“AD10S Diego”: Maradona, un anno dopo

Un anno fa, il mondo salutava Diego Armando Maradona: cosa resta, tra tributi e strascichi, di questo genio del calcio e perché, in cosi tanti angoli nel mondo?
Murales di Diego Maradona a Lugar del Sol, un'organizzazione di beneficenza che aiuta i bambini a rischio, Buenos Aires. 24 novembre 2021. (Foto AP/Rodrigo Abd)

Il 25 novembre del 2020, a 60 anni, Diego Armando Maradona lasciava questa terra. Se il clamore della dipartita del “Pibe de oro” destava prevedibili echi in tutto il mondo e tra generazioni diverse, non era invece scontato come, un anno dopo, quel terremoto emotivo continuasse a far vibrare il cuore di così tante persone, in tutto il mondo. Numerosissimi gli attestati, gli eventi e i ricordi visti e annotati negli ultimi giorni, nei più disparati angoli del globo. Cosa resta, del mito, in tanta gente?

La mostra / museo a Carinaro
Grande affluenza, ospiti speciali e tante emozioni hanno caratterizzato innanzitutto la mostra celebrativa “AD10S … un anno dopo”, organizzata dal gruppo Marican in occasione della ricorrenza del primo anniversario al Vega Food a Carinaro. Tanti i cimeli appartenuti al “Diez” e allestiti con cura sia dal club Saverio Silvio Vignati che dal Cammarota Antonio Museum: dalla mitica “camiseta” appartenuta a Diego quando muoveva i primi passi nelle Cebollitas, nel 1973, al giubbino indossato nel 1989 a Monaco di Baviera, quando si riscaldava ballando sulle note di Life is Life.

Lo stadio dedicato a Diego e la statua di Sepe
Certamente toccante la cerimonia di domenica 28 novembre che, tra musiche e filmati, ha svelato, in uno stadio di Napoli intitolato già poche settimane dopo la dipartita del “Diez” proprio a Diego Armando Maradona, la statua in bronzo dedicata al campionissimo, realizzata dall’artista Domenico Sepe, che ha dichiarato: “Qual è stata l’emozione? Immaginate un tifoso del Napoli che crea Maradona e oggi quest’opera appartiene a tutti quanti noi. E’ una nostra statua. E’ un dono senza altri scopi fatto alla città. E’ difficile scrivere le emozioni, mi lega a mio padre, allo stadio… solo chi è napoletano può capirmi”.

In Argentina, tra memoria e strascichi
Maradona era stato salutato nella Casa Rosada, il palazzo presidenziale, con tre giorni di lutto nazionale e un corteo infinito di automobili e persone. Le partite dello scorso finesettimana hanno osservato inoltre un breve stop al 10’ di ogni gara di campionato per commemorarlo. Pochi giorni fa ha fatto il suo debutto la controversa miniserie che ripercorre la vita del “Diez” partendo proprio dalla sua infanzia e adolescenza: i primi anni di vita dell’ex Pibe de Oro narrati in Sogno Benedetto hanno come sfondo i mitici “potreros” e le “siete canchitas” che circondavano la minuscola baracca di argilla e mattoni grezzi in Calle Azamor 523, in cui Maradona ha tirato i primi calci al pallone. E’ il luogo delle radici del “jugador del pueblo” per eccellenza, da mercoledì divenuto “patrimonio storico nazionale” per il governo. Quella sgangherata casupola nascosta nelle vie dissestate di Villa Fiorito, “barrio” della grande cintura attorno a Buenos Aires, sarà una sorta di luogo di culto oltre la mera dimensione calcistica.

Eppure le indagini sulle dinamiche della morte procedono ancora a rilento. La commissione medica nominata dalla magistratura ha stabilito che Maradona “non era nel pieno delle sue facoltà mentali e che le circostanze che hanno portato al suo decesso potevano essere evitate”. Si sa inoltre che l’appartamento in cui Maradona è stato trasferito dopo l’operazione d’urgenza alla testa “non presentava i requisiti minimi del ricovero domiciliare che invece era stato tassativamente indicato e prescritto dallo staff medico della clinica Olivos”, in cui il Diez fu operato due settimane prima del decesso per rimuovere un edema subdurale. Le cure e il trattamento riservati a Maradona dopo le dimissioni dalla clinica sono stati bollati con aggettivi quali “insufficienti, temerari e negligenti”, al punto da ritenere che sia stato “abbandonato al proprio destino e lasciato morire”. Ma non vi sono ancora conclusioni definitive. Ancora meno onorevole la diatriba sull’eredità inscenata da qualche parente a caccia di visibilità o, più probabilmente di eredità. Maradona ha vissuto tra Buenos Aires, Barcellona, Napoli, Siviglia, L’Avana e Dubai: rintracciarne i beni non è facile: il Tribunale Civile di La Plata ha riconosciuto con un documento ufficiale, lo scorso marzo, chi sono i cinque figli legalmente riconosciuti come eredi universali dell’ex Pibe de Oro. Solo un primo passo verso la ripartizione dei beni, che potrà avvenire solo quando l’intero asse patrimoniale sarà rendicontato e registrato. Fa specie pensare ad una frase di Maradona, in quest’ottica: “Io volevo solo giocare, e invece guarda cos’è successo”.

Sorrentino e il tributo a Diego
Intanto, con una non indifferente dose di coraggio, il regista partenopeo Paolo Sorrentino, già vincitore del premio Oscar per “La grande bellezza”, ha dedicato a Maradona il suo “È stata la mano di Dio”, in corsa per l’Italia al Festival di Venezia. Non una biografia specifica, né solo un film intimo, come più volte annunciato. Piuttosto, da parte del regista, il racconto doloroso di particolari della sua infanzia, dei genitori, dei suoi parenti, della sua città, con poche licenze poetiche. Una sorta di autoanalisi che è al contempo un omaggio dichiarato anche a Federico Fellini e a Napoli e, manco a dirlo, al “Pibe de oro”, che lo avrebbe salvato persino dalla morte.

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