Vincono gli indipendentisti, ma…

Maggioranza relativa al partito di Arrimadas, costituzionalista, ma maggioranza assoluta ai due partiti indipendentisti. Incertezza assoluta sul futuro politico a Barcellona

Oltre l’ottanta per cento di partecipazione nelle elezioni al parlamento catalano. Mai accaduto prima. Su questo particolare, che tutti hanno voluto rilevare, ha insistito Carles Puigdemont nel suo intervento da Bruxelles, congratulandosi con la sua gente. Meno probabile sarà che egli possa tornare impunemente per assistere a una sorta di «restituzione», così ha detto, del governo «illegittimamente sospeso». Le sue dichiarazioni, passata la mezzanotte, avevano un certo sapore di vendetta: «La Repubblica Catalana ha vinto la monarchia del 155».

Se c’è stata una vincitrice assoluta in queste elezioni, e così l’hanno riconosciuto tutti, è stata Inés Arrimadas, la candidata di Ciudadanos (C’s), una formazione con un breve percorso che, da tre seggi nella sua prima comparsa elettorale nel 2006, è diventata seconda nel 2015 e ora è arrivata a 37 parlamentari, superando i due partiti detti nazionalisti, Junts per Catalunya (34) ed Esquerra republicana (32). Ciudadanos, associato al Partido Popular nel parlamento di Madrid, si è sempre dichiarato costituzionalista durante la crisi catalana.

Oltre la mezzanotte, col 99 per cento dei voti scrutati, si fa fatica a interpretare i dati e azzardare un futuro immediato. Forse perché la configurazione del precedente parlamento e il percorso del governo di Puigdemont condizionano una certa chiave di lettura “plebiscitaria”, volendo vedere in questa giornata elettorale una riedizione di quel referendum del 31 ottobre, questa volta legale, quando si voleva capire quanti catalani volevano e vogliono l’indipendenza. Sotto tale chiave di lettura, avrebbe vinto l’indipendentismo, poiché i tre partiti che hanno portato avanti il discorso dell’indipendenza insieme sommano 70 seggi, due oltre la maggioranza assoluta. Lo scenario, però, ora è un po’ diverso da quello del 2015.

Allora Junts per Catalunya (destra nazionalista) ed Esquerra republicana (sinistra separatista) si presentarono in coalizione con un prioritario obiettivo nel loro programma elettorale: l’indipendenza. Ebbero l’aiuto dei deputati della Cup (antisistema) per eleggere come presidente Carles Puigdemont, dopo mesi di negoziati per evitare che fosse investito il candidato a capo della coalizione nelle elezioni, Artur Mas. Questa volta, invece, ogni partito ha presentato il proprio candidato: Puigdemont (a Bruxelles) e Junqueras (in carcere).

Le cose hanno però un’altra interpretazione. In numero di voti, su un censimento di 5,5 milioni di elettori catalani, i non indipendentisti avrebbero superato gli indipendentisti in oltre 193 mila voti. Il sistema elettorale però non concede lo stesso peso a tutti i voti, ed ecco che così le forze costituzionaliste non riescono a raggiungere la maggioranza. In altre parole, secondo questa chiave di lettura, solo il 47,5 per cento dei catalani vuole l’indipendenza pur avendo ottenuto la maggioranza parlamentare.

Vorranno quei tre partiti ripetere un nuovo processo verso l’indipendenza, sapendo com’e finita la formula della «via unilaterale» di Puigdemont? Ci sarà sufficiente coesione, dopo i fatti accaduti negli ultimi due mesi, tra nazionalisti di destra, indipendentisti di sinistra e antisistema, per intraprendere di nuovo una via simile alla precedente?

Quella del 21 dicembre è la notte più lunga dell’anno perché inizia l’inverno. Probabilmente non sarà stata così per i concorrenti alle elezioni catalane? Il panorama prefigurato dai risultati elettorali consiglia di pensarci con calma. Meglio aspettare che passino Natale e Capodanno. Perché bisognerà sedersi a dialogare con chi convenga venire ai patti e disegnare una formula di governo capace di soddisfare la volontà dei votanti.

 

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