Wozzeck l’anima derelitta

Libretto e musica di Alban Berg. Roma, Teatro dell’Opera. Quanto è immenso e senza risposta il dolore del soldato Wozzeck, umiliato dai commilitoni, dal capitano, da un medico di cui diventa una cavia. E lui, vittima di tutto e di tutti, alla ricerca di un punto fermo, è pallido nell’anima come nel vestito che, nell’allestimento curato con intelligenza da Gianfranco Del Monaco, brilla ad esprimere l’essenza di un uomo verso cui manca la pietà dei suoi simili. Maria, la donna da cui ha avuto un figlio, lo tradisce con il tamburmaggiore: crolla in questo modo il solo oggetto d’amore della vita, l’unica àncora di Wozzeck, espressione della povera gente cui nessuna felicità è concessa. Egli la ucciderà, per poi annegare nello stagno in cui getta il coltello insanguinato, mentre il bambino chiude la tragedia continuando inconsapevolmente a giocare. Ed il dramma potrebbe ricominciare di nuovo, in un circolo che si apre e si chiude di continuo, nel gioco cieco di una vita derelitta, abbandonata da qualsiasi luce. Berg, nel 1925 ha dato vita ad un lavoro sconcertante nel testo amaro (i nazisti la bollarono come arte degenerata), e nella musica ambiguamente sospesa fra tonalità ed atonalità, fra Mahler e il Novecento con grande libertà espressiva: la follia e lo scherno o la tenerezza di una ninna- nanna materna sono sentimenti che toccano l’anima, facendole provare tutto l’affanno della miseria umana. Il risultato è di una grande pietas, dopo questa musica cupa, lancinante, talora bizzarra e frivola (la scena della taverna), sempre bellissima: non potrebbe essere che questa musica a raccontare Wozzeck, il derelitto. L’edizione romana ha inglobato in un poligono grigio come l’anima di Wozzeck la vicenda: una trave luminosa, affogata nel rosso sangue, divideva metaforicamente le scene, mentre i personaggi emergevano da botole che, verso il Finale, si chiudevano come sepolcri, a dare l’immagine della morte. Gianluigi Gelmetti ha condotto l’or chestra e il coro, sempre impegnati, guidando un cast non italiano nella difficile impresa di dar vita al dramma che ancora affascina. MAHLER E BRUCKNER INCOMPIUTI Roma, Accademia Filarmonica Romana, Auditorio Conciliazione. Orchestra Giovanile Italiana diretta da Gabriele Ferro. L’Adagio della Sinfonia n. 10 di Mahler è un lamento di bellezza contorta che si avvita su sé stesso in spirali sonore. Esse parlano di una vita che sta svanendo, e non lo si vorrebbe. È una musica malata di cuore: singhiozzante nei colori, nel ritmo, nel pathos degli archi urlanti e degli ottoni tragicamente coinvolti negli incompiuti frammenti dell’anima mahleriana. Dopo i quali, c’è solo silenzio. La Nona di Bruckner, solenne, wagneriana, medita come un grande corpo sonoro sulla vita. La storia, il cielo e la terra, si dilatano in un anelito mistico mai sazio ad ondate ora terse ora gigantesche. I giovani musicisti, scelti e quasi perfetti, lavorano sul suono con impeto, trascinati da un direttore che li ama.

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