Verso le elezioni europee, il parere di Paolo Pombeni

Il nuovo assetto del Parlamento europeo sarà investito da scelte decisive sul futuro stesso dell’Europa in un difficile contesto internazionale. I nodi e le questioni in gioco nell’intervista al politologo e storico Paolo Pombeni, direttore della rivista culturale Il Mulino
Operazioni di voto decisive sul clima durante una sessione plenaria del Parlamento europeo Ansa EPA/OLIVIER HOSLET

A due mesi dal voto resta da definire, tra inevitabili polemiche, l’elenco dei candidati dei partiti per lo scranno del Parlamento europeo. Oltre la competizione tra la diverse liste acuite dal sistema elettorale proporzionale, si tratta di scegliere rappresentanti in grado di affrontare nodi decisivi dell’Unione Europea in un momento storico segnato da scenari di guerra e competizione su scala mondiale. Ne abbiamo parlato con il politologo e storico Paolo Pombeni, professore emerito dell’Università di Bologna, autore di numerosi testi fondamentali di storia politica, tra i quali l’ultimo “Storia della DC (1943-1993)” scritto assieme a Guido Formigoni e Giorgio Vecchio, edito da Il Mulino. Un testo di oltre 700 pagine di grande interesse. Per il triennio 2024-2026 Pombeni è stato eletto, all’interno dell’originale associazione di studiosi che controlla l’editrice, alla direzione della prestigiosa rivista culturale “Il Mulino”.

Quali sono, a suo parere, gli ostacoli interni ed esterni, istituzionali o meno, che impediscono alla Ue di agire come attore politico decisivo sul piano internazionale?
L’Unione Europea è ancor più di quel che taluni pensano una confederazione di stati sovrani, per di più molto diversi nella loro consistenza e nelle rispettive possibilità di azione. La sovranità in politica internazionale è ancora un patrimonio gelosamente custodito: dagli stati più grandi per non cedere il loro “status” (non si dimentichi per esempio che la Francia fa parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU e non vuole condividere quella posizione con nessuno), dagli stati più piccoli per rimarcare la loro “parità” con i maggiori.

La paura delle migrazioni incontrollate resta un fattore decisivo in campo elettorale. Non le appaiono controproducenti le tesi basate sulla convenienza per l’Occidente in declino demografico?
La paura delle migrazioni deriva in buona parte dal declino della logica dell’integrazione a cui ci si ispirava in passato. Gli USA sono stati nell’Ottocento e primo Novecento approdo di considerevoli migrazioni, ma si voleva che i nuovi venuti, con le buone o anche con le cattive, si “americanizzassero”. Oggi operazioni di questo tipo sembrano non legittime e gli stessi migranti attuali, al contrario di quelli del passato, esigono di essere riconosciuti nelle loro diversità e di avere il diritto a preservarle senza integrarsi. Questo porta alla paura che si produca un contesto in cui convivono “tribù” diverse in competizione fra loro e che le più deboli possano venire marginalizzate. È un aspetto su cui c’è poca riflessione, mentre andrebbe affrontato con molta serietà se si vuole governare un fenomeno che non solo non è arrestabile, ma che può portare ad un arricchimento della nostra crisi di decadenza.

Vede possibile, vista la consonanza tra Meloni e Von der Leyen, una nuova maggioranza nel Parlamento europeo con l’accordo tra conservatori e popolari? Avrebbe delle conseguenze per la tenuta della Ue?
Per quel che si può desumere dalle rilevazioni costanti dei sondaggi sembra che siamo lontani dalla possibilità di una maggioranza popolari-conservatori. Da molti punti di vista il peso del partito socialista europeo è ancora determinante e anche il gruppo liberale che più o meno fa capo a Macron ha le sue carte da giocare. Per ora, se i risultati non smentiranno clamorosamente le previsioni, quel che si può immaginare è che almeno una parte dei conservatori di ECR sotto la leadership di Meloni possa aggregarsi all’attuale maggioranza. Che ciò avvenga sotto la regia della Von der Leyen al momento è visto problematico, al contrario di quel che ci si aspettava un mese fa.

A partire dalla controversia in campo agricolo fino alla questione sull’auto elettrica, sul green deal europeo si concentrano le dure accuse di essere espressione di un ambientalismo estremista legato alle  tesi del socialdemocratico Timmermans. Siamo davanti ad una svolta in questo campo decisivo delle politiche europee?
Una buona politica ambientale è una esigenza seria, ma l’avversario più pericoloso che ha sono i pasdaran del green deal con tutte le sue implicazioni. Non si cambia l’impostazione di un sistema che ci ha messo secoli ad affermarsi con un tratto di penna legislativa. Bisogna lavorare con costanza cadenzando i passi su quel che può sopportare la vita della gente, il che non vuol ovviamente dire arrendersi a quelli che ne fanno la scusa per difendere i loro privilegi. È necessario puntare su un’opera paziente di educazione per avviare cambiamenti nel nostro modo di essere e di organizzarci senza che questo crei sconvolgimenti che porterebbero solo ad un caos ingestibile

È auspicabile e possibile un sistema di difesa europeo? Avrebbe in qualche modo un margine di autonomia verso la Nato?
Un sistema di difesa europeo è purtroppo necessario, perché solo così possiamo tenere lontani gli appetiti a conquistare un continente che ha molti problemi per la gestione di una fase di crisi che lo indebolisce, ma che custodisce ancora molte potenzialità economiche. Il margine di autonomia dalla Nato non è di per sé un problema. Prima di tutto perché si può contare su un potere di contrattazione, in secondo luogo perché non c’è alcuna garanzia che gli USA continueranno ancora a sostenere da soli il ruolo di equilibratore e difensore dell’Occidente. L’Europa ha le risorse intellettuali, economiche e tecnologiche per mettersi in una posizione di autonomia solo che voglia sfruttare queste risorse unitariamente.

Quali sono, a suo parere, le questioni decisive che dovrebbero orientare il voto delle elezioni europee?
Vedo importante che chi vota scelga di appoggiare candidati che hanno le qualità umane, politiche ed intellettuali per agire in un contesto complicato come è un parlamento plurinazionale che deve fare i conti con quanto vogliono i governi dei Paesi aderenti e con quanto fa la Commissione. Non c’è posto per scelte fatte con l’occhio a presunti orientamenti ideali astratti e a sostegno di questo o quel partito del cuore. Alle forze politiche va mandato un messaggio chiaro: non ci interessano i vostri contenziosi di parte, sappiamo e vogliamo che solo una rappresentanza italiana di alta qualità potrà aiutare sia il nostro Paese che tutta l’Unione ad affrontare un futuro che non sarà semplice.

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