Arrestato a Palermo Matteo Messina Denaro

Era l'ultimo grande latitante di Cosa Nostra, ed è stato assicurato alla giustizia esattamente trent'anni dopo Totò Riina. Con lui si chiude un'epoca per la malavita siciliana
LaPresse04-07-11 ItaliaCronacaMafia, il nuovo identikit di Matteo Messina DenaroNella foto: il nuovo identikit

Lo hanno arrestato. Lo hanno arrestato in Sicilia. Così come tutti i grandi latitanti di mafia.

Perché in Sicilia possono avere le protezioni che consentono di vivere una latitanza così lunga.

Matteo Messina Denaro, il boss di Castelvetrano si trovava all’interno di una struttura privata di Palermo, la clinica Maddalena, specializzata in cure oncologiche, dove si era recato per delle cure. Si trovava all’interno del bar. Lì lo hanno trovato i carabinieri del Ros di Palermo che hanno seguito le sue tracce.

L’indagine che lo ha riguardato va avanti da 30 anni, ma ha avuto un’accelerazione dall’estate scorsa. Il latitante è stato colto di sorpresa mentre stava facendo colazione. Pare che il boss abbia tentato la fuga, bloccato subito dai carabinieri.

È stato condotto nella vicina caserma dei carabinieri di San Lorenzo, intorno alle 9,30. Lì una folla ha accolto con applausi le auto dei carabinieri che hanno condotto lì il latitante. Da lì, Messina Denaro dovrebbe essere condotto in un luogo sicuro e segreto.

L’ultimo grande latitante di mafia, l’ultima primula rossa, il depositario di tutti i grandi misteri di Cosa Nostra, insieme ai fratelli Graviano, è stato assicurato alla giustizia. È stato anche l’ultimo dei grandi protagonisti della stagione stragista del ’92/’93 (gli omicidi di Falcone e Borsellino, la strage dei Georgofili a Firenze, Roma e Milano).

Nel 2006 il padre Francesco Messina Denaro, anch’egli latitante, morì di morte naturale e il suo corpo venne fatto ritrovare nelle campagne di Castelvetrano, probabilmente stroncato da un infarto. Il figlio, dopo 30 anni di latitanza, è finito nelle maglie della giustizia, così come era accaduto in precedenza per Totò Riina, Bernardo Provenzano, Pietro Aglieri, Leoluca Bagarella.

La premier Giorgia Meloni ha sottolineato l’importanza di questo arresto, che arriva esattamente 30 anni dopo l’arresto di Totò Riina, il 15 gennaio 1993. Meloni insieme al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi hanno fatto i complimenti alla Procura nazionale antimafia, alla Procura di Palermo, ai Ros dei carabinieri.

In un’intervista a Storie Vere, Giuseppe Ayala ha esclamato: «Lo Stato c’è. Trent’anni di latitanza sono troppi, ma alla fine questo arresto è importante. Con Messina Denaro si chiude un’epoca, quello della grande capacità di clandestinizzazione di Cosa Nostra. Dopo le stragi del ’92 – ’93, la mafia non ammazza più. È tornata alla clandestinità e alla grande capacità di mimetizzarsi. La mafia non è sconfitta, non è intubata, ma di sicuro è malata».

Giuseppe Antoci, presidente onorario della Fondazione Caponnetto ex presidente del Parco dei Nebrodi, sfuggito ad un agguato mafioso nel 2016, ha detto: «Un grande risultato, una grande vittoria dello Stato. Complimenti ai Carabinieri del ROS e al suo Comandante Generale Pasquale Angelosanto, Complimenti al Procuratore De Lucia e a tutta la Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, oggi il sole splende più forte e più caldo. Evviva…. ».

In trent’anni la mafia è cambiata. Forse Matteo Messina Denaro non era il capo di Cosa Nostra, forse ancora stabilmente in mano ai palermitani e soprattutto al gruppo che ha scelto la strada del nascondimento, del profilo basso per continuare ad agire nelle maglie dello Stato. La mafia degli affari è ancora viva, così come la pericolosissima ‘ndrangheta calabrese e così come la camorra e altre organizzazioni criminali, anche estere.

 

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