70 testate nucleari

Intervista a Massimo Toschi sui temi della guerra, del nucleare e del disarmo

Il papa ha confessato di avere paura della guerra atomica e nucleare. Una notizia che fa impressione: è un papa che, invece di darci speranza, ci vuole impaurire?

In realtà la parola di papa Francesco è una parola, sembra un paradosso, di coraggio, perché ci vuole chiamare alla vigilanza, cioè a vegliare sul tempo della storia che stiamo vivendo. E certamente al cuore di questo tempo c’è il ritorno della questione nucleare. Il problema era iniziato con Papa Giovanni, con l’enciclica Pacem in terris, che nel passaggio più delicato dice che è irrazionale pensare che nell’era nucleare, la guerra possa risarcire i diritti violati. Nel tempo del nucleare, nell’era atomica, la guerra diventa impossibile, perché la sua capacità di distruzione annienterebbe l’intero creato. Quindi niente paura, ma l’invito ad una grande vigilanza.

Su La Repubblica, a commento di queste parole del papa, è apparso un articolo in cui si dice che nel nostro Paese, negli aeroporti militari di Aviano e Brescia, sono presenti 2 arsenali atomici, 70 testate nucleari atomiche, frutto di un accordo, di cui non si conoscono i termini puntuali di riferimento, tra l’Italia, gli Stati Uniti e la Nato. 70 testate nucleari sono tante! E annuncia che è sul tavolo del presidente Trump un piano per la produzione di armi atomiche leggere: “leggere” perché hanno un potere minore di distruzione delle armi dell’ultima generazione, delle testate nucleari che producono 450 kiloton, che sono 4 volte la bomba di Hiroshima.

È evidente che più le armi si moltiplicano, più le armi si “banalizzano” (le bombe atomiche “leggere”!), e più è semplice usarle. Non so se è una bomba atomica leggera quella che ha ucciso il fratellino del bimbo di Nagasaki, 100 mila persone a Nagasaki come a Hiroshima, ma certo ha un potere distruttivo assoluto e la possibilità davvero di distruggere l’umanità! Ricordiamoci sempre, compresa la bomba atomica, che ogni bomba che è stata inventata è stata anche usata, compresa l’arma nucleare. Non ci siamo fermati solamente alla produzione, ma le abbiamo sempre applicate, in situazioni diverse, compresa la bomba atomica E anzi, queste armi leggere puntano alla possibilità di portare una bomba atomica in qualunque parte del mondo. Sarebbero affidate alla Marina Militare americana e sarebbero portate nei luoghi più “necessari”, senza dover mobilitare l’aviazione in viaggi lunghissimi.

Quindi il papa ci ricorda che c’è una questione nucleare, che è il punto supremo di una politica della guerra che ha un potere distruttivo senza limiti. Il papa non ci vuole impaurire, ci vuole invitare a stare svegli, a non permettere che nel nostro paese, e in ogni paese, le città siano messe a rischio. Ci si deve domandare se la presenza di 70 testate atomiche in Italia sia poi così necessaria al futuro del Paese o se non lo metta a repentaglio, intorno ad azioni militari che nessuno poi è in grado di controllare.

Quindi, attenzione! Non scherziamo con la bomba atomica, non giochiamo alla bomba atomica, non banalizziamo la guerra, ma siamo vigilanti. Non solo per abbassare il livello di armamenti, ma siamo vigilanti per creare una nuova cultura della pace, che è la cultura indispensabile a spazzare via gli arsenali e trasformare le lance in falci e le spade in vomeri, che è la grande ambizione della Scrittura, del Dio dei profeti, del messia della pace.

 

Non ci vuole impaurire, ma davvero ci sono margini di azione della nostra vigilanza?

Di fronte a questa questione così delicata, così decisiva, così assoluta sentiamo tutta la responsabilità dei cristiani, che per secoli hanno giustificato la guerra. Quindi bisogna cambiare la teologia, la cultura, l’orizzonte spirituale della vita cristiana rispetto alla guerra e alla sua giustificazione, rispetto all’uso della guerra e dell’arma nucleare. La vigilanza sulla guerra nucleare ci deve portare a spazzar via ogni e qualunque nostalgia della guerra giusta. In realtà noi abbiamo giustificato anche la bomba di Hiroshima e Nagasaki, non possiamo dimenticarlo, siamo ancora lì.

Quindi bisogna davvero cancellare la cultura, la teologia, l’esperienza spirituale che ha prodotto tanti morti, che ha giustificato tutti i morti, tutte le guerre, da Costantino fino ad oggi. Quindi il papa ci vuole chiamare a una grande conversione culturale, spirituale e anche politica, in modo tale che si esca per sempre da questa prigionia della guerra, che diventa prigionia della guerra nucleare.

Quindi un cambiamento profondo, un cambiamento costoso, un cambiamento di mentalità, ma è l’unica strada per entrare nel sentiero della pace, nel sentiero di Isaia. Siamo ancora fuori da ciò che il Signore chiede alla Sua Chiesa e oggi papa Francesco ci chiama a questa conversione: nessuna paura del nucleare, grande vigilanza sulla guerra nucleare che diventa spiritualità, teologia, che diventa politica. E questo è il grande impegno che dobbiamo affrontare e non sempre siamo all’altezza, non sempre siamo limpidi nelle motivazioni, in modo tale da non rimanere prigionieri di una teologia che è la più blasfema: la teologia della guerra.

 

Di fronte a questioni così ampie, di fronte a scelte che ci “superano”, c’è il rischio di reagire con la “paralisi” dell’indifferenza e dell’impotenza: dobbiamo stare a guardare o c’è uno spazio di azione e di efficacia per noi cittadini, per noi credenti?

Il papa ci ha già dato una parola, in questo viaggio in Cile e Perù. Ha fatto una straordinaria omelia ormai alla vigilia del passaggio in Perù, in cui ci dà innanzitutto una chiave: in questa omelia cancella in modo forte qualunque uso della violenza per produrre la giustizia. Dice il papa in questo testo bellissimo, parlando delle armi della pace e dell’unità: «In secondo luogo, è imprescindibile sostenere che una cultura del mutuo riconoscimento non si può costruire sulla base della violenza e della distruzione che alla fine chiedono il prezzo di vite umane. Non si può chiedere il riconoscimento annientando l’altro, perché questo produce come unico risultato maggiore violenza e divisione. La violenza chiama violenza, la distruzione aumenta la frattura e la separazione. La violenza finisce per rendere falsa la causa più giusta».

Questo è il punto: la violenza finisce per rendere falsa la causa più giusta. Il papa l’ha detto in Cile, nel continente in cui Paolo VI presentò la Populorum Progressio, là dove si giustifica l’insurrezione armata. Il papa dice che non c’è nessuna azione giusta se è un’azione violenta: Per questo diciamo “no alla violenza che distrugge”. Per questo il papa lancia la forza dell’agire non violento, che ha messo a fondamento di una politica della pace. Papa Francesco indica la strada: e la indica a un continente che pure ha sperimentato la teologia della guerra, la teologia dell’azione militare. Pensiamo all’America Latina, ai preti che hanno combattuto anche con le armi, in contesti che non sta a noi giudicare. Certo il discernimento di papa Francesco è nitido e non concede spazi: la condanna della violenza è strutturale e afferma l’impossibilità di giustificare il legame tra giustizia e guerra.

Egli davanti al popolo cileno dichiara: «La violenza finisce per rendere falsa la causa più giusta». Ma se non serve per la causa più giusta, non serve proprio. Oggi sono 10 i Paesi che hanno la bomba atomica e il Papa giustamente dice: attenzione, perché in un attimo si può incendiare il mondo, bisogna vigilare e essere pronti, essere più veloci e più pronti, per evitare che la sciocchezza di un personaggio politico irresponsabile o la durezza di chi vuole imporre la sua forza possa mettere in moto un meccanismo che diventa incontrollabile, la guerra nucleare è una guerra che si gioca sul primo colpo, ma bisogna evitare il primo colpo, perché se parte il primo, poi a cascata si va nell’abisso. Quindi un invito alla vigilanza che domanda una coerenza di testimonianza, una coerenza di valori da vivere, e in questo caso i valori della non violenza come fondamento di una politica che metta insieme i popoli e non li distrugga.

L’ultima cosa che voglio dire è che il papa ci chiama alla verità, a dire quello che accade veramente: il suo invito, la sua preoccupazione, la sua vigilanza è una vigilanza perché vengano dette parole di verità. Il dibattito che c’è stato in Parlamento sulla missione in Niger mostra che tutto si strumentalizza per interessi politici, ma non c’è un linguaggio di verità. La scelta di spostare i soldati dal Libano al Niger per operazioni non ben definite, non ben chiarite, con motivazioni oscillanti è un errore evidente, è chiaro che il Libano è molto più vicino a noi che non il Niger.

L’azione italiana in Libano è un’azione che non può essere retrocessa. Se non ci fosse stata l’Italia ci sarebbe stata la guerra in Libano: fu il presidente Prodi che, prendendo la leadership della guerra israelo-libanese, ne permise la soluzione, il superamento. Quindi indebolire oggi il Libano è un errore colossale.

Ma dobbiamo anche sapere che andiamo nel Niger senza avallo dell’ONU né della Nato, dopodiché è un’operazione che non ha nessuna giustificazione, perché se si tratta di mandare dei tecnici, si mandino tecnici, ma non possiamo giocare con le parole, per cui sono dei tecnici che poi possono usare le armi, perché questo di nuovo è un linguaggio di non verità.

La pace domanda la verità e la politica domanda la verità, il nostro Paese domanda la verità, perché senza verità tutto può accadere, come quegli accordi, che i cittadini non conoscono e che permettono la presenza di 70 bombe nucleari in Italia. Abbiamo bisogno di essere informati, il popolo ha diritto alla verità e non alla banalizzazione delle informazioni. Questa è una grande responsabilità, per vecchi e nuovi governi.

 

Leggi anche: Una politica contro le armi atomiche

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