A casa di Piera

Celebrare la festa della donna è l’appuntamento che ci fa ricordare l’altra metà del cielo. Che ricorda i sacrifici e le fatiche, e che celebra concentrato in un preciso giorno la donna nella sua interezza e bellezza. La storia di Piera lo dimostra

Tante sono le storie che si possono descrivere, raccontare, a testimonianza di impegno e dedizione, di amore per la vita, in occasione della festa della donna. In un angolo dell’Italia del Nord abbiamo incontrato Piera, calabrese, sposata con Lorenzo e madre di due figlie e zia di tre nipoti. Indaffarata in mille modi e in donazione per gli altri: «Mi interesso del bene comune perché vorrei che tutti potessero vivere in armonia». Da 7 anni è pensionata come artigiana, aveva lavorato come maglierista, poi ha scelto dopo le pensione di lavorare per i migranti. «Non è stata una scelta, mi corregge, ma una necessità. Devo dire che io sono figlia di migranti, sono venuta in Liguria da piccolina e mi ricordo che i miei genitori ospitavano da sempre dei calabresi che venivano a lavorare in Francia come boscaioli. Poi il sabato sera venivano in Italia per fare provviste, spedire i soldi alle loro famiglie e i miei genitori li ospitavano. Ricordo di tanti materassi stesi per terra per la notte e la domenica ancora insieme per un grande pranzo con mangiate di pasta e prodotti tipici della Calabria».

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Quando è arrivata l’ondata di migranti dal Nord Africa, Piera si subito attivata con altre persone: «Mettermi a disposizione non è stata una scelta, ma una logica conseguenza di quello che era stato il mio passato. Del mio essere stata una migrante». Così si è presentata in Caritas e tutte le settimane prepara i pranzi con un altro gruppo di volontari: «Cerchiamo di cucinare cose buone che piacciano ai ragazzi».

Nella loro casa Piera e Lorenzo hanno ospitato diverse persone. Come quei 4 ragazzi che volevano raggiungere l’Europa del Nord. «Quando sembrava il momento di partire, grandi abbracci, saluti e lacrime e gli abbiamo chiesto  di farci avere loro notizie una volta raggiunta la meta. Dopo 15 giorni abbiamo ricevuto una telefonata dalla Norvegia: erano loro che ci raccontavano del loro arrivo. La cosa particolare era che non avevano scritto su nessun pezzo di carta il nostro numero di telefono, l’avevano imparato a memoria perché non potevano portarsi niente di scritto addosso, perché se fermati potevano ricondurre al loro passaggio in Italia. Per noi è stata un’emozione grandissima.

Un altro incontro è stato quello con Sara, una ragazza che aveva contratto la varicella e non poteva stare nel campo con gli altri. Allora l’abbiamo ospitata. Una sera le ho dato del talco mentolato, dicendo di farsi la doccia e dopo di passarselo sulla pelle che le avrebbe tolto un po’ il prurito. L’indomani mattina, quando sono andata a svegliarla, mi sono presa uno spavento grande: aveva il corpo completamente bianco, si era messo il talco senza asciugarsi: era tutta bianca come la neve. Ci siamo fatti una bella risata. Un altro episodio che si è concluso molto bene è stato quello di Lassan, nostro ospite per alcuni mesi. Finalmente gli abbiamo trovato un lavoro, con contratto e le cose per lui stanno andando bene».

L’8 marzo per Piera che quasi “convive” con le donne migranti le fa dire che i diritti delle donne non sono ancora tutti raggiunti. «Io sono fortunata perché gli uomini della mia vita, da mio padre a mio fratello a mio marito, non mi hanno mai fatto sentire inferiore a loro. Ma non è così purtroppo per i migranti che incontro in Caritas, specialmente le donne incinte di un figlio senza padre perché abusate, e che faranno nascere chissà dove il loro figlio e che poi lo porteranno legato sulle loro spalle per il mondo. A loro devo dare speranza perché mi viene in mente  che è già successo nella storia che un Giuseppe si prese cura, una cura amorevole di una donna incinta di un figlio che cambiò la storia del mondo. Una donna secondo me se vista come donna, restituisce sempre il doppio di ciò che riceve e in più da la vita».

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