Williams, la big society e le “belle parole”

Nel suo ultimo libro, il primate della Chiesa d'Inghilterra critica la politica di Cameron. Un dibattito da non lasciar cadere
Rowan Williams

In sé, l'idea non era malvagia: la big society, cavallo di battaglia del programma elettorale del premier conservatore britannico David Cameron, mira infatti a dare più potere e responsabilità alla società civile a livello locale, incoraggiando la cittadinanza attiva e il terzo settore. «Il governo non tratterà più i cittadini come bambini – aveva affermato Cameron – ma come adulti, così che si assumano la responsabilità delle proprie vite». La cosa sembrava seria: Downing Street aveva progettato di stanziare 78 miliardi di sterline e di cedere fino al 25 per cento dei contratti di servizio pubblico a privati e associazioni; nel 2011 è stata creata la Big Society Bank, dove è confluito il denaro proveniente da conti inattivi più altri 200 milioni di sterline dalle maggiori banche inglesi, per finanziare i progetti legati a questo scopo; e ad aprile è stato creato il Big Society Capital, con un fondo di 600 milioni di sterline, a disposizione di enti e associazioni. Eppure non solo l'ideatore del progetto, Nat Wei, si è dimesso lo scorso anno; non solo il laburista Ed Miliband – e passi, dato che è pur sempre della parte politica opposta – ha definito la big society «una copertura per uno Stato assente»; non solo la società civile stessa ha rimproverato a Cameron di aver scoperto l'acqua calda, dato che da tempo le associazioni provvedono a tutti quei servizi che lo Stato non è in grado di garantire; ma ora sono pure arrivate le critiche dell'arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, non nuovo a prese di posizione forti.
 
Nell'anteprima del suo libro Faith in the public square (La fede nella pubblica piazza), Williams ha affermato che la big society è vista da molti come nient'altro che belle parole, «mirate a nascondere l'abdicazione dello Stato dalle proprie responsabilità verso i più deboli e vulnerabili», in quanto «ha sofferto per la mancanza di definizione dei mezzi attraverso cui questi ideali possono essere concretamente realizzati. Il che ha a sua volta portato ad un certo cinismo, davanti al tentativo di stimolare la devoluzione della responsabilità politica e sociale esattamente nello stesso momento in cui si impongono pesanti tagli alla spesa pubblica». Secondo Williams il comportamento del governo sarebbe quindi contraddittorio: da un lato stimola gli altri a fare, dall'altro fa sempre di meno. Per questo, «se la big society è qualcosa di più che uno slogan, sempre più logoro di fronte ad una società che barcolla sotto l'impatto dei tagli alla spesa pubblica, il dibattito sull'argomento deve includere anche il significato dell'essere cittadino e dove stiano le radici profonde dell'identità e della dignità civica e sociale».
 
Apriti cielo: per quanto la critica volesse essere costruttiva, dato che «il cinismo – precisa Williams – è una risposta troppo facile, e questa è un'opportunità troppo preziosa per poter essere lasciata cadere», Downing Street si è affrettata a controbattere che «la creazione del Big Society Capital è un esempio concreto del fatto che il governo sta portando a termine i suoi progetti, creando un modello di finanziamento sostenibile per le associazioni caritatevoli e le imprese sociali che fanno la loro parte per costruire questa società». Il segretario allo Sviluppo internazionale Andrew Mitchell ha inoltre precisato alla Bbc che «la big society è tutt'altro che il ritiro dello Stato, al contrario, e forse a volte non lo spieghiamo bene come dovremmo». Di più: «La settimana prossima io e l'arcivescovo annunceremo un progetto comune per combattere la povertà nelle aree più disagiate del mondo». Encomiabile; peccato però che il segretario sia andato fuori tema, come si direbbe a scuola, dato che la big society è affare di politica interna.
 
Non è la prima volta che Williams, dimissionario a dicembre, critica le politiche di governi di ogni colore; e anche in questo caso non ne ha solo per la big society, ma anche per la guerra in Iraq, i cui costi in termini economici e umani «superano ogni più fervida fantasia», per il concetto di crescita economica illimitata che «dobbiamo rimettere in discussione», e per le politiche di integrazione dell'ex governo laburista che, rendendo un reato l'incitamento all'odio religioso, ha fatto sì che alcune frasi o immagini – soprattutto rivolte ai musulmani – finissero per essere considerati degli atti di coraggio piuttosto che dei crimini. Insomma, un compendio sui nodi critici della società britannica negli ultimi anni del suo incarico: il libro consiste infatti nella raccolta di una serie di suoi interventi sui temi più disparati, dalla politica all'ecologia. Un esempio, appunto, del ruolo della religione nella vita pubblica.

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