A Cuba via Gerusalemme

Ad una settimana dallo storico incontro di L’Avana tra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill, incontro che ha suscitato non poche reazioni di segno diverso, iniziamo una serie di commenti che proseguiranno nei prossimi giorni su un evento che non poteva non lasciare tracce profonde. Come nelle occasioni in cui la storia “si fa”
Kirill e Francesco

Chissà se mai si sarebbe arrivati a L’Avana senza una sosta preliminare a Gerusalemme. Non c’è dubbio che l’incontro nella capitale cubana tra papa Francesco e il patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia non abbia precedenti nella storia. Un appuntamento atteso da mille anni, dopo il lento allontanarsi gli uni dagli altri e gli eventi del 1054 tra la Chiesa d’Occidente e quella d’Oriente.

 

Tuttavia è altrettanto vero che l’appuntamento nel significativamente disadorno e anonimo ambiente dell’aeroporto cubano tra i due leader religiosi sia maturato per l’apertura del patriarca russo, ma anche in virtù di un cammino tra Chiesa cattolica e Ortodossia, iniziato poco più di mezzo secolo fa. Impossibile infatti non riandare con la mente allo storico incontro e all’abbraccio tra Paolo VI e Athenagoras, patriarca di Costantinopoli, a Gerusalemme il 6 gennaio 1964. Entrambi seppero liberarsi dall’ingombrante fardello del passato e procedere guardando avanti. Furono revocate le sentenze di reciproca scomunica, iniziò uno scambio di viste nelle rispettive sedi, prese avvio il dialogo teologico.

 

Costantinopoli non è Mosca. Questo è chiaro. Le due grandi capitali dell’Ortodossia sono indipendenti e le due Chiese autocefale, con propria giurisdizione e amministrazione. A Costantinopoli risiede il patriarcato ecumenico, che resta primus inter pares, cioè ha un primato tra eguali. Ma nei secoli le distanze tra i due patriarcati sono state superiori a quelle geografiche.

 

Fatte salve, perciò, tutte le differenze, non si può comunque ritenere che il progressivo cammino di avvicinamento tra Roma e Istanbul sia stato del tutto ininfluente per l’intera Ortodossia. Soprattutto nell’ultimo decennio e, in modo particolare, tra Francesco e Bartolomeo I. La testimonianza di stima reciproca, di squisita carità, di sintonia spirituale e di identità di vedute tra i due capi religiosi hanno fatto compiere in poco tempo un percorso senza pari.

 

Il loro incontro a Gerusalemme il 25 maggio 2014 nella basilica del Santo Sepolcro ne ha costituito il punto di arrivo. E di nuova partenza. Le Chiese e le comunità cristiane sono lì riunite per la prima volta in una celebrazione comune pubblica, durante la quale hanno pregato assieme. Dagli interventi di Francesco e di Bartolomeo I emerge una straordinaria novità, quella di lasciarsi interpellare dai drammi e dalle emergenze del mondo per dare una risposta cristiana comune alle domande delle gente, credente o meno. Insieme firmarono una Dichiarazione congiunta, che costituisce una piattaforma corale per testimoniare e operare su molteplici fronti.

 

Forse è solo un caso, ma il testo firmato a L’Avana da Francesco e Kirill riecheggia in tante parti il documento sottoscritto nella Città Santa. Entrambi assegnano una parte rilevante alla situazione in Medio Oriente, con un appello accorato alle parti in causa e alla comunità internazionale per giungere alla pace e stabilire una convivenza pacificata.

 

Comune è il dolore per «l’esodo massiccio dei cristiani dalla terra dalla quale cominciò a diffondersi la nostra fede». Parlano dei «martiri del nostro tempo appartenenti a varie Chiese», indicano come «indispensabile» il dialogo interreligioso, mentre ribadiscono che «nessun crimine può essere commesso in nome di Dio». Nei due testi sono presenti anche i temi sociali, legati alle povertà e alle migrazioni, con l’impegno delle due Chiese «a difendere le esigenze della giustizia». Altre concordanze, con passaggi circostanziati, riguardano la concezione e l’impegno comune su famiglia, matrimonio e vita.

 

Sottotraccia, ma non troppo, i due testi sono percorsi da una acquisita consapevolezza, quella che – in un mondo ormai globale, dove il relativismo e la secolarizzazione avanzano a grandi passi in questa stagione di crisi – Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa sono investite dalla responsabilità comune di non agire più ciascuna senza le altre o in concorrenza verso le altre.

 

La Storia chiede altro. La Dichiarazione di L’Avana recepisce: «Cattolici e ortodossi sono chiamati a collaborare fraternamente nell’annuncio della Buona Novella della salvezza, a testimoniare insieme la dignità morale e la libertà autentica della persona».

 

I documenti comportano sempre un grande lavoro preparatorio, ma quei testi spesso vengono poi dimenticati. Ai due firmatari non difetta il realismo. «Gli esiti della conversazione mi permettono di assicurare che attualmente le due Chiese possono collaborare», ha commentato Kirill dopo la firma della Dichiarazione congiunta. Francesco aveva proseguito, specificando che «abbiamo prospettato una serie di iniziative, che credo siano valide e che si potranno realizzare», mettendo in luce una condivisa prospettiva: «Concordiamo sul fatto che l’unità si fa camminando».

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