, insistono di più sull’addestramento delle forze di sicurezza afghane e sugli aspetti civili della ricostruzione e dello sviluppo socio-economico. In mezzo, c’è un governo afghano che, benché regolarmente e democraticamente eletto, appare assai debole e che riesce a imporre la sua autorità su Kabul e poco altro. Intere regioni restano sotto il controllo dei grandi signori della droga, con una produzione di oppio che è a livelli record. Nello scorso novembre il governo italiano ha lanciato l’idea di una nuova conferenza internazionale per fare il punto sullo stato della difficile transizione in Afghanistan. Non sono certo una novità i rapporti tesi tra l’Afghanistan e il Pakistan, né, sul piano più ampio, gli snodi della grande partita strategica che si gioca in Asia in particolare tra Cina e India e tra Stati Uniti e Cina. La proposta italiana, all’inizio accolta con una certa freddezza, comincia a diventare una prospettiva un po’ più concreta.Ma non c’è da farsi soverchie illusioni. Una nuova iniziativa politica internazionale può essere utile. Ma se non si punta ad aumentare il consenso degli afghani, che ancora oggi vivono in condizioni spesso disastrose in un Paese liberato dai talebani (fino a un certo punto) ma non dal bisogno e dalla paura, la missione della comunità internazionale rimane ad alto rischio. Se non sul piano militare, certamente su quello politico, sociale, etico.

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