Attentato a Kabul, infinito dramma afghano

La situazione nel quadrante di Kabul diventa ora dopo ora più drammatica, con l’attacco terroristico all’aeroporto che ha fatto oltre un centinaio di vittime, tra cui 13 marines. Bisogna ora interrogarsi sul ruolo di Mosca e Pechino nell’evitare future derive inaccettabili

Col cuore in gola ascoltiamo le notizie provenienti dall’aeroporto di Kabul, diventato improvvisamente l’ombelico del mondo per la transizione tumultuosa tra gli occupanti al seguito degli Stati Uniti e i talebani che, non rispettando appieno i patti firmati in Qatar, stanno rioccupando tutti i gangli vitali della vita politica afghana. Due attacchi kamikaze, annunciati persino dal presidente Biden, hanno fatto strage davanti a un hotel occupato dai britannici (soldati e giornalisti) e dinanzi all’ingresso dell’aeroporto. Una strage annunciata, dunque.

La situazione drammatica che si vive a Kabul, con le forze statunitensi e dei loro alleati sottoposte a dura prova nel cercare di mantenere un minimo di ordine e difendere almeno l’aeroporto per poter evacuare i “compromessi” con l’amministrazione ispirata dagli statunitensi, mentre partono aerei che sentono avvicinarsi la minaccia del Daesh e operano manovre diversive per sfuggire ai colpi – ma sarà veramente lo Stato islamico, l’Isis-K ad attaccare? E i talebani sono tra le vittime o tra i carnefici? −, sembra dire a gran voce che per riportare un po’ di ordine, e che questo ordine non sia a detrimento del rispetto dei diritti dell’uomo e di una certa saggezza nel guidare il Paese, serve l’ombra di un “Grande fratello”. Anzi due.

In questi ultimi mesi l’attenzione non è stata posta con sufficiente attenzione sul ruolo che stanno giocando Russia e Cina nel portare qualche soluzione meno traumatica possibile all’avvento dei talebani. Lunedì Putin e Xi Jaoping si sono incontrati in videoconferenza per accordare i violini sulla vicenda afghana. È una buona notizia? Dipende, ovviamente, da quello che avverrà tra qualche mese, una volta calmatosi il polverone del ritorno al potere dei talebani. La situazione attuale dipende dal fatto che in politica il vuoto non è ammesso: viene riempito da chi è più lesto a muoversi. È evidente come la partenza delle forze statunitensi e, progressivamente, di quelle dei loro alleati nella grande campagna antiterrorismo iniziata all’indomani del crollo delle Twins a New York, nell’ormai lontano novembre 2001, abbia creato un vuoto politico imbarazzante, che ha portato al ritorno dei talebani, per il crollo dell’esercito afghano, dovuto ad errori di formazione, ma soprattutto di visione. E, naturalmente, i nuovi occupanti dei palazzi di Kabul stanno cercando le adeguate alleanze internazionali, senza le quali sarebbe difficile rimanere a lungo al potere in una zona calda come l’Asia centrale a contatto col subcontinente indiano.

Ovviamente, i talebani non potevano rivolgersi agli alleati degli Stati Uniti, nemmeno all’Unione europea, troppo allineati con la posizione di Washington, anche se alcuni contingenti europei in Afghanistan, per tutti quello italiano, hanno saputo farsi apprezzare dall’opinione pubblica locale. Si sono girati quindi verso Russia e Cina, loro vicini, certamente non invischiati con le politiche un poco lungimiranti dei presidenti statunitensi. Le parole di Draghi e della Merkel di queste ore sembrano spingere l’Unione europea e la comunità internazionale a guardare con interesse alle mosse di Mosca e Pechino, a non combattere i talebani a priori, onde evitare che la situazione precipiti. Paradossalmente, Putin e Xi paiono coloro che, parlando in queste ore di «moderazione» possono mettere un freno agli abusi vendicativi dei talebani e, perché no, diventare in qualche modo i difensori dei diritti umani per le popolazioni dell’Afghanistan. Il mondo alla rovescia.

La Russia conosce bene l’Afghanistan: 10 anni e più di guerra, dal 1979 al 1989, fanno dire al regime di Putin che scendere a Kabul da belligeranti è opzione da escludere a priori. La Cina, invece, continua nella sua lenta conquista di spazi amici sul pianeta terra, con la sua tattica commerciale di presentarsi con la mano aperta, costruire autostrade e aeroporti, dighe e ferrovie, a tasso zero, chiavi in mano, facendo baluginare negli occhi di governanti senza denaro la possibilità di aiutare il proprio popolo e garantirsi un futuro. Salvo poi, alla scadenza dei prestiti, chiedere il risarcimento che, il più delle volte, avviene in natura, petrolio, minerali e manufatti. Facile profezia: Putin e Xi Jaoping, di fronte alla resa statunitense, occuperanno gli spazi in Afghanistan e probabilmente riusciranno a moderare certi eccessi talebani. E, effetti secondari ma solo per gli afghani, diminuiranno le influenze sui conflitti nello Xinjang cinese (dove da sempre esiste una forte opposizione musulmana, guidata dai turcofoni uiguri), e nel Caucaso (dove la resistenza musulmana in Cecenia, Daghestan e Inguscezia non è mai morta). E tutto ciò senza abolire la shari’a più retriva in Afghanistan.

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