Vecchio sarà lei!

Diversità di pareri sull’inizio della terza età, a seconda dell’anagrafe che si hanno e del luogo in cui si vive.
Anziani

Non si capisce bene se sia una questione oggettiva o un riflesso soggettivo. La terza età, quella che inizia per convenzione a 65 anni, avrebbe subìto uno spostamento. In avanti, penserete, dal momento che l’aspettativa di vita è di 84 anni per le donne e di 79 per gli uomini. No, indietro, a 54 anni, almeno secondo una ricerca inglese. Si tratta di uno studio che l’Istituto di statistica e il ministero del Lavoro britannico avrebbero realizzato intervistando qualche migliaio di giovani inglesi sotto i 25 anni. Secondo costoro, come riferisce il Daily mail, la vecchiaia inizia appunto a 54 anni, mentre la giovinezza finisce a 32. Assurdo, dirà qualcuno; irriverente, penserà qualcun altro. C’è chi prova a dare una spiegazione dell’esito di questa ricerca. «Un giovane percepisce come vecchio chi è generazionalmente lontano da lui – asserisce Alessandro Rosina, demografo dell’università Cattolica di Milano -. E ai nativi digitali, abituati a cambiamenti velocissimi, a possedere strumenti che mutano in continuazione, ma diventano obsoleti con altrettanta rapidità, gli adulti digiuni di quei linguaggi sembrano abissalmente lontani e dunque vecchi». Beh, una spiegazione del genere ci può stare.

 

Per noi italiani le cose stanno diversamente. In genere preferiamo definirci giovani quando siamo adulti e adulti quando siamo anziani. Il termine vecchiaia non ci piace granché. Se poi a essere interpellate sono le persone più avanti negli anni, cambia di certo la prospettiva. In uno studio pubblicato qualche tempo fa dall’Osservatorio sul capitale sociale degli italiani risulta che solo la metà (54 per cento) di chi ha più di 64 anni si definisce anziano. Il 41 per cento preferisce dirsi adulto. Quattro su dieci tra coloro che hanno tra 35 e 44 anni si ritengono giovani. L’età media in cui si ha coscienza di diventare adulti è di 35 anni, ma mentre per i giovanissimi (15-17 anni) si diventa adulti a 26 anni, per i ventenni questo avviene a 30 anni e per i quarantenni e cinquantenni a 36 anni. Secondo i più anziani questo succede a 40 anni circa.

 

L’inizio convenzionale della vecchiaia occorre certo definirlo, soprattutto per taluni adempimenti, età pensionabile in primis, che a essa sono legati; ma è anche vero che l’età anagrafica nella vita non è tutto, se non si tiene conto di quella “giovinezza” interiore che, se affiancata da una buona salute, ritarda veramente l’inizio dell’anzianità.

Nel nostro Paese, ad esempio, gli over 65 sono 12 milioni e costituiscono una porzione dinamica della popolazione, tant’è che, ad esempio, da qualche anno si registra un continuo sviluppo del settore turistico alimentato da persone cosiddette della terza età. I tour operator sono concordi infatti nel riconoscere che in un momento di crisi come questo se non ci fossero loro sarebbe la fine. Basta fare quattro conti in tavola, suggeriscono: i trentenni viaggiano poco perché non hanno abbastanza soldi; i quarantenni lavorano come matti per fare carriera o tenersi il posto di lavoro; poi c’è da dedicarsi ai figli che crescono e quindi, superata la fatidica soglia della terza età, si è finalmente liberi, tra un nipotino e l’altro (ma adesso non è che ne arrivino troppi) di concedersi quei piaceri che prima non era stato possibile permettersi. Anche perché non si è costretti a prendersi le ferie quando le prendono tutti e si può usufruire della bassa stagione. E non c’è da pensare che queste persone affollino le terme o gli alberghetti in riva al mare. Il 43 per cento dei nostri “anziani” ama il turismo fai da te, usa Internet per organizzare il viaggio, lancia annunci sui forum per cercare compagni d’avventura. Le donne sono più intraprendenti degli uomini.

 

Chissà se questi nostri viaggiatori sanno che scegliere Paesi sconosciuti, conoscere persone diverse, stimolare il cervello con orizzonti nuovi è uno dei modi per ridurre la perdita delle proprie capacità cognitive. Stando infatti ai risultati di uno studio condotto dal Centro di ricerca in epidemiologia e salute pubblica, in Francia, e dall’University college di Londra su più di settemila dipendenti pubblici dai 45 ai 70 anni, il nostro cervello inizia a perdere le sue capacità già a 45 anni e quando si arriva a 65 anni gli uomini ne hanno lasciato per strada il 9,6 per cento e le donne il 7,4 per cento. Sembra non sia però un processo irreversibile: basta tenerlo in allenamento.

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