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Italia > Società

Vicine e lontane periferie al centro

di Michele Zanzucchi

- Fonte: Città Nuova

Michele Zanzucchi, autore di Città Nuova

Sono appena tornato da un Brasile che sta cercando di entrare nel club dei potenti, nonostante le evidenti contraddizioni di uno sviluppo che non è riuscito a debellare la piaga delle favelas. Certo, di sforzi il presidente-operaio ne ha fatti, ma i grumi di miseria continuano ad apparire dove meno te l’aspetti, negli interstizi e nelle pieghe dei centri delle città. Il fenomeno non è solo brasiliano, tutt’altro. Ne ho trovate ovunque di bidonville e slum, cioè di baraccopoli. Sotto i viadotti di Karachi, dove migliaia di indù sopravvivono protetti da teli bucati; a Mumbai, dove si cerca di smantellare lo slum più esteso del mondo, Diwali, due milioni di uomini e donne protetti da cartone e plastica; e poi Nairobi – tutti l’abbiamo visto -, Kibera,Mathare, Korogocho. Ma anche nella nostra civilissima Europa ce ne sono: quella mobile e sotterranea dei bambini abbandonati delle vie centrali di Bucarest; oppure, più vicino, a Genova, che nasconde dietro al porto scintillante di Piano i carruggi degli immigrati, nei cui tuguri lebbra e Tbc, e non solo Aids, mietono vittime. Potrei continuare con i pensionati che vendono la fede nuziale per arrivare a fine mese, i quarantenni precari che non sono bamboccioni ma emarginati da precarietà. E come dimenticare le periferie del mondo, lembi inquieti di terra ai margini dei centri del potere: il Kosovo (periferia balcanico-europea), il Caucaso (periferia dell’impero russo), il Kurdistan (periferie dei piccoli imperi turco, iraniano e di quello conteso iracheno)? Eppure nei temi della nostra campagna elettorale si parla molto poco di periferie, vicine e lontane. Si preferisce parlare di centro; è quasi una ossessione, un ritornello rassicurante, un utero capace di proteggerci col suo liquido amniotico dalla paura liquida di Bauman. Forse per reazione al crollo del socialismo reale e della enfasi militante posta sui proletariati ci si centra al centro. Si fanno discorsi di centro, moderati, anche per reazione al condizionamento delle estreme. Ma questo comprensibile, lecito e forse necessario accentramento sembra emarginare, assieme alle periferie del Parlamento, anche quelle della società reale, dei miseri, le sacche di disperazione e solitudine. Per tutti i politici – in primis per quelli cristiani – dovrebbe invece essere un imperativo categorico, certo non il solo ma indispensabile, quello di rimettere al centro del dibattito le periferie del mondo, tutte, quelle sotto casa e quelle allo sprofondo. Non aspettiamo programmi patinati, ma impegni precisi.y

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