Verso quale mondo stiamo andando?

La politica dovrebbe gestire i conflitti evitando che sfocino nelle guerre, eppure nel mondo negli ultmi anni sono stati centinaia gli scontri armati divampati in varie parti del mondo. Serve una politica seria ed efficace, al servizio dell'uomo e del benessere sociale e ambientale.
Fermare la guerra (AP Photo/Vadim Ghirda, File)

Trascorsi due decenni del nuovo secolo del terzo millennio, possiamo chiederci verso quale mondo stiamo camminando. Viviamo immersi nell’incertezza dell’esperienza umana, dentro una inaspettata crisi delle democrazie occidentali dopo il trionfalismo liberaldemocratico di fine Novecento.

Incapaci di cogliere allora elementi di incertezza derivanti dai dilemmi e dai deficit delle democrazie liberali, ci siamo ritrovati dentro la policrisi attuale, con una pericolosa insorgenza illiberale. È riesploso il conflitto con il volto tragico della guerra in Ucraina, in Europa ed ora nella Striscia di Gaza, alle sue porte. È una tragica realtà con cui dobbiamo fare i conti.

Come dice papa Francesco, la realtà supera le nostre idee. Chiediamoci se stiamo andando verso un nuovo multilateralismo nella politica internazionale, come stiamo affrontando il cambiamento climatico, il problema dell’acqua, non sufficiente per tutti, la questione della fame e degli aiuti umanitari per lo sviluppo. Interroghiamoci su quale politica per affrontare la crisi delle democrazie liberali sfidate da potenti autocrazie e dittature, come debellare l’inflazione attraverso le banche centrali e le misure di politica economica. Chiediamoci infine cosa sarà l’Unione europea dopo le guerre in corso. Serve una svolta verso gli Stati uniti d’Europa per rilanciare gli ideali dei fondatori.

Innanzitutto ci troviamo di fronte a conflitti da governare. Dobbiamo evitare che la violenza si sostituisca al conflitto non violento, che le guerre regionali si trasformino in Terza guerra mondiale con la minaccia di armi atomiche. Dobbiamo trovare regole condivise a tutti i livelli per risolvere pacificamente le tensioni internazionali.

Stiamo andando verso un mondo pieno di conflitti vecchi e nuovi. Dobbiamo trovare il modo di affrontarli pacificamente sapendo che non possiamo eliminarli. Solo la politica è in grado di socializzarli. Se questi non vengono governati, la violenza è il volto del fallimento della politica. Negli ultimi otto anni abbiamo avuto oltre centocinquanta conflitti tra Stati. Altri si manifestano come azioni collettive politiche: le proteste delle donne in Iran e dei giovani ad Hong Kong. Rivolte violente esplodono anche in periferie di città americane ed europee.

Nelle democrazie liberali i partiti si limitano a “governare il vuoto, come diceva il politologo Peter Mair, in assenza di partecipazione, gestendo il potere sul piano amministrativo, ma evitando di affrontare i problemi delle gravi disuguaglianze con politiche lungimiranti. Il tutto con ideologie deboli e superficiali, in assenza di un pensiero politico rinnovato e adeguato alla gravità delle fratture sociali.

È illusorio anestetizzare i conflitti perché questi coesistono con la politica nelle comunità democratiche. Spetta a partiti radicati a livello popolare socializzare e risolvere i conflitti, contribuendo a determinare la politica nazionale con metodo democratico, con proposte, alleanze e maggioranze di governo.

Al conflitto politico vero su visioni divergenti nel dare risposte alle domande degli elettori si sostituiscono zuffe e urla in tv e sui social. Individualismo, frammentazione e scontri personali non hanno favorito l’aggregazione di interessi di individui, gruppi e comunità in chiave di solidarietà intergenerazionale e di risoluzione di problemi strutturali. Il conflitto potrebbe infatti essere positivo e generatore di coesione sociale.

La debolezza dell’offerta politica dei partiti e di domanda dei cittadini organizzati ha stimolato l’ascesa ed il rapido declino di leader politici negli ultimi anni. Tutto ciò non ha contribuito a formulare politiche di medio e lungo termine. Ha prevalso invece la polarizzazione senza legittimazione dell’avversario, visto piuttosto come nemico. Non sono state individuate così le priorità e le regole per governare il conflitto.

In una società democratica è necessario infatti decidere quali conflitti sono prioritari e quali politiche attivare per risolverli. Una strategia politica intelligente di lungo periodo mira a gestirli e non, come da anni in Italia, a far finta di affrontarli. Tutto ciò ha gravi conseguenze sul nostro futuro in termini di politiche industriali, del lavoro, di tutela dell’ambiente, della giusta redistribuzione della ricchezza, di riforme radicali dell’Unione europea per evitare che venga svuotata dall’interno.

Innanzitutto, viste le gravi guerre in corso, è urgente trovare norme condivise sul multilateralismo. Il sistema internazionale si governa infatti con norme accettate e fatte rispettare da istituzioni autorevoli attraverso una governance globale.

La riforma dell’Onu è urgentissima. Occorre risolvere in tempi brevi i gravi problemi creati dal fenomeno migratorio epocale.

Poi è indubbio che la questione climatica è il problema vitale che l’umanità deve affrontare. È necessaria la politica per mitigare il cambiamento climatico. Uno dei principali strumenti è costituito dalle tasse sul carbonio. I cittadini collaboreranno se vedranno compensazioni tangibili e immediate. Stiamo parlando in fondo della conservazione del pianeta Terra.

Altro problema è quello dell’acqua. 3,5 miliardi di persone vivono in paesi con scarsità idrica. È urgente allora gestire con saggezza le insufficienti risorse considerando le zone aride. Dobbiamo assolutamente evitare guerre per l’acqua. La politica deve regolare l’accesso in quantità giuste per raggiungere questo obiettivo.

Il sistema internazionale è in grado di trovare meccanismi per prevenire crisi alimentari drammatiche. Occorre garantire la sicurezza alimentare dei popoli svantaggiati. I Paesi Ocse stanno comprendendo che gli aiuti umanitari vanno collegati a quelli in favore di sviluppo e di pace. Infine è necessario coordinare politica, lotta all’ inflazione, riduzione dei costi dell’energia, autonomia e coordinamento delle banche centrali, consenso popolare per uscire da guerre, populismi, autocrazie verso un futuro più sereno.

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