Viva l’Italia

La Nazionale di Cesare Prandelli esce sconfitta dalla finale del Campionato europeo contro la Spagna. Rimangono uomini e giocatori che hanno saputo risvegliare l’identità di un intero Paese
Euro 2012

«La vittoria ha mille padri, la sconfitta uno solo». Di solito va proprio così. Ci aveva visto lungo a suo tempo Winston Churchill, ma questa volta pare che le cose siano andate diversamente. Ieri a Kiev, la partita Spagna-Italia, finale della 14ª edizione del Campionato europeo di calcio, è finita con un sonoro 4 a 0 in favore degli iberici allenati dal tecnico Vicente Del Bosque. Le reti di Silva e di Jordi Alba, rispettivamente al 14’ e al 41’ del primo tempo, avevano già fatto capire chi in campo aveva le redini del gioco e della tattica. Davanti alla porta dell’Italia, si sono poi presentati nel secondo tempo Fernando Torres al 39’ e Mata al 43’, entrato in campo da pochi minuti. Quattro goal bastano e avanzano a chiunque per uscire dal campo a capo chino, ancor di più se vengono incassati al termine di una competizione internazionale dove il valore tecnico si deve mostrare al massimo livello.

 

Spagna-Italia ci ha fatto vedere cosa vuol dire giocare a calcio. Dimenticando per un attimo di essere italiani, a guardare palleggiare e spadroneggiare gli spagnoli lungo tutto il campo c’era di che divertirsi: possesso palla, visione di gioco totale, grande capacità di gestione del pallone nello spazio stretto, intesa e abilità di fraseggio secondo schemi fluidi e naturali, una caratteristica che di solito è propria di chi gioca insieme da una vita nella stessa squadra. Cosa non scontata, visto che gli spagnoli per la maggior parte provengono dalle due acerrime rivali della Liga: Barcellona e Real Madrid.

 

Ieri la Spagna ha ricordato a tutti che il calcio in fin dei conti è uno sport, un gioco, un’attività che ha a che fare con il ricrearsi, come scritto dai fratelli Mauro e Mirco Bergamasco a proposito del rugby, nel loro libro “Andare avanti guardando indietro”. Secondo questa filosofia la parola d’ordine è divertirsi prima di tutto, vincere è solo una conseguenza.

 

Così possiamo leggere l’umiliante risultato decidendo se è giusto criticare la Spagna per non averci concesso onore, pietà e clemenza, in una situazione di manifesta superiorità, oppure se invece è corretto applaudire chi vuole giocare, senza rallentare il gioco, continuando a dare il massimo fino all’ultimo minuto, senza considerare inferiore l’avversario, giocandosela alla pari.

 

Spagna-Italia, vista dalla parte degli italiani, è innegabilmente una sconfitta, ma è soprattutto Cesare Prandelli. «Chi avrebbe messo la firma al buio su questo risultato all’inizio del Campionato europeo?», ha dichiarato il presidente del consiglio Mario Monti al termine della partita ai microfoni della Rai. A un passo dalla conquista del titolo continentale, che manca nel nostro albo d’oro dal 1968, pur essendo stati “bocciati” da una grande Spagna, possiamo solo applaudire un allenatore e ventitré ragazzi, scesi sempre in campo con la consapevolezza di lavorare per conquistare qualcosa di grande. Contro ogni pronostico, contro ogni scandalo calcio-scommesse volto a creare tensione, disaffetto e disonore per una maglia e una bandiera.

 

Onore a Prandelli e ai suoi ragazzi alla stregua dei vincitori perché sono riusciti a ribaltare il pronostico, a far re-innamorare la gente ricreando un’identità nazionale sbiadita e forse perduta, a far sentire più italiani quelli che italiani lo sono di fatto, ma hanno il colore della pelle più scura del previsto, a far rendere più corte le messe serali della domenica perché: «Padre dopo c’è la partita».

 

Prandelli e i suoi hanno forse sovvertito l’ordine delle cose dichiarato da Churchill, per questo oggi nonostante l’amarezza di un risultato che brucia possiamo dire che la sconfitta in Italia ha mille padri.

 

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