Usher Arieccomi!

È uno dei personaggi di punta della black-music odierna. Uscito dal gran mazzo degli arrappati degli anni Novanta, il nostro ha via via smussato gli spigoli fino ad infilarsi nello stesso solco tracciato a suo tempo da eminenze come Marvin Gaye e Stevie Wonder. La faccia da duro che troneggia in copertina non tragga dunque in inganno: Usher è uno che maneggia il pop e il soul con estrema perizia, e del rapper ha conservato giusto qualche movenza. Del resto la storia della negritudine in musica è spesso coincisa con queste astute forme d’abiura delle istintività primigenie in nome del mercato: opportunismo per alcuni, asservimento per altri, semplice pragmatismo per altri ancora. Certo è che i ben diciotto frammenti che compongono questo Here I Stand (Sony-Bmg) mostrano classe e mestiere da vendere. Da vendere, per l’appunto… Per questa sua quinta avventura in sala d’incisione Mr.Ush ha giocato soprattutto sulla raffinatezza di scrittura e d’arrangiamento, attorniandosi di illustri colleghi come Beyoncé, Will I Am, Jay Z, e Lil Wayne: un parterre de roi che basterebbe da solo a sottoli- neare quanto l’artista del Tennessee tenga a porsi come maestro del blackpop contemporaneo. E gli esiti gli hanno ovviamente dato ragione: non solo l’album è subito schizzato in vetta alle classifiche di mezzo mondo (sia come album che col singolo Love in this club) ma ha anche raccattato lusinghiere recensioni su testate prestigiosissime come il The New York Times, il Boston Herald o Usa Today. Al momento l’album ha già venduto oltre tre milioni di copie: forse non arriverà a far saltare il banco come il leggendario Thriller, ma non c’è dubbio che sia proprio il Michelino Jackson dell’era aurea il punto di riferimento del nostro. Per quel che riguarda i testi, Usher non azzarda: c’è una tenera canzone dedicata al figlioletto, qualche ballatona sensuale, brani che paiono costruiti su misura per far ballare o per fluttuare nell’etere, ma anche, qua e là, passaggi che lasciano intuire una certa ricerca spirituale. Ma si sa, in quest’ambito i testi contano poco, quel che fa la differenza tra un prodotto di classe e la media del muzak da supermercato sono la finezza dei ceselli, il groove, l’impatto dei suoni e delle vocalità. Ed in questo Here I stand tutto scorre perfetto, perfin troppo… Ergo: se pensate che anche un prodotto di massa possa essere un capolavoro, allora lasciatevi ammaliare. Ma se pensate che lo possa essere solo accidentalmente e non in quanto tale, allora limitatevi a consumarlo. CD Novità Steve Winwood Nine Lives (Columbia) Era l’enfant prodige del primo rock anglosassone. Oggi ha sessant’anni, ma non ha perso lo smalto né il tocco dei giorni belli. Nove brani avvolgenti, in precario equilibrio tra fusion, progressive e pop-soul. L’organo Hammond e la sua voce inconfondibile la fan sempre da padrone, le ampie parentesi strumentali hanno il sapore della nostalgia, la chitarra dell’amico Eric Clapton fa capolino in un brano. Una chicca per gli amanti del genere che tuttavia suonerà un po’ datata per tutti gli altri. Massimo Bubola Ballate di terra e d’acqua (Eccher) Più dylaniano che mai, il cantautore veronese si riaffaccia sui mercati con questa nuova manciata di ballate folk-rock: ora mor- bide come una carezza, ora taglienti come una lama. couting for girls (Sony-Bmg) Uno dei dischi più intriganti e godibili dell’estate. Pop di marca beatlesiana, con echi à la Supertramp, e un’energia che invece pare scaturire da un disco dei Clash. Niente di sconvolgente, ma una volta infilato nel lettore, sarà difficile estrarlo.

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