A lezione da Ciampi

Arrivo tardi ad applaudire il nostro presidente della Repubblica. E tuttavia non voglio perdere l’occasione per sottolineare che quanto va dicendo nelle piazze, alle scolaresche e nei mille incontri cui la sua funzione costituzionale lo obbliga, piace e convince. Prendiamo dunque l’ultima quindicina, quella di settembre, e mettiamoci alle calcagna di questo piccolo grande vecchio che sta percorrendo l’Italia e impartisce lezioni a destra e a manca, come da una cattedra ambulante. E che lezioni. Nel Bel paese, cittadini e governo sono da poco ritornati dalle ferie. Hanno trovato i previsti rincari del mercato, l’inarrestabile frana della borsa, il cielo corrusco di nembi minacciosi a dichiararci il definitivo fallimento dell’estate; e il panorama internazionale illuminato da ben più sinistri lampi di guerra. Mentre sui nostri litorali continuano i naufragi dei disperati, vittime del miraggio europeo. Niente di nuovo, dunque, niente di incoraggiante, a leggere i giornali. Meno che meno, poi, ad ascoltare i battibecchi dei nostri politici dei due schieramenti, impegnati soltanto, si direbbe, nella reciproca delegittimazione, senza entrare mai nel merito dei problemi. Come bambini che si insultano inviperiti, avendo dimenticato addirittura il perché della lite, pronti solo a gridare: “È stato lui per primo!”. Che pena. Ma eccoci dietro al nostro presidente che parla ai bambini e alla gente comune, perché anche a Roma si ascolti. E da Pistoia parte l’invito ad abbassare i toni: “La dialettica vivace tra partiti di governo e opposizione è resa costruttiva dal reciproco e dichiarato riconoscimento che ambedue gli schieramenti sono democratici e legittimati dal voto popolare e dall’accettazione della Costituzione. Questa è una regola fondamentale della democrazia. Specie – continua Ciampi – se vogliamo costruire opportune collaborazioni”. Il suggerimento è fin troppo palese. Di più non poteva dire. Anche il suo invito a guardare ai problemi del nostro Meridione è concreto e costruttivo: “Dico a imprenditori e sindacati di questa Italia prospera: guardate a sud alla nostra “nuova frontiera” interna, per trovare spazi al vostro stesso sviluppo. Non è accettabile che nel Mezzogiorno vi siano tassi di disoccupazione due, tre o anche quattro volte più alti del nord e del centro”. Ma ce n’è per tutti. Eccolo infatti, a Lucca, ritornare sui temi dell’economia a ricordare che se la svalutazione non è più quella selvaggia di una volta, non si può sottovalutare il problema: “Con l’euro non c’è più il rimedio della svalutazione. Oggi il rischio è di diventare meno competitivi “. Certo, servono impegno ed efficienza, ma per guardare anche al di là dei nostri più stretti interessi e dei nostri confini, perché “il benessere conquistato da quella minoranza di nazioni che hanno saputo risollevarsi da una condizione di povertà un tempo universale, rende sempre più intollerabile alla nostra coscienza le condizioni miserabili di vita ancora comuni alla maggioranza dei popoli”. Un’esigenza di solidarietà che ribadirà a Roma, al Vittoriano, rivolgendosi agli studenti che hanno ufficialmente iniziato l’anno scolastico, perché si traduca nel nostro paese anche in accoglienza per gli stranieri. Pochi, prima di Ciampi, hanno saputo tenere alto, con tanta dignità e credibilità, il senso di appartenenza ad un paese. Forse, proprio per questo, alle nuove generazioni egli può additare con altrettanta fierezza la nostra appartenenza all’Europa. Con gli altri popoli del Vecchio continente ci accomunano le radici. Ci si prospetta un comune futuro. Dobbiamo costruirlo insieme, e a Firenze, visitando il 26 settembre con il cancelliere austriaco Klestil, l’Istituto universitario europeo, spiega come non possa più bastare una semplice cooperazione tra le nazioni. Davanti alle nuove sfide planetarie, nessun paese può pensare di rispondere da solo. “Il vero obiettivo è la pace, che è frutto di ideale collaborazione nell’affrontare i problemi del mondo”. Rilancia allora un ponte attraverso l’Atlantico perché, “insieme, Europa e Stati Uniti sono la migliore garanzia di pace, la migliore difesa dal terrorismo, la migliore locomotiva di sviluppo economico e di diffusione del benessere “. Ma per fare ciò l’Europa deve poter parlare con una sola voce, adeguando per questo la propria politica e i propri strumenti operativi. Serve allora “una figura istituzionale nuova, una rappresentanza esterna unitaria ed efficace degli stati europei”. C’è dell’altro, ma mi fermo qui. Attento a non pensare che il presidente sia rimasto nell’ovvio, tanto è stato chiaro. Direi piuttosto che ha centrato il nocciolo dei problemi. Impartendo una grande lezione, esaltata dal fatto che ci viene offerta col tono pacato di chi sa stare finalmente al di sopra della rissa, senza demonizzare nessuno, neppure chi affermasse il contrario.

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