24 ore nei panni di un migrante

Mettersi in "gioco" è una cosa seria. Martina Vertuccio, formatrice e volontaria della Croce Rossa Italiana, spiega in cosa consistono "Youth on the run" e "Hold the line", due giochi di ruolo dedicato ai giovani per sperimentare le condizioni di vita di un migrante

Cosa succede quando ci si mette nei panni di una persona migrante e si ripercorre, per una giornata, la sua storia? Cosa si prova? Un gioco di ruolo può avere una valenza educativa? Lo abbiamo chiesto a Martina Vertuccio, 31 anni, volontaria della Croce Rossa Italiana, formatrice sul tema della cooperazione internazionale. È animatrice di due esperienze di role play che Croce Rossa propone ai giovani: Youth on the run e Hold the Line

Hold the line

Quando nasce Youth on the run?

Nasce alla fine degli anni ’90, da un insegnante danese in collaborazione con Croce Rossa Danese. Nel 2005 l’ho scoperto in una missione internazionale e negli anni successivi ho tentato di portarlo in Italia perché mi rendevo conto che, quando andavamo nelle scuole a parlare di migrazioni, la piccola attività era efficace sul momento, ma la domanda restava: questa efficacia, che durata ha? Quanto riesce a permeare il singolo affinché possa essere moltiplicatore di questa idea, delle competenze apprese nei confronti di tutta la comunità? Youth on the run, invece, ha un impatto forte, che rimane come esperienza sull’individuo. Così, nel 2012 abbiamo fatto la prima run di gioco, adattata al territorio.

 

yotr_2In che consiste il gioco e a chi si può proporre?

Il target principale sono i giovani tra i 14 e i 32 anni. Youth on the run è un gioco educativo dal vivo che fa vivere 24 ore nei panni di una persona migrante. Nello specifico nei panni di uomini, donne, bambini, anziani che fuggono dal proprio Paese per arrivare in Italia e chiedono protezione internazionale. Parte delle scene si svolgono all’interno di alcune strutture ma altre sono all’aperto e si termina con il verdetto della richiesta di asilo. In qualsiasi momento la persona non si senta a suo agio, può interrompere l’esperienza.

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Quali sono stati i feedback dell’esperienza?

I feedback sono sempre molto forti, molti volontari di Croce Rossa che partecipano, vogliono diventare istruttori, cioè coloro che guidano il gioco. Tanti partecipanti scelgono di approfondire il tema della migrazione. Molti raccontano di essersi resi conto della difficoltà delle persone che viaggiano e vivono questa vita per anni, mentre per loro è un’esperienza solo di 24 ore. Comprendono che c’è altro oltre al proprio punto di vista. Tanti raccontano di come, alla fermata dell’autobus, a scuola, in altri contesti guardano le persone migranti con occhi diversi. «Mi chiedo se hanno passato le cose che ho passato io durante il gioco», pensano.

Il gioco muove interrogativi, perché la cosa importante non sono le risposte, ma le domande. Per noi di Croce Rossa questo è fondamentale, perché abbiamo sempre un approccio imparziale, neutrale rispetto ai temi. Non vogliamo dare risposte, ma porre domande.

Cosa hai provato quando lo hai vissuto in prima persona?

Nel gioco non ci sono solo le sensazioni brutte perché magari incontri qualcuno che scopri essere dalla tua parte e ti senti protetto, al sicuro; quando arrivi in un luogo, al caldo, dopo avere camminato tanto, è la sensazione più bella al mondo. A volte vivi la frustrazione, la fatica, il non riuscire a comunicare i tuoi bisogni, non sapere in mano a chi sei, il tempo che scorre: quante ore sono passate? Dove mi stanno portando? Si passa da sensazioni non solo emotive ma anche fisiche estremamente forti che sono l’una l’opposto dell’altra: accoglienza e non accoglienza, caldo e freddo, sicurezza e insicurezza, calma e ansia, ed è proprio questo modificarsi in un ciclo continuo di emozioni che vanno a costruire il tuo percorso e l’empatia.

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Hold the Line, invece, dura 4 ore e tu sei una delle ideatrici…

Abbiamo creato Hold the line, lavorando insieme con Sofia Moriconi, Federica Pinato, Samuele Davide Nava e Andrea Maragliano che ha fatto la consulenza sul design del gioco. È un’esperienza nei panni di persone migranti, appena arrivate in Italia, richiedenti protezione internazionale che si trovano a vivere all’interno del sistema di accoglienza italiano. Ripercorrono diversi nuclei tematici: la legalità – il fotosegnalamento, i documenti: cosa posso fare se li ho e cosa non posso fare se non li ho -; la salute, l’accoglienza abitativa, il lavoro; il tema della comunità – quella che accoglie o non accoglie – e il tema della comunità di provenienza, cioè come una persona migrante si può sentire lontana dal suo Paese all’interno della stessa realtà da cui proviene.

Cosa fa il giocatore?

La meccanica di gioco è quella del librogame: mi trovo davanti a una situazione e posso scegliere delle opzioni e, in base alla scelta che faccio, creo il mio percorso. C’è la versione dal vivo e quella multimediale. Le schede dei personaggi sono state create in base a storie vere e al termine del gioco la persona può vedere dove è oggi la persona che ha interpretato.

Che impatto ha su chi partecipa?

Tanti raccontano che conoscere l’esito delle storie ha un impatto molto forte. Tanti riportano la difficoltà di riuscire a scegliere, l’incognita del dire: «Se faccio questa scelta, cosa succede?». Questo porta a dire: siamo in mano agli eventi e scegliere non è sempre facile. Al gioco hanno partecipato anche ragazzi che sono figli di persone migranti e tutti hanno rivisto, all’interno del gioco, esperienze che hanno vissuto i genitori e poi, una volta tornati a casa, sono riusciti a riguardare alle scelte, alle richieste dei genitori con un occhio diverso.

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