Acqua pubblica, un referendum da applicare

Il nuovo parlamento è chiamato ad affrontare il nodo del mancato rispetto della consultazione popolare del 2011 a favore della gestione pubblica e partecipata dell’intero ciclo idrico. I contrasti nelle recenti legislature e la nuova aspettativa nell’intervista a Paolo Carsetti, portavoce del Forum italiano dei movimenti per l’acqua
acqua

È cosa nota. In Italia, di fatto, non è stato applicato finora l’esito del referendum sull’acqua del 2011 che chiedeva di riconsegnare la gestione del ciclo idrico alla mano pubblica. Di questa battaglia si è fatto paladino, a suo tempo, il M5S mentre nel Pd, soprattutto tra i giovani, il dibattito dopo la sconfitta elettorale del 4 marzo ha toccato anche la contraddizione del mancato rispetto della volontà popolare.

paolo-carsetti

Cerchiamo di capire lo stato delle cose con questa intervista a Paolo Carsetti, segretario e portavoce del Forum italiano dei movimenti per l’acqua. Cioè la realtà eterogenea che non ha mai cessato di portare avanti le istanze per l’applicazione del referendum popolare e che, sabato 24 marzo, si radunerà a Roma al termine di un viaggio di mobilitazione in giro per l’Italia per promuovere “Il diritto all’acqua, per il diritto al futuro”. Secondo Carsetti, «l’acqua e i beni comuni possono essere un nuovo orizzonte di senso in grado di connettere terreni e conflitti diversi, di parlare potenzialmente a tutti ben al di là dei recinti angusti della politica di palazzo e ricostruire alle radici una diversa cultura collettiva».

Per chi non ha seguito da vicino in questi anni ci puoi dire che effetto ha prodotto il referendum vinto sull’acqua pubblica?

Abbiamo assistito ad una reazione decisa, quasi feroce, delle lobby economico-finanziarie. L’attacco all’esito referendario non si è fatto attendere e il mantra delle privatizzazioni è tornato ad essere il faro delle élite politiche che governano il nostro Paese. Dal pronunciamento popolare del referendum l’emersione della crisi economico-finanziaria a livello globale ha costretto prima a sterilizzare l’esito referendario per poi riprendere il cammino delle privatizzazioni. Oggi si utilizza una strategia ben più subdola di quella sconfitta dal referendum, ovvero non si obbliga più alla privatizzazione ma si favoriscono i processi che puntano a raggiungere il medesimo obiettivo attraverso la promozione di operazioni di fusione e aggregazione tra aziende.

In che modo agisce questa tattica?

La strategia si incentra sulla creazione di alcune grandi aziende multiservizio quotate in Borsa, che gestiscono i fondamentali servizi pubblici a rete (acqua, rifiuti, luce e gas) e hanno un ruolo monopolistico in dimensioni territoriali significativamente ampie. Allo stato attuale s’intende far avanzare un processo di progressivo allargamento verso i territori limitrofi delle “4 grandi sorelle”: Iren proiettata in Piemonte, Liguria e la parte occidentale dell’Emilia-Romagna; A2A che tende a diventare l’unico soggetto gestore in Lombardia; Hera che occupa la parte dell’Emilia-Romagna che va da Bologna a Rimini e guarda a tutto il Triveneto e alle Marche; Acea che si espande dal Lazio all’Umbria, alla Toscana e parte della Campania. In questo quadro, s’inizia a delineare anche ciò che si muove nel Mezzogiorno, dall’accaparramento delle fonti alla creazione di un potenziale “gestore del Sud Italia” così come indicato nell’ultima legge di stabilità.

Acqua rubinetto

Questo ostracismo del sistema giustifica la mancanza di fiducia nelle forze politiche?

Certamente il mancato rispetto della volontà popolare e il sostanziale aggiramento dell’esito referendario ha contribuito ad approfondire la distanza tra la società civile e le forze politiche. A mio avviso ciò non può e non deve costituire un alibi per non proseguire un percorso di mobilitazione, sensibilizzazione e formazione volto all’azione.

Ad ogni modo cosa ha prodotto l’impegno dei movimenti per l’acqua pubblica?

A quasi 7 anni dal referendum possiamo dire di aver contenuto la spinta privatizzatrice, di aver contribuito non poco alla rottura socio-culturale sul tema della liberalizzazione dei servizi pubblici. Abbiamo costruito con testardaggine un fronte europeo, prima inesistente, senza il quale oggi saremmo sicuramente più deboli. Siamo riusciti ad analizzare approfonditamente i meccanismi del calcolo della tariffa e del reinserimento della remunerazione del capitale da parte dell’Aeegsi (Autorità per l’Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico), oggi Arera (l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) e abbiamo avuto la capacità di strutturare un calcolo per l’autoriduzione delle bollette lanciando la campagna di “Obbedienza civile”.

Un cammino irto di ostacoli, dunque, ma con quali risultati? 

Abbiamo pervicacemente lavorato alla promozione della nostra legge per la gestione pubblica del servizio idrico, anche contribuendo alla nascita dell’integruppo parlamentare per “L’acqua bene comune”, e l’abbiamo difesa con forza dall’ennesimo attacco del Pd e della maggioranza che alla Camera hanno stravolto la legge approvandone un testo che, a partire dalla soppressione dell’articolo 6 che disciplinava i processi di ripubblicizzazione, ne ha ribaltato il senso. Abbiamo costruito una campagna nazionale, anche attraverso la raccolta di 230.000 firme consegnate alla Presidente della Camera, contro l’approvazione dei “decreti Madia” sulle società partecipate e sui servizi pubblici tramite i quali il Governo si poneva l’obiettivo di rilanciare i processi di privatizzazione di tutti i servizi a rete, dall’acqua all’energia, dai rifiuti al trasporto pubblico locale, espropriando gli Enti Locali e le comunità territoriali di ogni facoltà nel determinare l’articolazione territoriale dei servizi e le politiche tariffarie. Anche grazie alla nostra mobilitazione il Governo è stato costretto a ritirare il decreto sui servizi pubblici locali. Una vittoria della mobilitazione e dell’applicazione della Costituzione!

Cosa avete da dire sull’esperienza dell’azienda ABC (acqua bene comune) promossa dal comune di  Napoli?

Se facciamo riferimento alle grandi metropoli, ABC Napoli è un’esperienza unica in Italia. D’altra parte va ricordato che esistono molti altri comuni, di piccole dimensioni, che hanno ripubblicizzato il servizio idrico. L’amministrazione napoletana avviò la trasformazione della società per azioni (Arin S.p.A.) in azienda speciale subito all’indomani del referendum proprio a volerne recepire immediatamente l’esito. Il percorso è proseguito in maniera decisa e oggi ABC Napoli costituisce la prova che la ripubblicizzazione dell’acqua è possibile e s’inserisce a pieno nella tendenza internazionale che vede centinaia di municipalità in giro per il mondo riprendersi la gestione diretta del servizio idrico dopo anni di mala-gestione privata. Si tratta di un percorso molto complesso che abbisogna ancora di un passaggio fondamentale, la definizione compiuta della gestione partecipativa. La partecipazione alla gestione della comunità locale, intesa come comunità di lavoratori e utenti, è l’unico antidoto rispetto al rischio di replicare errori del passato, ossia una gestione pubblica poco attenta ai reali bisogni del territorio. La proprietà pubblica del bene è una condizione necessaria ma non sufficiente. Per questo il nostro auspicio è che a Napoli e in ABC si arrivi quanto prima a definire strumenti di partecipazione concreti e reali.

Quale è la vostra aspettativa verso un eventuale esecutivo a guida M5S?

Per il momento la stella dell’acqua pubblica non ha brillato particolarmente nelle amministrazioni pentastellate, a meno che non si portino a conclusione alcuni percorsi, che guardano alla gestione pubblica dell’acqua, faticosamente avviati a Roma e Torino. L’auspicio è che si tratti realmente di una stella e non di una meteora che svanisce alla prova del governo delle istituzioni.

Gli enti locali hanno tuttavia molto limiti nel loro operare…

I diritti vengono sempre più logorati anche mettendo sotto attacco gli Enti Locali e la democrazia di prossimità, senza la quale ogni legame sociale diviene contratto privatistico e la solitudine competitiva l’unico orizzonte individuale. Si restringono, così, i parametri del patto di stabilità interno facendo diventare gli Enti Locali i luoghi sui quali far precipitare la crisi. Si costruiscono meccanismi predatori attraverso l’imposizione di piani di rientro dal debito. Si realizza, così, la cosiddetta “trappola” del debito. Un debito per gran parte illegittimo creato dalla progressiva finanziarizzazione dell’economia e della società. Ciò che era socialmente inaccettabile, ovvero privatizzazioni dei servizi, vendita del patrimonio pubblico, restringimento degli spazi di democrazia, diviene politicamente inevitabile anche perchè interiorizzato da gran parte delle forze politiche che governano sia a livello nazionale che locale.

Quindi cosa resta da fare?

Di fatto non sussiste un impedimento concreto alla possibilità degli Enti Locali di riprendersi la gestione diretta del servizio idrico e quindi ripubblicizzare. Purtroppo, l’unico impedimento è l’assenza di volontà politica di una gran parte degli amministratori locali perché, di fatto, subalterni alla logica delle privatizzazioni e intimoriti da una serie di norme che rendono maggiormente complicata la strada della gestione pubblica, ma non impossibile. Le politiche monetariste e di austerità sono diventate lo strumento mediante il quale scaricare gli effetti sui cittadini. I vincoli di bilancio diventano prioritari rispetto alla garanzia dei diritti fondamentali. Di fatto siamo alla cinica attuazione dell’aforisma di Friedman secondo cui «lo shock serve a far diventare politicamente inevitabile ciò che è socialmente inaccettabile». Purtroppo la crisi sistemica nel nostro Paese si innesta dentro un profondo degrado delle istituzioni e della democrazia e dentro un’altrettanto profonda frammentazione delle relazioni sociali. L’aspettativa è che chi si candida a governare il nostro Paese abbia ben chiari quali siano i reali ostacoli per poterli affrontare e rimuovere.

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