Venezuela: l’opposizione è unita, il governo tergiversa

La Corte Suprema venezuelana ha sospeso i risultati delle primarie autogestite dell’opposizione dalle quali Maria Corina Machado è uscita come favorita per le presidenziali 2024. Grazie allo stratagemma di un referendum territoriale consultivo il regime chavista potrebbe però rinviarle indefinitamente.
María Corina Machado, (AP Photo/Ariana Cubillos)

Diosdado Cabello l’aveva detto e ripetuto: “le primarie non si faranno”. Ma si sono fatte. L’opposizione ne è uscita rafforzata e, dopo anni di frammentazione, unita. Oltre 2,4 milioni di elettori hanno sfidato le intimidazioni e il regime stesso, non solo andando a votare, ma scegliendo plebiscitariamente una candidata proscritta fino al 2030.

Maria Corina Machado è stata eletta il 22 ottobre come candidata unica di un ampio spettro di partiti antichavisti col 92,35% dei voti espressi. Da mesi i sondaggi la danno come favorita in un eventuale duello con il presidente Nicolás Maduro.

Ma è entrata in scena la Corte Suprema che, in seguito alle denunce di frode da parte di un candidato sconfitto “infiltrato” dal governo, ha sospeso tutti gli effetti delle primarie.

Qui chi legittima è il popolo”, afferma la Machado, convinta che il verdetto di un’elezione organizzata nonostante le intimidazioni e la propaganda contraria abbia spiazzato il regime. Ha vinto l’alta partecipazione, resa possibile da migliaia di volontari disseminati in tutto il Paese e all’estero, con pochi mezzi (virale l’immagine di un asse da stiro utilizzata come tavolo in un seggio elettorale), e il conteggio pubblico dei voti. E non conviene al regime affossare il recente accordo con roadmap elettorale firmato dal regime con l’opposizione, con il patrocinio di Norvegia e Stati Uniti. Da parte loro, gli Usa si sono detti pronti a ripristinare le sanzioni sospese se il governo violasse l’accordo.

Mentre gli analisti formulavano le loro ipotesi circa le strategie di governo e opposizione, il giorno dopo le primarie il presidente del Potere Elettorale diffondeva il testo delle cinque domande del referendum consultivo sulla rivendicazione dell’Esequibo, il territorio attualmente in Guyana (ex britannica) reclamato dal Venezuela.

“Non c’è venezuelano che non sia convinto che l’Esequibo sia nostro”, afferma Gabriel Pineda, referente del Movimento Politico per l’Unità in Venezuela, “quindi il risultato è scontato, ma non è questo il punto”. Per Pineda la realizzazione di questa consultazione popolare non mira solo a distogliere l’attenzione dal processo elettorale presidenziale. «Una vittoria schiacciante dei sì potrebbe portare il governo a stabilire che un clima di conflitto con la Guyana giustifichi una situazione eccezionale e quindi la sospensione indefinita delle elezioni».

La questione della Guyana Esequiba è un’annosa rivendicazione: per Caracas vale l’Accordo di Ginevra del 1966, siglato alla vigilia dell’indipendenza guianese, nel quale il Regno Unito riconosceva la sovranità venezuelana sull’Esequibo. La regione, scarsamente abitata, è però ricca di petrolio, gas, minerali e legname, e rappresenta circa due terzi del territorio guianese, cosa che rende impraticabile una cessione totale.

La questione è comunque molto complicata, ma adesso è diventata soprattutto un’occasione da cogliere al volo per un chavismo che ha perso una gran parte della sua base sociale ed elettorale e che vuole approfittare della congiuntura internazionale. Il riavvicinamento del regime venezuelano agli Stati Uniti è probabilmente in relazione con la crescente difficoltà statunitense di approvvigionamento energetico, causato delle guerre in Ucraina e a Gaza.

«Il Venezuela è l’unico membro dell’Opec con una rilevante capacità di vendita verso gli Usa», considera Pineda. E il governo di Maduro, che attraversa una drammatica crisi di liquidità, da sempre attribuisce alle sanzioni statunitensi tutte le disgrazie dell’economia nazionale.

Sul fronte politico interno, María Corina Machado scarta la possibilità di farsi da parte in quanto proscritta. «Rispettiamo l’Accordo che stabiliva che il vincitore delle primarie può iscriversi alle elezioni», ha affermato in un’intervista. La sua strategia è far sì che il governo non possa negare l’evidenza dell’esercizio democratico di oltre due milioni di elettori e rispetti l’impegno di autorizzare le candidature di “tutti i candidati e partiti politici”.

Il chavismo non è nuovo a questi ed altri stratagemmi. Basta ricordare l’Assemblea Nazionale Costituente convocata nel 2017 e sciolta nel 2020 senza aver prodotto alcuna bozza di Costituzione, poco dopo le contestate elezioni che avevano restituito il Parlamento al regime. Nell’ultima sessione della Costituente, Maduro si era congratulato per il raggiungimento dell’“obiettivo fondamentale… la pace della repubblica, la sicurezza interna, l’unione nazionale e la stabilità del Paese”.

In questa battaglia istituzionale, l’opposizione ha dalla sua la maggioranza dell’opinone pubblica, e la popolarità della Machado supera ampiamente quella di Maduro, ma questi ha nelle sue mani il potere politico e le risorse dello Stato.

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