Valentina e la ricerca della felicità

Un futuro professionale roseo e una vita sbandata: una storia di dolore personale, di ricerca di affetto e di riscatto.

Quel che ti colpisce per prima cosa, di lei, è il sorriso: largo, sicuro, vero, luminoso e profondo, che è come una calamita. Valentina è alta, solida, ha spalle larghe da nuotatrice e una presenza carica di energia attraente. È nel gruppo di quei giovani che, il 6 ottobre scorso, hanno dato la propria testimonianza durante l’incontro-festa con papa Francesco e i padri sinodali, dal titolo “Noi per – Unici, solidali, creativi”, promosso dalla segreteria generale del Sinodo dei vescovi e dalla Congregazione per l’educazione cattolica.

«Mi ero costruita una bella immagine: laureata in biotecnologie medico-farmaceutiche, una proposta di dottorato di ricerca, educatrice in parrocchia. Ma di notte, la vita da ragazza “perfetta” tramontava e facevano capolino i bisogni più profondi». Valentina oggi non si nasconde più e, mentre racconta il suo passato, nell’aula Paolo VI sembra riviverlo con tutta se stessa: «indossavo una maschera, accendevo il pc e mi proiettavo in un mondo fittizio, chattando con i ragazzi per elemosinare affetto. Dopo un paio di settimane, uscivo con uno di loro e mi divertivo».

Spiega, per far capire fino in fondo la voragine in cui era caduta:«Non ero interessata a chi fosse, cosa facesse nella vita, quali sogni avesse. Bastava che fosse carino e che mi facesse stare bene per una sera». Valentina ha bisogno di tenerezza, calore, di quell’affetto che non trova in famiglia, una famiglia divisa, dove regna la divisione, con frequenti litigi e silenzi angoscianti.

«Papà, militare, aveva un carattere molto autoritario: fragilità, vulnerabilità e debolezza non erano concesse nella mia educazione, come le manifestazioni spontanee di affetto in casa. Mamma era una donna iperattiva: mai un bacio, un abbraccio o una coccola, niente» e, confessa «io volevo qualcuno che stesse con me! Le chat erano il mio modo per sopravvivere a questa mancanza».

Valentina cresce con questo vuoto dentro, sentendosi non accettata per quello che è, e questo, pian piano, la rende incapace di instaurare relazioni intime e durature con le persone. Inconsapevolmente, manipola chi le sta accanto perché non scappi, perché non la lasci di nuovo sola: «Instauravo dipendenze affettive in cui fagocitavo l’altro usandolo per colmare il mio vuoto. Avrei voluto gridare: “Qualcuno sa come cavolo si diventa felici?”».

Nel fiume in piena che è il suo racconto, finalmente una radura, un luogo che parla di pace. «Nel giro della mia doppia vita, un giorno, su una chat, ho ricevuto un invito a partecipare ad una missione di evangelizzazione in strada insieme ad altri giovani e lì, durante un momento di preghiera, mi sono trovata faccia a faccia con Gesù Eucarestia esposto. Non so come spiegarmi… ho sperimentato una presenza che mi diceva: “Ti amo così come sei!”».

Per la prima volta nella sua vita, Valentina si sente come abbracciata e amata da un amore libero e gratuito, che non le domanda di essere diversa: «Da quel pezzetto di pane, avevo l’impressione che il Signore si stesse inginocchiando davanti a me, sporcandosi le mani nel fango della mia miseria e prendendo su di Sé la mia sete di felicità e di senso», racconta con la voce ancora emozionata.

Da quell’incontro, ha inizio la sua nuova vita. «Scegliere per il Cielo non è uno scherzo – confessa -, all’inizio, mio padre si è opposto a questo cambiamento che chiedeva di rimettere in discussione tutta la mia vita, e non mi ha parlato per un anno intero. Ma ecco che, a piccoli passi, con l’aiuto di molte persone che sono diventate la mia nuova famiglia nella Chiesa, ho imparato ad accogliere e a condividere le mie fragilità».

Lei, che era abituata a fare da sola, in questo cammino capisce che ha bisogno di una guida con cui discernere le scelte più importanti, qualcuno in cui riporre la propria fiducia e a cui affidarsi:«Così, ho imparato ad accogliermi in profondità, a rimanere a contatto con le mie emozioni, a condividerle. E ho scoperto la bellezza di avere delle persone con cui poter parlare cuore a cuore, senza dovermi nascondere».

Con il tempo, è arrivata anche la riconciliazione con la sua famiglia:«Ora, riconosco quanto preziosi siano stati per il mio cammino l’amore concreto trasmessomi dalla mamma e la perseveranza, la costanza e il senso di responsabilità insegnatomi da papà».

Così, raggiante, conclude raccontando il suo personale “lieto fine”: «Oggi, sono una ragazza di 33 anni, che ha sentito di donare tutta la sua vita, lasciando quanto aveva di più prezioso, perché tanti giovani possano sperimentare la gioia che ho sperimentato io, quella che viene dal sentirsi amati e perdonati ancora prima di chiedere perdono».

 

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