Vir inutilis

Vivere e annunciare il Vangelo a tutto il mondo. Responsabilità e nuove sfide. Il carisma dell'unità nella vita di un giovane missionario.
Luigi Bonalumi

Il mio incontro con Dio, risale a 32 anni fa quando, giovane lavoratore, fui invitato da un missionario del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere) a partecipare ad una Mariapoli, manifestazione estiva del Movimento dei focolari. L’incontro con il carisma di Chiara Lubich fu, di fatto, l’incontro con Dio che scoprivo come Amore.

Subito capii che questa scoperta dell’Amore di Dio e la conseguente scelta di Lui come ideale della mia vita non poteva lasciare le cose così com’erano; infatti, la vicinanza del missionario che mi aveva invitato alla Mariapoli, e la vita del Vangelo che cercavo di vivere con altri giovani, in poco tempo fecero nascere in me il desiderio della consacrazione a Dio, come prete e missionario, nel PIME.

Entrai in seminario e gli anni della formazione furono determinanti per la comprensione del carisma missionario del mio Istituto. Furono anche anni di intensi rapporti con i gen-re, i giovani religiosi che condividevano la spiritualità dell’unità dell’Opera di Maria.

Mai vidi e mai sentii una dicotomia tra queste due realtà. La spiritualità di comunione che andavo approfondendo con i religiosi dell’Opera dava forza e luce alla vocazione missionaria specifica che, a sua volta, portava concretezza e bellezza nuova all’unità vissuta con gli altri carismi. 

Uno alla volta 

Dopo l’ordinazione sacerdotale, e un breve periodo in Italia, continuai gli studi negli USA e in seguito fui destinato alla missione di Hong Kong, allora colonia inglese, e dal 1997 territorio della Repubblica Popolare Cinese.

Come si può immaginare, gli anni passati ad Hong Kong furono inizialmente anni di studio della lingua e della cultura cinese; in seguito fui mandato dal card. Wu nell’isola di Tsing Yi, dove vi era una minuscola comunità cristiana dispersa, come il lievito nella pasta, nella moltitudine degli abitanti dell’isola.

Da dove iniziare? Come fare per comunicare a tutta questa folla la buona notizia del Vangelo?

Rimango in contatto con l’Opera di Maria, presente anche in Hong Kong, e iniziamo anche incontri per religiosi e sacerdoti di Hong Kong, Macao e Taiwan, per crescere insieme nell’unità. Ai nostri incontri partecipano regolarmente anche alcuni vescovi di Taiwan.

Durante uno di questi incontri mi colpisce una frase: “I cinesi sono un miliardo e trecento milioni, ma vanno amati uno alla volta”. Capisco che questo è il metodo: amare tutti singolarmente dando tutto. Con la piccola comunità cristiana ci buttiamo a vivere in questo modo e i frutti non si fanno attendere.

Uno su tutti. Incontro Anthony quasi per caso: è un uomo di 40 anni, fuggito dalla Cina popolare negli anni 80. È povero e solo; gli hanno detto che è stato battezzato nella Chiesa cattolica da piccolo in Cina, ma non sa nulla sul cristianesimo.

Invito Anthony ai nostri incontri di comunità e pian piano inizia un cammino di fede che lo porterà alla consacrazione a Dio. Anthony oggi è monaco professo nel monastero trappista di Hong Kong, sull’isola di Lantau. 

Vicario generale 

Nel 2001, dopo 12 anni di missione ad Hong Kong, sono stato eletto vicario generale del mio Istituto. Non avevo alcuna esperienza di governo, essendo sempre stato impegnato nell’evangelizzazione diretta e nel ministero pastorale.

Quando iniziai il mio servizio di Vicario generale, chiesi un po’ in giro quali fossero le richieste, i doveri e compiti che mi attendevano come Vicario.

Mi fu data la classica definizione del Vicario, che credo sia nota in tutte le nostre curie generalizie: vir inutilis. Se debbo dire il vero, io con questa definizione mi son sempre trovato a mio agio.

Come ho cercato di vivere la spiritualità di comunione in questi sei anni di servizio alla mia famiglia apostolica, come Vicario generale?

Prima di tutto, la comunione con il Superiore generale. Ho sentito mio compito particolare cercare continuamente la piena comunione con lui, fare attenzione alla sua persona come a un fratello e amico.

Le nostre Costituzioni dicono che l’Istituto è una famiglia di apostoli riunita attorno a Gesù. Come Consiglio generale non potevamo non essere impegnati in prima persona a fare famiglia tra noi. Insieme abbiamo cercato solo e nient’altro che il regno di Dio e il bene delle persone. Il sentirci uniti ci ha dato la luce e la forza necessaria per affrontare situazioni difficili e delicate.

Poi, la comunione con i singoli confratelli. Parte del mio compito è stato quello di visitare le missioni e incontrare i confratelli in quelle che vengono chiamate le visite canoniche. Il farsi uno con tutti, l’interessarsi alle singole persone, alla loro salute, ai problemi della missione, al cammino di fede e di fedeltà alla vocazione di ciascuno, tutto questo è stato un dono prima per me che per loro.

In una nostra missione, famosa nel passato per aver descritto le visite canoniche come visite “spesso inutili e a volte dannose”, al termine della mia visita, un padre anziano con più di 50 anni di missione, mi disse: “Ti ringrazio perché in questa visita hai parlato poco e ascoltato molto”. 

Fanne con lui due 

“Se qualcuno ti chiede di fare un miglio, tu fanne con lui due”(Mt 5, 41): è pensando a questa frase del Vangelo che mi sono proposto di visitare tutti i confratelli nei luoghi in cui essi operano. E così in questi anni le miglia fatte sono diventate molte, per i molteplici e lunghi viaggi, a volte faticosi e non senza pericoli, per far sentire a tutti la concretezza dell’amore.

Le lunghe e interminabili giornate di barca sul Rio delle Amazzoni, per andare dagli indios Santaré Maues, dove da anni vi lavorano i nostri missionari. Rimanere bloccato per giorni dalle ceneri di un vulcano in eruzione a Rabaul, in Papua Nuova Guinea, mentre visito un confratello che lì vi lavora. Sottostare ai continui controlli dei ventidue posti di blocco che in Costa d’Avorio si incontrano sulla strada che da Abidjan porta al nord, mentre visito i confratelli che sono presenti sia nei territori occupati dai ribelli che in quelli controllati dai governativi.

Nel mio compito come Vicario, vi è anche la ricerca di soluzioni per quei confratelli che sono in situazioni particolari, e che vivono un momento difficile di crisi, o che lasciano. Per loro vi è stata una predilezione particolare perché sono il volto concreto di Gesù crocifisso e abbandonato per una famiglia religiosa.

A questo proposito un confratello mi faceva notare, forse rimproverandomi, come fossimo più attenti a questi confratelli che creano problemi all’Istituto, piuttosto che a coloro che lavorano seriamente e fedelmente. A me pareva una lode più che un rimprovero, perché mi ricordava un passo del Vangelo dove si parla di novantanove pecore abbandonate sole, mentre se ne cerca una dispersa. 

La comunione illumina 

La vita di comunione illumina con luce nuova il carisma dell’Istituto. Le nostre Costituzioni affidano alla Direzione generale il compito di animare e tener vivo il carisma ad gentes che è proprio della nostra famiglia apostolica.

La comunione vissuta a tutti i livelli ci aiuta a capire meglio i passi da fare in ordine alla fedeltà al carisma. In questi sei anni abbiamo cercato di capire, in comunione con le comunità di missione, i nuovi ambiti della missione. Si sono lasciate parrocchie ben formate e strutturate al clero locale e si è andati là dove c’era più bisogno.

Così è stato per il Myanmar, un paese con una situazione politica e sociale unica, nel quale le scuole pubbliche sono praticamente chiuse da più di 15 anni. Durante un viaggio in quel paese vedo frotte di bambini e ragazzi in età scolare che lavorano con gli adulti alla manutenzione delle poche strade asfaltate del paese.

Mi si stringe il cuore davanti ad una generazione intera derubata dalla gioia del sapere e del conoscere. In collaborazione con la Chiesa locale, e in mezzo a difficoltà di ogni sorta, con i pochi mezzi a disposizione si sono iniziate delle piccole scuole per rispondere a questa urgenza.

Anche la nuova presenza in Algeria – una nazione che non ha ancora pianto i morti di un decennio di terrorismo – nasce dalla richiesta di riconciliazione fatta dai leaders locali al vescovo della diocesi di Lagouat. Modi e presenze diverse che testimoniano però la stessa passione per tutto quanto fa crescere la fratellanza universale.

Come la propria 

La vita di comunione riguarda anche la comunione con gli altri carismi e con i religiosi dell’Opera di Maria. Per motivi d’ufficio ho avuto modo di partecipare ad incontri, commissioni e gruppi di studio tra diversi Istituti, in particolare quelli missionari.

Vi è la diffusa convinzione che occorra una sinergia maggiore tra le varie forze missionarie per affrontare le sfide dell’evangelizzazione del terzo millennio.

Non si sa bene però come procedere. Amare la famiglia religiosa dell’altro come la propria, frutto maturo della spiritualità di comunione, è una risposta a questa necessità.

In questi anni a Roma, appena possibile, partecipavo inoltre agli incontri con il nucleo dei religiosi dell’Opera. L’unità con l’Opera e i religiosi rimane un momento di comunione importante. 

I tanti perché 

Tutto è andato bene in questi sei anni? No. Accanto alle luci, vi sono state anche delle ombre. Non sono mancati i momenti di sconforto e difficoltà, frutto del proprio limite e del non essere stato sempre pronto ad amare.

Davanti ai fallimenti personali e no, ho sempre cercato di vedervi il volto di Gesù che muore in croce. Le tante domande di senso, riecheggiano in certo modo il grido di Lui: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

Perché… in quella occasione o situazione non sono stato capace di soluzioni appropriate suggerite dall’amore? Perché con quel confratello in difficoltà mi sono arreso subito e non c’è stata un’altra iniziativa o data un’altra possibilità?… Perché, perché?

Questi momenti ci sono e tante volte toccano gli aspetti più intimi della famiglia apostolica. Io sento che, prima di tutto, non devo tanto ragionare e trovare scuse o soluzioni, ma offrire tutto a Dio e consegnare a Lui anche questi dolori, e poi buttarmi ad amare.

Mi è di aiuto una frase della Scrittura, sottolineataci da Chiara, e che quotidianamente mi ripeto: “Sei tu Signore, (sei tu, Gesù crocifisso e abbandonato), l’unico mio bene”. Solo questo mi dà pace.

Domani inizia la nostra Assemblea Generale. Oggi è quindi l’ultimo mio giorno da Vicario generale dell’Istituto.

Credo che a conclusione di questi sei anni non poteva esserci occasione migliore di questo convegno per rendere grazie prima di tutto a Dio per il dono della vocazione e poi a Chiara che ha arricchito e illuminato la vocazione specifica missionaria attraverso la spiritualità dell’unità che si rivela sempre più come un dono di Dio per la Chiesa per tutta e l’umanità.

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