Il gioco del “centuplo”

Dare a persone bisognose quel poco che si ha per veder tornare sempre una quantità maggiore di provvidenza. È l'esperienza raccontata da questa famiglia

Anche senza il classico contorno dei dolci, dei regali, ecc., Natale è sempre Natale. Questa convinzione avevamo cercato di trasmettere ai nostri 4 figli, Susy ed io; per cui se mancava il panettone, non se ne facevano un problema: avevano imparato presto a commisurare le loro esigenze alla situazione non proprio florida della nostra economia familiare. Tuttavia quando videro arrivare in casa un bel panettone, regalatoci insieme ad una bottiglia d’olio d’oliva genuino (alla quale in verità non fecero gran caso), un coro gioioso salutò l’avvenimento. Mancavano infatti pochi giorni alla grande festa.

Figurarsi come ci rimasero quando, dopo poche ore, panettone e bottiglia presero il volo per un’altra destinazione. Una persona amica ci aveva segnalato una signora, madre di famiglia e con il marito in galera, che se la passava abbastanza male; e per non andarla a trovare a mani vuote, Susy ed io avevamo pensato di portarle quelle uniche cose che avevamo in casa. La sorpresa e la gioia commossa di quella donna erano state indescrivibili. Ma vallo a far capire a dei bambini, di cui la più piccola aveva appena 5 anni!

L’indomani, colpo di scena; una conoscente venuta a farci gli auguri di Natale, ci consegnò due panettoni, un torrone e una bottiglia di spumante. I visetti un po’ delusi di Francesco, Chiara, Lina e Michele si rianimarono di colpo, mentre prorompevano in esclamazioni gioiose. Ora non dovevamo più insistere a persuaderli che la provvidenza esiste e che Dio manda il centuplo a chi fa la sua volontà: ne avevano davanti un esempio lampante.

Ma era scritto che quel ben di Dio non dovesse sostare a lungo da noi. La sera stessa, venendo a sapere di una persona ricoverata in ospedale, priva di mezzi e senza nessuno che si occupasse di lei, Susy ed io ci guardammo in faccia pensando la stessa cosa. E i panettoni presero un’altra direzione. I nostri figli, specie i maschietti più grandicelli, stavano per protestare, e noi, con calma, a spiegar loro che quella persona aveva tanti bambini, che bisognava essere generosi verso quella famiglia, ecc. ecc. Al che si fecero seri e conclusero che era una cosa giusta.

Tornati a casa dopo quella visita, li trovammo ancora abbastanza contenti di quel piccolo sacrificio anche se ogni tanto qualcuno buttava lì una frasetta: «E noi cosa ci mangiamo a Natale?».

Il giorno dopo, antivigilia, arrivò una telefonata: «Passate da casa mia, ho qualcosa per voi…». Guarda caso: erano due panettoni, un torrone, una bottiglia di spumante e una d’olio. Quasi uno choc per i nostri figli. «Gesù ci vuole tanto bene – esclamarono – perché noi l’abbiamo data di cuore quella roba».

Ma non era ancora finita. La stessa sera ci venne in mente che dovevamo andare a trovare ancora due famiglie: una abitava in una baracca alla borgata Alessandrina, l’altra dalle parti del Castro Pretorio. Con Susy ci dividemmo i compiti e partimmo ciascuno con il panettone e una bottiglia. Stavolta però anche i nostri figli avevano preso gusto al gioco: «È proprio bello vivere il Vangelo! – li sentivamo dire –. Adesso stiamo a vedere cosa succede: è impossibile che rimarremo senza panettone il giorno di Natale».

Finalmente arriva la vigilia, e con la festa – donatoci da un amico – un prosciutto più la “solita” lista di panettoni, torrone, bottiglie. Ci vennero le lacrime agli occhi per la commozione. I bambini erano eccitati e felici. «E se li dessimo ancora via?», azzardò Lina con espressione birichina.

Fernando

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