Abitare la città

Ma perché, per parlare di città, ci portano in campagna? È la domanda che non pochi architetti e urbanisti si sono posti salendo i contrafforti dell’altipiano di Loppiano, appena sopra Incisa in Val d’Arno. Si trattava dei partecipanti ad un seminario internazionale intitolato appunto Abitare la città, promosso da un gruppo di architetti e urbanisti vicini al Movimento dei focolari. In realtà quegli esperti ad una città ci salivano davvero, anche se originale, un laboratorio di convivenza multietnica e multireligiosa che è, nello stesso tempo, un’anomalia e un luogo di innovazione. Un luogo di dimora e di passaggio, di incontro tra culture, di sperimentazione di nuovi modelli economici e di stili di vita ispirati alla condivisione. Di tutto ciò parlo con Carlo Fumagalli, architetto, e con Elena Granata, urbanista, tra i principali promotori dell’iniziativa. Due generazioni, due approcci complementari alla materia dell’abitare, Architettura. Semplicemente. È il nome del gruppo informale di architetti ed urbanisti che ha dato vita al seminario di Loppiano. In cosa consiste? Carlo Fumagalli: Il gruppo prende l’avvio nella primavera del 2002. Nasce con l’idea di dare vita ad un laboratorio permanente di riflessione attorno ai temi dell’urbanistica, dell’architettura, della relazione tra spazio e società. Vede coinvolto un iniziale gruppo di architetti, ingegneri, docenti universitari e studenti, che a vario titolo sono impegnati intorno al tema della città e del territorio, promuovendo momenti di confronto, dialogo e approfondimento di temi comuni, alla luce delle sollecitazioni derivanti da Chiara Lubich. Questo laboratorio iniziale si è fatto promotore di dialogo in alcuni paesi. L’attività si è inizialmente concentrata sullo studio delle cittadelle realizzate, o in corso di realizzazione, in più parti del mondo, da parte dei Focolari. Successivamente ha ampliato la propria attenzione sul tema dell’abitare la città, come argomento in grado di legare questioni di carattere tecnico, ma anche prospettive sociali, politiche, di integrazione culturale. Abitare la città. Perché? Elena Granata: Cosa rende abitabile lo spazio nel quale viviamo? Come far diventare più abitabili le nostre città? Il nostro seminario internazionale ha preso le mosse da questi interrogativi, facendo proprio un tema che da qualche anno è tornato ad appassionare il dibattito urbanistico. Tuttavia, se prima l’attenzione di studiosi e progettisti era rivolta esclusivamente alla dimensione privata dell’abitare, inteso come casa, rifugio, come luogo di vita dell’individuo e del suo nucleo familiare, oggi emerge con forza la sua dimensione estroversa, rivolta verso l’ambiente, il paesaggio circostante, e rela- zionale, come dimensione occasione quotidiana per intessere legami e condividere con altri un certo numero di valori comuni. Com’è che una spiritualità può interessare architetti e urbanisti? Carlo Fumagalli: Nel corso della storia i carismi hanno sempre generato stili culturali e dato un’impronta ai contesti umani e sociali in cui si sono inseriti. Pensiamo a san Francesco e alla fioritura della cristianità medioevale, a sant’Ignazio e al profilarsi dell’epoca moderna. Teologia, filosofia, prassi sociale, economia, arte, architettura, sono stati influenzati e informati dall’ispirazione mistica di questi fondatori. Alcune correnti di spiritualità del passato – l’esperienza benedettina in maniera straordinaria -, hanno saputo coniugare l’ispirazione trascendente con una forma architettonica e con una cifra artistica riconoscibili; hanno espresso attraverso materiali urbani, pietre, l’istanza ideale sottesa. Nell’esperienza dei Focolari, e in particolare nelle cittadelle sorte in varie parti del mondo, fin dall’origine apparve chiaro che non si trattasse di immaginare un nuovo stile architettonico o una forma urbana da replicare, ma di privilegiare una dimensione profondamente relazionale, ricercando l’armonia, l’integrazione con il contesto, il coinvolgimento degli abitanti nelle scelte progettuali. Nel seminario di Loppiano non si è trattato soltanto di riunire degli architetti ma tutti coloro che si occupano della città… Elena Granata: L’abitare è un tema che può essere osservato da molte angolature: come insieme di pratiche, di abitudini, di tradizioni legate ad un gruppo sociale, ma anche come tema progettuale che coinvolge competenze, professionalità, oppure ancora come scenario di politiche urbane, sociali, economiche. Questa pluralità di significati del tema ha consentito di mettere insieme figure e professioni molto diverse, raramente in dialogo: architetti, urbanisti, paesaggisti, amministratori locali, studiosi della città, economisti. Non è una sfida facile in un tempo nel quale è più facile assecondare spe- cialismi e comparti professionali, ma certamente si è rivelata occasione per un confronto insolito e stimolante. Nel corso del convegno, anche per la ispirazione proveniente da Chiara Lubich stessa, si è non poco parlato di un tema solitamente considerato teologico. L’architettura, in realtà, è da sempre il riflesso non solo di condizioni materiali, ma anche spirituali. Basti pensare al tempio, in tutte le religioni e culture… Ora, che riflessi architettonici ha avuto il Dio-Trinità cristiano? Forse la città stessa è il suo vero tempio… Carlo Fumagalli: La Trinità può in effetti essere modello per tutte le manifestazioni umane. La riflessione sul rapporto trinitario dà nuovo impulso e maggiore consapevolezza al nostro ruolo e alla nostra responsabilità di architetti e di urbanisti. Senza poi parlare del fatto che la dimensione relazionale è insita nella definizione stessa delle basi disciplinari dell’architettura: la relazione fra pieni e vuoti, fra colori e materiali, fra luci e ombre, fra paesaggi e insediamenti, fra spazi interni ed esterni, fra ambienti abitabili e abitanti, e così via. Una novità? Elena Granata: Almeno in parte penso di sì, anche se altri architetti hanno esplorato o almeno sfiorato il campo. Un esempio tra i tanti è quello di Michelucci. Guardando la piazza centrale di Perugia, il Battistero e il Duomo, così si esprimeva: Una comunione nasce tra queste due costruzioni molto diverse che si fronteggiano in un dialogo che dura da secoli e che si amano in quanto si conoscono in ogni fibra e abitudine, e hanno ancora qualcosa di nuovo da dirsi. È una comunione che nasce dall’amore, che è l’essenza della Trinità, dal dialogo e dalla sorpresa di parole sempre nuove. È stato detto che il modello trinitario si è incarnato nella famiglia di Nazareth, in una modesta casa che albergava tre persone che erano uno… Elena Granata: È proprio dalla prospettiva delle casetta di Nazareth che abbiamo provato a guardare la città. La polis: città fisica e sociale, dove dialogano le differenze; dove alberga il molteplice proteso all’uno. Scriveva la Lubich a proposito della casetta di Nazareth che la tradizione dice sia contenuta nel santuario di Loreto: Quando si entra ci si sente cambiati, portati in altro luogo, sembra quasi di essere in Paradiso… Era infinito, ma mi sentivo a casa. Anche le città possono essere il luogo che fa sentire a casa e, al contempo, aprire alla dimensione dell’infinito. Questa presenza trinitaria può avere una sua influenza su un abitato concreto? Elena Granata: Ogni casa, ogni costruzione può essere un tassello accanto ad altri tasselli per comporre le città nuove. Case, cioè interni che possono chiudersi, escludere chi resta fuori, isolarsi. Oppure, che possono al contrario aprirsi, accogliere, generare vita intorno a loro. Ma è necessario mettere a repentaglio la confortevole sicurezza delle nostre case, provando a cambiare noi stessi e le relazioni che abbiamo con gli altri. A entrare in dialogo con chi sentiamo diverso da noi. Case illuminate da una vita nuova potranno comporre come in un mosaico poco alla volta, e con la creatività e gli sforzi umani, le città nuove. Non sono solo parole…. ARCHITETTI, URBANISTI ED ALTRI… Nella prima sessione del convegno di Loppiano, Abitare, hanno preso la parola Elena Granata, ricercatrice alla facoltà di Architettura e società, a Milano (Pratiche dell’abitare: tra ricerca individuale e nuove forme di comunanza), Fernando Lugli, ingegnere (Abitare un luogo: il paesaggio, costruttore di identità), Elena Di Taranto, architetto, della Sapienza di Roma (Differenze e spazi di reciprocità) e Carlo Melograni, primo preside della facoltà di architettura a Roma Tre (Progettare per chi va in tram). Sopralluoghi, la seconda sessione, ha visto una conoscenza diretta della cittadella di Loppiano, analizzata sotto diversi punti di vista: il risanamento conservativo (Carlo Fumagalli e Iole Parisi, architetti); la trasformazione del paesaggio e nuove identità (Luciano Piazza, membro dell’Istituto nazionale di urbanistica, e Clara Zanolini, architetto); la reinvenzione di un centro storico (Marino Brancaccio e Paolo Squassabia, architetti); poli generatori: nuove domande, nuove funzioni (Benedetto Gui, ordinario di Economia politica a Padova). Ha concluso la giornata un viaggio nelle cittadelle del mondo, di Marcelo Pardo, architetto argentino. La terza sessione aveva come titolo Dialogo a più voci. Hanno preso la parola Michele Zanzucchi, giornalista (Luoghi di dialogo tra culture), Carla Bartoli, architetto (Le idee ispiratrici), Giuseppe Stancanelli, avvocato e ordinario di Diritto amministrativo a Tor Vergata (L’eccezione e la regola: momenti salienti nella pianificazione di Loppiano) e Daria Risaliti, sociologa urbana, docente ad Architettura a Firenze (Apprendere dalle differenze per ritornare alla centralità dell’uomo).

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