Vertice sulla Siria a Gerusalemme

I consiglieri della sicurezza nazionale di Usa, Russia e Israele si sono ritrovati per cercare la quadra alla conflittualità della regione. Sullo sfondo c’è costantemente la paura di Teheran.

 

Recita un classico principio di ambiente diplomatico: «L’importanza dell’evento è nella sua stessa esistenza», cioè indipendentemente da cosa avviene e perfino se avviene o no qualcosa, l’evento è importante perché c’è. Questa ironica ma attualissima affermazione calza perfettamente a quanto pare con il vertice del 25 giugno scorso a Gerusalemme, che ha visto l’incontro piuttosto improbabile ma reale di tre personaggi ai poli opposti della politica mondiale sul Medio Oriente. Si tratta dei consiglieri per la sicurezza nazionale di Stati Uniti, Israele e Russia: rispettivamente John Bolton, Meir Ben-Shabbat e Nikolay Patrushev. Se la convergenza fra i primi due non sorprende affatto, è la presenza del terzo che stupisce, perché mentre Usa e Israele stanno dalla stessa parte, la Russia per loro rappresenta notoriamente il nemico. E viceversa, naturalmente: dipende dalla prospettiva. Se questa contrapposizione vale per molte situazioni di conflitto, è però particolarmente evidente in Siria.

Ed è appunto questo il motivo “ufficiale” del meeting: una discussione tra quelli che contano sul futuro della Siria. Sottinteso: senza avere tra i piedi quelli che contano ben poco, prima di tutto e paradossalmente i siriani, ed altri attori ritenuti secondari, ma che veramente secondari non sarebbero. Non c’è da preoccuparsi troppo su cosa si siano detti i tre big: niente di nuovo, le stesse affermazioni ben note e cristallizzate sui buoni e sui cattivi. Per Bolton e Ben-Shabbat l’Iran è cattivo e per Patrushev invece è buono. Semplificazione banale ma reale. Allora si sarebbero incontrati per dirsi cose che tutti e tre sapevano già a memoria? No, in questi meeting ciò che conta di più sono i retroscena, ciò che si dice lontano dai microfoni. Gli accordi ufficiali sono poi semplicemente la ratifica di quanto era stato deciso prima del meeting.

Qualche ipotesi fantasiosa ma non troppo su cosa si sarebbero detti veramente? I russi, che hanno bisogno di tirare i remi in barca per ridurre le enormi spese che stanno sostenendo in Siria, potrebbero garantire che, dopo la fine delle ostilità, si impegneranno a mantenere le basi iraniane e quelle delle milizie sciite ad almeno 80-100 chilometri dal confine israeliano del Golan e i pasdaran lontano da Damasco. Da parte sua, Bolton potrebbe chiedere a Patrushev di indurre Teheran, schiacciato dalle pesantissime sanzioni statunitensi, ad accettare un nuovo accordo sul nucleare iraniano sulla base delle condizioni unilaterali “offerte” da Washington. Gli israeliani potrebbero impegnarsi da parte loro a evitare il più possibile le incursioni aeree in territorio siriano (e quindi indirettamente russo) se il governo di Assad si impegnasse ad allontanare o meglio eliminare le basi iraniane in Siria.

In definitiva, il vertice sulla Siria sembra in realtà essere stato più un vertice sull’Iran, un tentativo per indurre i russi a “ridurre” il loro sostegno a Teheran, se non addirittura a tenere a bada gli iraniani. In cambio forse di un riconoscimento almeno di fatto se non di principio della leadership russa in Siria e del suo ruolo di deterrente nei confronti delle imprevedibili mire espansionistiche turche. Ecco cosa c’entrava la Siria! Di fatto gli Usa, o forse si potrebbe immaginare che siano in realtà sauditi ed emiratini, non sanno più che fare all’Iran per metterlo sotto i piedi. Un attacco, per quanto auspicato da alcuni irriducibili falchi, rischia di rivelarsi un controproducente e costoso disastro. E così si arriva alle ultime sanzioni: non essendo rimasto granché di significativo da sanzionare, l’ultima invenzione è stata quella di colpire le risorse di qualcuno, nel caso specifico quelle personali di Ali Khamenei, guida suprema dell’Iran e massimo esponente del clero sciita, nonché ex presidente della repubblica islamica. Khamenei, cioè, non può accedere a nessun servizio finanziario (e non sono pochi) che rientra nella giurisdizione americana. E se non bastasse, le stesse sanzioni saranno applicate anche al ministro degli esteri iraniano Javad Zarif (artefice con John Kerry del tanto osteggiato accordo Jcpoa rigettato da Trump). Più che sanzioni sembrerebbero delle stizzite ripicche. Il commento iraniano in diretta tv e per bocca dell’ayatollah Rouhani non si è fatto attendere: «La Casa Bianca è afflitta da ritardo mentale». E le sanzioni annunciate sono definite «vergognose e idiote».

Il vertice di Gerusalemme con le sue mosse e contromosse, in definitiva, non scongiurerebbe affatto un allargamento dei conflitti mediorientali. Anzi, nonostante le centinaia di migliaia di morti e i milioni di feriti, affamati, sfollati e rifugiati, la luce in fondo al tunnel appare purtroppo ancora molto lontana.

 

 

 

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