Uno sguardo sulla crisi politco-economica: rivedere gli obiettivi del sistema

Queste note condensano alcune riflessioni che mi ha suscitato la lettura dell’articolo di Antonio Maria Baggio[1], che condivido nella sostanza e che mi pare incontri la necessità di cogliere l’occasione delle elezioni per riflettere sulle prospettive di futuro dell’Italia e delle generazioni future in rapporto alla grave crisi economica mondiale e di valori che attraversa l’Italia.

Centrali, per misurare la qualità della proposta politica e per capire in quali delle due Italie sentirci collocati, sono i programmi. Il giudizio negativo sulle politiche riguardanti il 3° settore e le proposte a sostegno dello stesso può essere uno dei punti su cui misurare la sensibilità sociale delle forze politiche verso i soggetti veramente deboli della società.

Trovo giusta la necessità evidenziata a proposito di un Piano per lo sviluppo industriale. Le domande che pongo rispetto a questo tema fondamentale sono le seguenti: Che cosa dobbiamo produrre e per chi? La green-economy è sicuramente un settore su cui indirizzare risorse per promuovere lo sviluppo, ma è sufficiente?

L’innovazione forse non va perseguita solo nel campo delle politiche energetiche o con la riproposizione delle vecchie logiche competitive, trasferendo a livello di macroaree geopolitiche che si contendono l’egemonia mondiale a livello politico, economico e militare il conflitto tra gli stati nazionali; ma in una diversa visione del governo del mondo basato sulla gestione integrata delle risorse, sulla regolamentazione del mercato del lavoro e sull’adozione di regole comuni, compresa l’unificazione della moneta.

Che cosa significa crisi di sistema se non questo, vale a dire l’assenza di politiche che siano all’altezza della mutata qualità ed intensità delle relazioni tra i popoli e delle ripercussioni sulle economie nazionali derivanti dalla omologazione dei sistemi produttivi, dalla internalizzazione della finanza, dalla diffusione del modello capitalistico a livello mondiale?

Non mi sembra di intravedere all’orizzonte un nuovo pensiero politico ed economico o proposte complessive che vadano nella direzione di un nuovo ordine mondiale dell’economia, il quale ripensi il rapporto tra le diverse aree geopolitiche in termini di sussidiarietà, di integrazione, di specializzazione, di riduzione del divario nella distribuzione del benessere e della ricchezza e del miglioramento globale delle condizioni di vita generali.

Mi sembra che le proposte politiche messe in campo dai partiti in vista delle elezioni pecchino di “localismo nazionale“ e manchino di “prospettiva internazionale”. Una carenza ancora più grave se si considera la progressiva perdita di sovranità dei singoli stati ed il richiamo opportuno di Antonio Maria Baggio alla necessità della integrazione delle politiche sociali e di bilancio a livello europeo.

Mi sembra che, rispetto alle analisi di Baggio, vadano approfondite maggiormente le cause della crisi e principalmente l’importanza da lui assegnata alla scarsa fiducia dei mercati e degli investitori verso il sistema Italia, come riprova della sua inaffidabilità. Mi domando a tal proposito: i mercati sono stati responsabili o vittime della crisi? I mercati, in alcuni passaggi della crisi, hanno agito come un soggetto sociale responsabile o hanno assecondato il proprio interesse lucrando sulle difficoltà finanziarie degli Stati soffocati dal debito pubblico? Gli imprenditori che delocalizzano le proprie imprese, lo fanno perché nei Paesi dove reimpiantano le proprie fabbriche trovano sistemi-paesi più efficienti o perché in essi trovano legislazioni che non tutelano il lavoro ed in cui il livello di vita e le aspettative di guadagno sono molto più bassi, dove maggiori sono le possibilità di ricavar profitto da esse? A me sembra che, invece di seguire la strada più difficile dell’innovazione e della realizzazione di nuovi prodotti, molti imprenditori cerchino luoghi in cui si possano riattivare le vecchie logiche di sfruttamento del lavoro umano.

Per rimettere in moto il motore dell’economia mondiale penso che occorra tornare a produrre beni utili e individuare i destinatari di tali beni. Penso che il sistema economico mondiale potrà rimettersi in moto solo producendo beni e servizi utili ad innalzare le condizioni delle popolazioni povere del mondo, così come il boom economico degli anni ’60 in Italia fu la conseguenza dell’innalzamento del tenore di vita delle fasce popolari povere.

La crisi attuale è una conseguenza della sovrapproduzione di beni che non sono smaltibili in un mercato saturo qual è quello dei Paesi industriali occidentali ricchi. Una situazione a cui il sistema capitalistico ha cercato di porre rimedio immettendo sul mercato beni superflui o stimolando la sostituzione di un oggetto ancora in condizioni d’uso buone con un altro che presentava aspetti innovativi, che soddisfacevano un desiderio di novità indotto, agevolando l’acquisto attraverso la facilità di accesso al credito. Ma la crisi finanziaria sembra aver sancito definitivamente il tramonto di questo sistema basato sulla immissione di beni voluttuari e superflui e posto l’esigenza di una nuova moralità all’interno dei sistemi economici.

Credo che l’effettiva ripresa del sistema economico ed il superamento della crisi del sistema economico capitalistico, evitando il ricorso alle vecchie logiche di sfruttamento o la riproposizione di ricette come quella consumistica (entrambe sconfitte dalla storia), dipende dalla capacità di rispondere in modo credibile alla domanda già sopra avanzata: produrre che cosa e per chi?

Il silenzio degli economisti su temi e domande rispetto alla scala dei problemi, alla dimensione mondiale assunta dall’economia, alla complessità del sistema economico globale, dipende dal fatto che la scienza economica non dispone di adeguati strumenti di analisi da cui far discendere proposte efficaci o da una sostanziale adesione ad un modello di sviluppo e ad un sistema pensato, nonostante tutto, come il migliore tra i sistemi possibili, per cui, cinicamente parlando, riprendendo un vecchio detto popolare, “ chi ha dolori strilli pure?

 

 



[1]A.M. Baggio, Le due Italie. Mappa per un percorso verso le elezioni politiche, «Nuova Umanità»,XXXIV (2012/6) 204, pp. 661-681.

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