10 perplessità su una guerra strana

Forse non c’era alternativa all’attacco. Ma la lista dei punti interrogativi s’allunga e s’ingrossa  
guerra in libia
La campagna militare contro la Libia e il suo rais Gheddafi, che non tutti, per prudenza, vogliono definire ancora “guerra” ma che nei fatti lo è, suscita una serie di perplessità che proponiamo per avviare un serio dialogo coi nostri lettori:

1) una guerra si sa come comincia, ma non come finisce. Lo abbiamo visto recentemente in Iraq, in Afghanistan, nello stesso Kosovo, in Serbia, in Rwanda. Ma, come scrive l’Annunziata su La Stampa, «l’attacco che l’Europa muove oggi a un alleato di trent’anni è comunque la certificazione di uno schema politico andato a male». Senza considerare «il difficilissimo contesto internazionale» (Panebianco sul Corriere della Sera), con le prese di distanza di Lega Araba, Cina e Russia;

2) è una guerra giusta quella intrapresa? Per certi versi parrebbe di sì, perché una dittatura non è mai tollerabile, in nessun luogo e in nessun tempo. Ma due profeti del cattolicesimo, tra i tanti citabili, Sergio Quinzio e Igino Giordani, parevano mettere dei limiti a queste giustificazioni: l’uno diceva che «la giusta guerra non è mai giusta», mentre il secondo titolò un suo libretto L’inutilità della guerra. È molto incerto il confine tra le due, soprattutto in questo caso. Anche Giuliano Ferrara scrive: «Ci siamo imbarcati in un’impresa piena di ambiguità»;

3) le rivoluzioni in corso nel mondo nord-africano e arabo in genere meriterebbero un’attenzione particolare da parte dell’Occidente e dell’Europa in particolare, che potrebbe proporsi come un polo mediterraneo assolutamente unico di libertà, uguaglianza e fraternità – al proposito, scrive Predrag Matvejevic su La Repubblica: «Il Mediterraneo si presenta da tempo come uno stato di cose, ma non riesce a diventare un progetto» –. Mentre ora rischia come tante volte è accaduto in passato di apparire solo come una congrega di guerrafondai colonialisti che desiderano spartirsi le ricchezze altrui, non avendo nei fatti una grande considerazione delle popolazioni locali. Dice Formigoni (non solo Vendola): «Si rischia di alimentare il sentimento anti-occidentale»;

4) le tendenze radicali e islamiste sono molto attive in tutta l’Africa settentrionale, come testimonia anche il referendum del 20 marzo in Egitto. Bisognerebbe appoggiare nei fatti (e non con le armi) le tendenze dialoganti e umaniste che esistono nel mondo arabo. Lo si sta facendo? Che riflessi avrà su questa strategia la guerra in corso?

5) parliamo del problema immigrazione: conflitti come quello in corso rischiano solamente di accelerare e ingigantire la tendenza, per ragioni economiche, delle masse nordafricane (con africani sub-sahariani al seguito) a cercare rifugio a Nord, e varcare quindi il Mediterraneo. Il flusso rischia di essere incontrollato e incontrollabile, suscitando anche reazioni di xenofobia e razzismo (o forse solo di paura) altrettanto incontrollate e incontrollabili nelle popolazioni europee. Mentre bisognerebbe poter gestire l’inevitabile flusso con spirito concorde e benevolente, cosa che l’Europa non sa fare attualmente;

6) la guerra è il teatro principe della menzogna. Lo scrive Robert Fisk, il più grande war reporter vivente, che definisce i conflitti bellici come «il mercato delle buone e cattive notizie fabbricate». In questo momento ci sarebbe invece bisogno di verità, di conoscere i fatti e di accompagnare nella verità le difficoltà dei popoli nordafricani:

7) siamo sicuri che le guerre chirurgiche dell’Occidente non facciano alla fine tante, troppe vittime civili? Troppe vicende belliche smentiscono questa solida certezza di tanti politici e militari;

8) il conflitto in Libia rischia di far esplodere le secolari tensioni interetniche che oppongono tripolitani e cirenaici, con l’esito finale possibile di una spartizione del Paese. È questa la migliore soluzione auspicabile?

9) l’Italia è particolarmente esposta alle ritorsioni di un regime ferito e rabbioso, che non ha mai fatto della razionalità il proprio credo. Tanto più, come ci ha detto stamani al telefono il vescovo di Tripoli, mons. Martinelli, «che l’Italia fino a qualche giorno fa si dichiarava amicissima della Libia e ora invece lancia i suoi aerei contro di essa». Aggiunge il vescovo: «L’Italia era nelle condizioni di essere la vera mediatrice di questa situazione ingarbugliata, e i libici stessi, a quanto mi risulta, avevano cercato il contatto senza ottenere risposta»;

10) i costi della guerra si calcolano in miliardi di dollari o di euro. In tempo di crisi economica, siamo sicuri che questa sia la soluzione migliore per risolvere i problemi economici dell’Occidente? I soldi che si spendono e si spenderanno potevano essere spesi per avviare una seria e duratura operazione di partenariato economico e culturale col mondo arabo e nord-africano.

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